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Donne in uniforme, il carcere resta un tabù

Mentre negli altri corpi d'armata le differenze di genere stanno scomparendo, l'accesso alle donne nella polizia penitenziaria rimane difficile

Su 38 mila agenti della polizia penitenziaria attualmente in forza nelle carceri italiane solo 2400 circa sono donne. Non solo. Secondo quando ha raccontato la presidente del Dipartimento di polizia penitenziaria del Lazio Maria Claudia Di Paolo nel corso di un convegno organizzato dal vicepresidente del consiglio regionale, Giuliano Fedeli, a Firenze, anche il rapporto con i colleghi maschi è complicato. "C'è più rispetto per le donne in uniforme da parte dei detenuti, piuttosto che da parte dei colleghi - ha raccontato Di Paolo - E' pur vero che i detenuti sono in una condizione di libertà ristretta e quindi si guardano bene dal crearsi ulteriori problemi". 

Nel corso del convegno però sono emerse anche esperienze diverse: donne che nella loro professione, nella polizia di stato piuttosto che nei carabinieri o in marina, si trovano perfettamente a loro agio e, pur dovendo sgomitare quanto e più dei colleghi maschi per raggiungere posizioni di vertice, non si sentono per nulla discriminate.

"La legge sull'accesso delle donne nelle forze armate - ha detto il sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi - è arrivata tardi, ma è tra le più avanzate d'Europa. Nei prossimi mesi effettueremo una mappatura per capire se ci sono criticità". 

Secondo il vicepresidente Fedeli, invece, il problema è soprattutto culturale. "Bisogna uscire dalla concezione dell'uomo macho e della donna che viene accostata all'uniforme solo se è bella - ha detto Fedeli - Bisogna togliersi di dosso il maschilismo".