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"Il Forteto? Gestione simile a una comune cinese"

Lo ha dichiarato il senatore Vannino Chiti, ex presidente della Regione Toscana, alla commissione d'inchiesta consiliare sulla comunità di Vicchio

Vannino Chiti

La commissione d'inchiesta del Consiglio regionale sta indagando sull'estenza di responsabilità politiche e istituzionali nelle drammatiche vicende della comunità del Forteto, i cui vertici sono stati recentemente condannati insieme a una dozzina di collaboratori per abusi sui bambini e sui ragazzi affidati alla struttura dal Tribunale dei minori.

Nell'ultima audizione sono stati ascoltati il senatore Vannino Chiti, l’avvocato Sibilla Santoni, i giornalisti Luigi Caroppo, Claudio Contraffatto e Marcello Mancini.

Vannino Chiti, presidente della Regione dal 1992 al 2000, ha ricordato di aver avuto una sola occasione di visita alla comunità del Forteto, nel corso della seconda legislatura da presidente, con l’attenzione rivolta soprattutto alla cooperativa agricola annessa alla comunità. 

“Stetti una mezza giornata, l’impressione che avevo avuto era di efficienza - ha dichiarato Chiti - Mi fu fatto presente dagli stessi responsabili della cooperativa che loro avevano anche un rapporto con il Tribunale dei minori di Firenze. Dal punto di vista culturale-ideologico ebbi l’impressione di un po’ di confusione: mi dissero che non venivano pagate le persone che lavoravano nella cooperativa, che veniva fatta una sorta di cassa comune, con una gestione un po’ simile a una comune cinese”. 

In merito all'ipotesi di istituire una commissione d’inchiesta parlamentare Chiti ha ricordato che c’era stata una richiesta anche per il Senato, ma "la valutazione fu che la costituzione della seconda commissione d’inchiesta regionale rendesse superfluo un intervento del Parlamento, che si sarebbe configurato come un elemento di non fiducia in quello che aveva fatto il Consiglio regionale“.

L’avvocato Sibilla Santoni ha opposto il rispetto del segreto professionale per i casi di minori da lei direttamente seguiti. In generale, ha ripercorso i suoi rapporti con la comunità del Forteto, che in un certo periodo furono frequenti, e ha assicurato che “adesso, con tutto quello che è emerso nel processo, qualche dubbio me lo porrei, ma per quello che ho visto di persona nei periodi nei quali ho frequentato quella comunità, avrei lasciato i miei figli al Forteto”. 

I giornalisti Caroppo e Mancini hanno escluso di aver subito o assistito a condizionamenti, nel loro lungo percorso professionale in forza alla Nazione, affinché non si scrivesse del Forteto.