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Guerra in Ucraina, Mamdani e la Foresta Amazzonica

In Ucraina si continua a combattere senza spiragli all'orizzonte, un nuovo sindaco per la città-mondo e l'Amazzonia alla Cop30 in Brasile

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La storia infinita

Il conflitto in Ucraina sembrava dover finire rapidamente dopo il famoso vertice in Alaska tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente della Russia Vladimir Putin. A quasi tre mesi di distanza è evidente come l’incontro sia servito a ben poco: oltre ai retroscena per chi ama sbirciare dietro le quinte, ciò che resta è una guerra ancora in corso e che non sembra prossima alla conclusione. Soltanto negli ultimi giorni sono stati molteplici gli attacchi con i droni da una parte e dall’altra: se Mosca ha preso di mira alcune infrastrutture energetiche, dall’altra parte Kiev ha colpito alcune raffinerie russe, con l’obiettivo di indebolire ulteriormente l’economia della Federazione.

Mentre le schermaglie vanno avanti, lasciando vittime sul campo, dalle parti della Casa Bianca non si parla più così frequentemente di pace. Trump, evidentemente, è rimasto scottato dalla questione russo-ucraina, che aveva promesso di risolvere in ventiquattr’ore. Anche se c’è chi continua a pensare che il newyorchese sia l’unico in grado di convincere Putin a scendere a patti, come ha detto John Healey, il segretario alla Difesa del Regno Unito. Per il momento, l’ultima presa di posizione sulla guerra da parte del presidente statunitense è arrivata una settimana fa: niente missili Tomahawk per Kiev, bensì l’ennesimo invito a fare un accordo. Prospettiva che la Russia non sembra accettare: nei giorni scorsi è stato reso noto come il Cremlino avrebbe assoldato oltre 1400 soldati da 36 Paesi africani per combattere in prima linea. Non una mossa pacificatoria.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky [X Account]

Contestualmente, sembra essere anche scemata l’idea della coalizione dei Paesi volenterosi, ovvero quei Paesi europei che avrebbero costituito una forza militare in Ucraina per garantire il rispetto di un’eventuale tregua. Ovviamente, senza quest’ultima, il senso della coalizione viene meno. Per il momento, gli sforzi si sono concentrati sull’imposizione di nuove sanzioni contro la Russia. Dopo che Trump ha deciso di boicottare Rosneft e Lukoil, le due principali compagnie petrolifere russe, soprattutto su iniziativa del Regno Unito, nell’ultima riunione dei volenterosi è stato deciso di aumentare la pressione sul Cremlino, immaginando anche di estendere un prestito a Kiev utilizzando i fondi sovrani di Mosca ormai congelati. Niente di nuovo sul fronte orientale.


Il sindaco del mondo

La notizia sull’elezione a sindaco di New York di Zohran Mamdani dovrebbe avervi raggiunto. Nessun altra città del mondo ha la capacità di dare un risalto mondiale all’elezione del proprio primo cittadino, ma stavolta la storia era davvero peculiare: Mamdani è il più giovane sindaco di New York dal 1892, è di fede musulmana e, soprattutto, è rapidamente diventato uno degli esponenti di spicco del socialism statunitense, frangia di sinistra del Partito Democratico di cui, comunque, fa parte. Va detto, essere alla sinistra del Partito Democratico non è uno sforzo rivoluzionario: non stiamo parlando del Partito Marxista-Leninista, per intendersi. Mamdani, comunque, è sicuramente una grande novità per i democratici statunitensi, che dopo la sconfitta alle elezioni presidenziali dello scorso anno sono caduti in una prolungata crisi d’identità.

La vittoria di Mamdani, in ogni caso, dev’essere contestualizzata. Perché pensare che ciò abbia obbligatoriamente delle conseguenze oltre i confini di New York può essere allettante, ma forse fuorviante. Innanzitutto: seppur sia una retorica trita e ritrita, è pur vero che non si può prendere una città come New York a modello dell’America intera. Il mito dell’America profonda, come tutti i miti, ha un fondo di verità. Inoltre, che un democratico - socialista, per carità - abbia vinto nella Grande Mela non è esattamente una breaking news: è dal 2013 che la città è governata da un esponente del Partito Democratico. L’ultimo repubblicano, Michael Bloomberg, è passato tra gli indipendenti dal 2007 e, nel 2020, ha partecipato alle primarie democratiche. Senz’altro, ciò che rileva di Mamdani, è che ha condotto una battaglia politica contro un establishment vecchio, distante dalle nuove generazioni e sin troppo vicino a certi potentati economici.

Il sindaco eletto di New York Zohran Mamdani [X Account]

A queste precisazioni, comunque, non deve sfuggire la batosta presa da Trump. Oltre a Mamdani, il Partito Democratico ha ottenuto altri successi elettorali: Abigail Spanberger e Mikie Sherrill sono le due governatrici rispettivamente di Virginia e New Jersey, mentre in California è stato approvata tramite referendum la modifica dei confini delle circoscrizioni elettorali per la Camera, che consegneranno ai democratici stessi cinque collegi in più. Anche Trump stesso - con una gran giocata - ha detto che le elezioni non sono andate bene. Per i repubblicani, mica per lui. In realtà, va detto che Trump ormai campeggia sugli schermi di ogni angolo del pianeta - almeno - dal 2015, quando ha annunciato la sua prima discesa in campo. Una trasmissione durata più di dieci anni, ormai. Mikebongiornismo puro, insomma. Non il massimo per i consensi, insomma.


La voce dell’Amazzonia

Da domani e fino al 21 novembre si terrà a Belém, in Brasile, la Cop30, ovvero il più grande vertice internazionale dedicato ai negoziati sui cambiamenti climatici. Un’occasione che, annualmente, mette i leader mondiali di fronte al tema della salvaguardia ambientale e del contrasto ai cambiamenti climatici. E se, come ogni anno, c’è dibattito sulla effettiva utilità di questi incontri, l’edizione del 2025 si è “aperta” con una videochiamata del tutto particolare, resa pubblica dal presidente francese Emmanuel Macron. Quest’ultimo, infatti, si è messo in contatto con Raoni Metuktire, capo indigeno del popolo Kayapo, che vive nelle pianure del Mato Grosso e del Pará in Brasile.

L’obiettivo di Macron è quello di portare le istanze degli indigeni che abitano la zona della Foresta Amazzonica proprio nel vertice della Cop30. Del resto, nel marzo dello scorso anno, Parigi, insieme al Brasile, ha lanciato un programma d’investimento da un miliardo di euro per la preservazione della foresta pluviale amazzonica tanto in Brasile, quanto nella Guyana.

Il presidente francese Emmanuel Macron e il capo Raoni nel 2019 [X Account]

Il tema della tutela della Foresta Amazzonica non ha risvolti solamente ambientali, ma anche politici ed economici. Nel 2019, quando presidente del Brasile era Jair Bolsonaro, vi fu un forte scontro diplomatico tra i due Paesi: Macron, all’epoca, accusò il suo omologo di aver mentito sul suo impegno per la foresta pluviale e si oppose al trattato di libero scambio tra Unione Europea e Mercosur, l’organizzazione economica che coinvolge i Paesi dell’America Latina. Bolsonaro, durante gli incendi che interessarono l’area, rifiutò i contributi del G7 e accusò il presidente francese di “condotta colonialista”. Ciò che è assodato è che, durante la presidenza di Bolsonaro, la deforestazione della Foresta Amazzonica è aumentata vertiginosamente: i legami tra l’ex presidente e il cosiddetto agribusiness, ovvero il settore delle grandi industrie agricole, sono noti.


Il pezzo della settimana

E anche se il “fenomeno” Mamdani va preso con le pinze, c’è chi sostiene che sia un segnale evidente di un cambiamento radicale all’interno del Partito Democratico statunitense. Secondo Alexander Burns di Politico, la vittoria schiacciante di Mamdani ha messo definitivamente da parte il bidenism, cioè l’eredità di Joe Biden. Al moderatismo, insomma, si è sostituito il radicalismo. Si legge qui.


La canzone della settimana

Scelta facile, per questa settimana. Anche perché chi scrive ne è un grande fan.