Gli ultimi avvenimenti relativi al conflitto in Ucraina meritano una rassegna dedicata. Cominciamo.
Il piano di pace per l’Ucraina, senza l’Ucraina
Dopo tre mesi dal vertice in Alaska tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo omologo russo Vladimir Putin, la guerra in Ucraina sembra davvero essere a un punto di svolta. Nei giorni scorsi, infatti, da Washington è stato presentato un piano di pace in 28 punti, un po’ sullo stile di quello per la Striscia di Gaza che è stato poi formalizzato a Sharm el Sheik. In sintesi, il piano può essere riassunto così:
- tutte le dispute degli ultimi trent’anni dovranno considerarsi risolte;
- la Russia si impegna a prendere parte a un dialogo con i Paesi della Nato - soprattutto quelli al confine - per la de-escalation nelle zone maggiormente critiche;
- l’Ucraina s’impegna formalmente a non aderire alla Nato, l’esercito ucraino verrà ridimensionato;
- la Russia sarà reintegrata nel sistema economico e finanziario globale;
- la Crimea e gli oblast’ di Luhansk e Donetsk saranno formalmente riconosciuti come parte del territorio russo;
- la linea del fronte negli oblast’ di Zaporižžja e di Kherson verrà congelata.
Nei fatti, il piano di pace garantisce a Mosca una vittoria diplomatica del tutto sproporzionata rispetto a quelli che sono stati gli effettivi successi sul campo di battaglia. Basti pensare a quanto previsto per i territori: a oggi, dopo una controffensiva estiva durata da giugno sino al termine di agosto, l’esercito russo ha incrementato la propria presenza sul territorio ucraino dello 0,3 percento. Soltanto l’oblast’ di Luhansk è interamente sotto il controllo del Cremlino: Donetsk, Zaporižžja e Kherson, pur essendo occupati per la maggior parte da Mosca, non sono ancora state totalmente conquistati.
Dal febbraio 2022, inizio dell’invasione dell’Ucraina, i tentativi di risoluzione diplomatica del conflitto sono sistematicamente falliti. L’ultimo, quello con gli incontri tra le delegazioni russe e ucraine a Istanbul, non ha portato ad alcun significativo progresso. Senza contare, poi, lo spettacolare incontro tra Trump e Putin ad Anchorage, lo scorso 15 agosto: molto dibattito e molto inchiostro, peccato la guerra sia continuata per altri tre mesi. Perché, allora, la Russia ha accettato di collaborare alla stesura di questo piano di pace e perché da Mosca più di un funzionario ha espresso un certo apprezzamento per la proposta statunitense?
A differenza del passato, per la Russia, gli Stati Uniti hanno preso in seria considerazione le pretese del Cremlino. Del resto, la questione ucraina per Mosca è sempre stata cruciale: non si tratta soltanto di assicurarsi una certa sicurezza ai propri confini, faccenda già di per sé piuttosto rilevante; bensì, c’è anche un enorme significato storico, culturale e identitario dietro a questa guerra. Non è difficile recuperare sul portale della presidenza russa un discorso di Putin datato luglio 2021, mesi prima dell’attacco contro Kiev. Qui, il capo del Cremlino afferma:
[…] Quando mi è stato chiesto delle relazioni tra russi e ucraini, ho risposto che russi e ucraini sono un unico popolo, un’unica collettività. Quelle parole non erano dettate da considerazioni di convenienza o scaturite dal contesto politico dell’epoca. Al contrario, è ciò che ho detto in numerose occasioni ed è ciò in cui credo fermamente.
Putin, così dicendo, si fa portatore di una posizione condivisa all’interno della Russia stessa: dalle parti di Mosca, l’Ucraina non sarà mai considerata come uno Stato completamente autonomo. Per questo, la possibilità di sottrarla definitivamente all’Alleanza Atlantica e di comprometterne definitivamente la sovranità nazionale, annettendo la fascia orientale del Paese, potrebbe aiutare a risolvere “le cause profonde della guerra”, come le ha definite lo stesso Putin.
Che cosa ha spinto, allora, gli Stati Uniti a ricercare un accordo che potesse quantomeno tentare la Russia? Sulla questione, in modo del tutto anomalo, Trump e gli apparati statunitensi vanno d’accordo. Nonostante il primo abbia ottenuto buona parte del proprio successo elettorale accusando il Deep State - lo Stato profondo - di sabotarlo sfuggendo al controllo della presidenza, lanciando per questo lo slogan del Drain the swamp (“Prosciughiamo la palude”), sulla questione russo-ucraina si trova dalla stessa parte della barricata. Gli Stati Uniti vogliono assolutamente interrompere lo stretto rapporto che si è instaurato tra Cina e Russia all’indomani dell’invasione dell’Ucraina.
Tagliata fuori da ogni circuito economico e finanziario, estromessa dal mercato europeo degli idrocarburi, la Russia si è gettata tra le braccia della Cina, che è rapidamente diventata il suo più grande partner commerciale. Pechino, infatti, acquista gas e petrolio russi a prezzo molto basso, potendo così alimentare l’enorme fabbisogno energetico cinese. Per Washington, però, ciò rappresenta un enorme rischio: la sfida globale con la Cina potrebbe farsi proibitiva se questa potesse contare sulle risorse naturali della Siberia, con tanto di grandi risparmi che potrebbero essere investiti negli armamenti per conquistarsi una posizione nel quadrante dell’Indopacifico. Dove, davvero, Cina e Stati Uniti rischiano di passare alle vie di fatto.
In quest’ottica, sottrarre la Russia alla Cina significa garantirsi un vantaggio nella corsa al primato mondiale. E ciò, per gli Stati Uniti, è assai più importante delle legittime rivendicazioni dell’Ucraina stessa. Una volta reso noto il piano di 28 punti, per esempio, Trump non ha esitato a invitare il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ad accettarlo, senza che Kiev abbia in alcun modo contribuito alla stesura. Per blandirlo, il presidente degli Stati Uniti ha poi spiegato come il piano non sarebbe poi “l’offerta finale”, mentre lo stesso Zelensky aveva preso posizione nelle ore precedenti.
[…] L’Ucraina dovrà affrontare una scelta molto difficile: perdere la propria dignità o rischiare di perdere un alleato fondamentale. […] Oggi è uno dei momenti più difficili della nostra storia
Adesso, verosimilmente, cominceranno le fasi negoziali sull’accordo statunitense. La Russia ha già fatto sapere che si tratta di una base di partenza, mentre Zelensky ha nominato Andriy Yermak come capo della delegazione ucraina per i colloqui con Mosca e Washington. In attesa di capire se, a differenza di quanto avvenuto in Alaska, stavolta la guerra in Ucraina sia davvero a una svolta.
Il pezzo della settimana
Di fronte al balletto tra Stati Uniti, Russia e Ucraina, chi rimane a battere le mani - come le capita spesso - è l’Unione Europea. Mentre sembrano completamente scomparsi quelli che dovevano essere i “volenterosi”, nella giornata di domani, a Ginevra, i consiglieri per la sicurezza nazionale di Francia, Germania, Italia e Regno Unito dovrebbero partecipare ai colloqui che si terranno tra Steve Witkoff e Marco Rubio da una parte e Yermak dall’altra. Per capire come si stanno muovendo l’Unione e i principali Paesi membri, basta leggere l’articolo di Alba Romano su Open. Si legge qui.
La canzone della settimana
La solitudine dell’Ucraina, come quella di Freddie Mercury lontano dai Queen.