La solita solfa dei “cento giorni”
Per ogni presidente degli Stati Uniti - ma anche per i nostri presidenti del Consiglio - è ormai in voga da tempo l’attesa spasmodica dei “cento giorni”. Cosa hanno fatto nei primi cento giorni? Quali risultati? Come se quello che venisse fatto nei primi cento giorni potesse dare conto dell’intero periodo in carica. A volte sono gli stessi politici a far riferimento a questo arco temporale e i giornali, ovviamente, li seguono a rotta di collo. Anche per Donald Trump, naturalmente, i primi cento giorni sono finiti sotto la lente d’ingrandimento un po’ ovunque, addirittura con una pagina Wikipedia dedicata. In questo caso, i temi cui si fa riferimento sono soprattutto tre: i dazi, i tentativi di pace in Ucraina e le deportazioni dei migranti.
Se dei dazi abbiamo parlato nei precedenti invii e la pace in Ucraina non è ancora raggiunta, il tema delle deportazioni è particolarmente spinoso e dinamico. Trump, anche durante la campagna elettorale, ha promesso di deportare in massa gli illegal alien, ovvero quelli che noi definiremmo migranti irregolari. Nei primissimi giorni dall’insediamento, ha poi preso diverse misure in merito, come il rafforzamento del confine con il Messico, la sospensione dell’iter per l’ottenimento dell’asilo o l’incremento dei poteri dell’Immigration and Customs Enforcement. E proprio con riferimento ai famosi cento giorni, l’amministrazione statunitense vanta di aver raggiunto le 139mila deportazioni di migranti irregolari.
Naturalmente, a fronte di un tema così delicato, non sono mancati gli intoppi e gli errori plateali. Come nel caso di Kilmar Abrego Garcia, un cittadino di El Salvador, residente da anni nel Maryland e che è stato deportato in una prigione del suo Paese di origine, nonostante un giudice lo avesse vietato in quanto l’uomo sarebbe stato a rischio di persecuzione da parte di alcune gang. L’errore è stato ammesso anche dall’amministrazione statunitense e Trump stesso ha detto che avrebbe potuto liberarlo, ma non lo farà. A questo episodio, negli ultimi giorni, si è aggiunta la decisione di un altro giudice che ha definito illegittimo l’uso dell’Alien Enemies Act del 1798. Invocando questo atto, Trump aveva provveduto alla deportazione di oltre un centinaio di migranti venezuelani.
Da San Pietro all’accordo sui minerali
L’immagine evocativa di Trump e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che discutono all’interno della Basilica di San Pietro poco prima del funerale di papa Francesco pare non rimarrà soltanto un simbolo. Pochi giorni dopo quello scatto, infatti, Stati Uniti e Ucraina hanno ufficialmente siglato l’accordo relativo allo sfruttamento delle risorse minerarie e delle terre rare, sul quale si trattava ormai da settimane e che aveva spinto Washington a bloccare gli aiuti a Kiev come ritorsione per la mancata firma.
Stando a quanto riportato, l’intesa prevede che la futura assistenza militare statunitense all'Ucraina sia considerata come parte dell'investimento di Washington in un fondo congiunto chiamato United States–Ukraine Reconstruction Investment Fund, rivolto alla ricostruzione dell’Ucraina dopo il conflitto e agli investimenti nelle risorse naturali del Paese. Inoltre, è stato sciolto il nodo del risarcimento che Trump aveva richiesto a Zelensky: il presidente statunitense, infatti, aveva dichiarato che l’Ucraina doveva rimborsare i 500 miliardi di dollari di aiuti militari ricevuti. Non sarà così, anzi: nello stesso giorno in cui è stato firmato l’accordo, la Casa Bianca ha dato il via a un pacchetto di aiuti da 50 milioni di dollari per Kiev.
Ma quali minerali si trovano in Ucraina? Secondo il governo di Kiev, nel Paese vi sono 22 dei 34 depositi critici di risorse minerarie così come identificati dall’Unione Europea. Tra le risorse più rilevanti vi sono il neodimio, che viene utilizzato nell’ambito della transizione energetica, venendo impiegato nelle turbine eoliche e nella produzione di batterie elettriche, ma anche l'erbio e l'ittrio, risorse fondamentali che hanno un’applicazione nel settore dell’energia nucleare e in quello dei laser. Va sottolineato, comunque, come l’accordo con l’Ucraina, nonostante venga spesso e volentieri associato alle terre rare, riguardi soltanto marginalmente queste ultime, perché il Paese non ne dispone grandissime quantità. Per questo, nella corsa alle terre rare che contrappone Cina e Stati Uniti da tempo, per molti l’accordo con l’Ucraina non inciderà poi molto.
Il conclave e il prossimo papa
La riunione dei cardinali che dovrà eleggere il nuovo pontefice, ovvero il conclave, si riunirà il prossimo 7 maggio. Com’era facile intuire, negli ultimi giorni non ci si è risparmiati su pronostici, quotazioni, borsini dei papabili, eccetera. Quel che è certo, al momento, è che il conclave ricomprenderà tutti i cardinali che ne hanno diritto, nonostante superino il tetto massimo di 120 fissato da papa Paolo VI nella Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis. Allo stesso tempo, non prenderà parte all’assemblea il cardinale Giovanni Angelo Becciu: questi, nonostante nei giorni precedenti avesse affermato che avrebbe partecipato, ha rinunciato ufficialmente, spiegando di aver deciso di “obbedire alla volontà di papa Francesco, pur rimanendo convinto della mia innocenza”. La sua esclusione è stata voluta dallo stesso pontefice a seguito delle vicende giudiziarie che hanno riguardato il cardinale.
Quello che si terrà nei prossimi giorni, dunque, sarà il conclave più numeroso della storia e geograficamente “diversificato”. Sui 133 partecipanti, 108 sono stati nominati da papa Francesco. Per quanto riguarda le nazionalità dei cardinali, invece, sono rappresentati ben 71 Paesi da tutto il mondo: la maggior parte proviene dall’Europa (53), quindi dall’Asia (23), dall’Africa (18), dall’America del sud e del nord (rispettivamente, 17 e 16), dall’America centrale e dall’Oceania (quattro ciascuno). Due cardinali hanno già anticipato che non ci saranno per motivi di salute.
Nell’attesa dell’inizio del conclave e dell’elezione del pontefice, non poteva poi mancare l’intrigo. Il pranzo che il presidente francese Emmanuel Macron ha avuto con i cardinali francesi che parteciperanno all’assemblea ha scatenato le voci su una possibile interferenza di Parigi nell’elezione. Ad alimentare i sospetti è il fatto che, tra i papabili indicati ormai da tempo, c’è anche il cardinale e arcivescovo di Marsiglia Jean-Marc Aveline. Oltralpe, queste voci sono state bollate come tentativi da parte di alcuni giornali afferenti alla destra italiana di accusare Macron di voler influenzare la scelta.
La crisi tra India e Pakistan preoccupa la Cina
Il conflitto tra India e Pakistan nella regione del Kashmir dopo l’attentato che ha causato la morte di una ventina di persone si è ingigantito: dalle misure diplomatiche si è passati rapidamente allo scontro a fuoco, che va avanti ormai da giorni. Una situazione che potrebbe portare all’esplosione di un conflitto potenzialmente catastrofico, visto che entrambi i Paesi detengono un proprio arsenale nucleare.
Anche per questo, i due alleati più importanti di India e Pakistan sono intervenuti perché i due Paesi avviassero il percorso di de-escalation delle ostilità. Per esempio, il segretario di Stato statunitense Marco Rubio ha contattato sia il ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, sia il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif. Allo stesso modo, la Cina, principale alleata di Islamabad, ha partecipato a un confronto con altri rappresentanti di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, con l’obiettivo di fare pressione su Nuova Delhi affinché venisse accantonato ogni piano militare.
In particolare, è Pechino ad aver sin da subito fatto appello a entrambe le parti per raggiungere una soluzione diplomatica. Del resto, la Cina è fortemente coinvolta in Pakistan, con il cui governo ormai da anni ha dato vita al Corridoio economico Cina-Pakistan, un contenitore di progetti che hanno portato nel Paese islamico investimenti superiori ai 60 miliardi di dollari, volti al miglioramento delle infrastrutture energetiche, portuali e di viabilità. Il Pakistan, dunque, è un perno essenziale della “contro-globalizzazione” cinese delle cosiddette Vie della Seta, che trovano nel porto di Gwadar uno sbocco fondamentale. Un eventuale conflitto non farebbe altro che minare la stabilità del Pakistan e danneggiare la stessa Cina.
L’intelligence ha deciso: AfD è un partito estremista
L'Ufficio federale tedesco per la protezione della costituzione, ovvero i servizi segreti che in Germania si occupano delle questioni interne, ha stabilito dopo diverse indagini come il partito Alternative für Deutschland sia “un partito di estrema destra”. In particolare, a portare l’intelligence tedesca a questa conclusione, sono le posizioni di AfD per quanto riguarda le questioni di migranti, fedeli musulmani e rifugiati, che delineano una “idea etnica-nazionale del popolo” che si configura come non “compatibile con l'ordinamento democratico”.
Tale decisione, comunque, non ha conseguenze giuridiche o pratiche di qualche tipo. Certamente, la pubblicazione del report ha infiammato ulteriormente la politica tedesca e la retorica della stessa AfD. In un tweet, la leader Alice Weidel ha definito la decisione come “un duro colpo per la democrazia tedesca”, accusando i servizi segreti di aver pubblicamente screditato il partito perseguendo obiettivi politici. Nel frattempo, Friedrich Merz, guida della Cdu, ha ottenuto il via libera dalla Spd per la formazione del governo di Grosse Koalition: dopo il voto del Bundestag, sarà nominato cancelliere.
Le reazioni, comunque, non si sono limitate alla sola Germania. Com’era avvenuto già prima delle elezioni di febbraio, sono numerose anche le prese di posizione all’interno dell’amministrazione statunitense. Il segretario di Stato Marco Rubio, per esempio, ha dopo la mossa dell’intelligence tedesca ha denunciato l’esistenza di una “tirannia mascherata” in Germania. Non sono poi mancate anche le parole di Elon Musk, che durante la campagna elettorale di Weidel e dell’AfD si è schierato a più riprese al loro fianco: secondo il fondatore di Tesla, “bandire il partito più popolare della Germania” sarebbe un “grave attacco alla democrazia”.
Il pezzo della settimana
L’accordo raggiunto tra Stati Uniti e Ucraina potrebbe anche cambiare l’approccio di Trump nei confronti della Russia. Dopo i pesanti bombardamenti della scorsa settimana contro Kiev, il presidente statunitense si era chiesto pubblicamente se il presidente russo Vladimir Putin lo stesse prendendo in giro sul processo di pace. Adesso, con l’intesa sullo sfruttamento delle risorse minerarie, l’atteggiamento di Washington potrebbe essere più duro nei confronti di Mosca. Lo suggeriscono anche alcuni membri dell’amministrazione americana. Si legge qui.
La canzone della settimana
Minerali, terre rare, metalli preziosi. Elementi che potrebbero essere decisivi nella guerra d’Ucraina e che, con Simon & Garfunkel, hanno anche una loro dignità artistica.