Attualità

La tragedia di Livorno sul Vernacoliere

L'ultimo numero del celebre mensile satirico dedica numerose pagine all'alluvione, con spunti di riflessione e tanta amarezza

L'editoriale di Mario Cardinali sull'ultimo numero del Vernacoliere

Il Vernacoliere, "mensile di satira, umorismo e mancanza di rispetto" in salsa labronica, non poteva non affrontare il tema della drammatica alluvione che ha colpito Livorno la notte fra il 9 e il 10 settembre, provocando otto morti. Ma da ridere, lo sanno bene Mario Cardinale e co., c'è ben poco. Ecco allora che il periodico offre tanti spunti di riflessione, con poca satira e tanta amarezza.

Al di là della vignetta in copertina "Ar posto della protezione civile la protezione vescovile", che non tradisce lo spirito anticlericale del giornale e fa riferimento a certe esternazioni del vescovo labronico, il Vernacoliere di ottobre si apre con una seria riflessione del direttore Cardinali. 

L'editoriale si intitola "Ma te vallo a immaginare" e esordisce con parole schiette: "Diciamocelo in ghigna, quei morti li abbiamo sulla coscienza un po' tutti". Cardinali punta il dito sugli errori fatti in passato nella gestione del territorio, ma anche sull'ottimismo tipico dei livornesi, che li fa soprassedere di fronte ai tanti problemi quotidiani. Fino a che non è arrivata l'immane tragedia e allora sì che i livornesi si son rimboccati le maniche. Così Cardinali elogia i "bimbi della mota", ma in conclusione resta "il rimorso angoscioso per quanto poteva essere evitato e invece s'è verificato. Ma te vallo a immaginare".

Una vignetta listata a lutto è al centro dell'editoriale: un uomo solo, circondato dal fango, e eloquente nuvoletta: "No comment!". 

Pieno di amarezza, nelle pagine seguenti, anche il fumetto "Cacciucco" a firma di Andrea Camerini e dal titolo "Alluvionati dentro", che non manca di dare qualche sferzata al sindaco Filippo Nogarin. A seguire l'articolo "Le indulgenze, l'alluvione e ir manicomio" di Claudio Marmugi, per arrivare alla quarta di copertina firmata da Federico Maria Sardelli e intitolata "Sogni d'oro". Qui un uomo dorme nel suo letto e su di lui ronza una "Z." che si fa sempre più grande, fino a diventare enorme, fatta di fango, e a crollare, su colui che beatamente se la dormiva.