Questo grande dramma dei dazi è durato poco
Tanta è stata l’attenzione rivolta ai dazi imposti dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump, annunciati lo scorso 2 aprile, quanto breve è stata la loro attuazione. Qualche giorno - neppure, perché tra le questioni tecniche e l’effettiva entrata in vigore, pare che i dazi siano stati in vigore soltanto qualche ora - e lo stesso Trump ha fatto dietrofront, optando per una sospensione degli stessi per i prossimi 90 giorni.
Ciò, comunque, non significa che i dazi siano stati completamente cancellati o che si sia trattata di una completa inversione a U. Certo, Trump ha fatto grandi passi indietro, pare convinto nel giro di poco meno di una giornata da diversi esponenti del Partito repubblicano. Ciononostante, restano in piedi due diversi regimi di dazi: per quanto riguarda la stragrande maggioranza dei Paesi (tranne Messico e Canada, che continuano a pagare il 25%), compresi quelli dell’Unione europea, sarà applicata una tariffa “universale” del 10%; per quanto riguarda la Cina, invece, i dazi saliranno al 125%, in realtà in aggiunta al 20% già deciso in precedenza. Dunque, in totale, i beni di Pechino saranno tassati del 145%.
Va da sé che la Cina ha deciso di rispondere alla misura adottata da Washington. Non solo tramite meme che prendono in giro la reindustrializzazione statunitense, con operai piuttosto corpulenti che assemblano computer portatili e smartphone, ma anche con una vera e rappresaglia sui prodotti che vengono importati da Pechino, tassati adesso del 125%. Una guerra commerciale a tutti gli effetti, che ha causato anche convergenze a dir poco inattese: in vista in Spagna, Xi Jinping ha lanciato un appello ai Paesi dell’Unione europea, invitandoli a “resistere insieme contro i bulli”.
Rafah è stata isolata dalla Striscia di Gaza
Il piano del ministro della Difesa Israel Katz e del premier Benjamin Netanyahu sulla creazione di un nuovo corridoio strategico all’interno della Striscia di Gaza con l’obiettivo di isolare Rafah dal resto del territorio è stato realizzato. La città palestinese, nel sud della Striscia, è stata di fatto “separata” tramite la creazione del cosiddetto “corridoio Morag”. Quest’ultimo si aggiunge al “corridoio Philadelphi”, a sud di Rafah stessa: in questo modo, la città è completamente isolata.
Nel corso della guerra che ha avuto inizio a ottobre del 2023, Israele ha creato una serie di zone cuscinetto lungo il confine della Striscia di Gaza con il proprio territorio. Così facendo, lo Stato ebraico ha sottratto al controllo di Hamas quasi il 50% del territorio della Striscia stessa, costringendo la popolazione palestinese a concentrarsi nella restante metà. L’estensione delle zone cuscinetto è raddoppiata negli ultimi giorni del conflitto, ovvero da quando Israele ha ripreso le offensive dopo la conclusione della prima fase del cessate il fuoco.
Sin dall’inizio, la strategia dell’esercito israeliano e dello stesso governo di Netanyahu per quanto riguarda la fine del conflitto non è ben chiara. Attualmente, come riferito dallo stesso Katz, le forze armate continueranno a esercitare pressione su Hamas affinché vengano liberati gli ultimi 59 ostaggi israeliani, dei quali 24 dovrebbero essere ancora vivi. Dunque, dopo aver messo sotto scacco Rafah, l’offensiva continuerà, come anche dimostrato dall’avviso di evacuazione emanato dallo stesso esercito israeliano per i residenti di Khan Yunis, città poco più a nord.
Iran e Stati Uniti si parlano per il nucleare
La volontà di Trump sul negoziato continuo con chiunque - a cominciare dalle rimodulazioni sui dazi - non si risparmia neppure sul tema del nucleare. In questi ultimi giorni, infatti, Stati Uniti e Iran sono tornati a parlarsi, seppur in stanze separate, a Muscat, capitale dell’Oman. Il confronto verte, appunto, sul possesso di armi nucleari da parte di Teheran. In merito, Trump è stato - come al solito - piuttosto chiaro: “voglio che l’Iran sia un gran Paese, felice e bellissimo, ma non possono avere la bomba atomica”.
Trump, che con l’Iran ha un rapporto piuttosto complicato, è giunto alla conclusione che il lungo conflitto nel Medio Oriente tra Israele e Hamas, che ha coinvolto direttamente anche Teheran, abbia posto le premesse affinché si arrivi a una soluzione definitiva sul programma nucleare del Paese. Una questione spinosa con una lunga storia, divenuta attuale nel 2011 con l’attivazione della centrale nucleare Bushehr-1, grazie all’assistenza russa. Dopodiché è stato firmato il Joint Comprehensive Plan of Action, con cui proprio gli Stati Uniti insieme ad altri come Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Unione europea si erano accordate con Teheran per limitarne il programma nucleare in cambio di minori sanzioni.
Nel 2018 gli Stati Uniti, proprio per volontà di Trump, si sono ritirati dall’accordo. Oggi, l’Iran deve fare i conti con i danni inflitti dall’esercito israeliano ad Hamas e Hezbollah, che Teheran sostiene, ma anche con con i recenti bombardamenti statunitensi contro gli Houthi in Yemen, che hanno colpito raffinerie di petrolio, aeroporti e siti missilistici. Inoltre, a ottobre scorso, Israele è riuscita a colpire con forza alcune strutture nodali per i programmi nucleari e missilistici balistici iraniani. Una congiuntura sfavorevole che potrebbe spingere Teheran a trovare un accordo con Washington. Del resto, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha spiegato come entrambe le parti abbiano dimostrato l'impegno a portare avanti i colloqui “fino a raggiungere una soluzione favorevole”.
In Serbia i giovani protestano camminando
Ormai da mesi, migliaia e migliaia di studenti universitari in Serbia protestano contro il governo di Aleksandar Vučić, presidente del Paese da una decina di anni. Tutto è cominciato, in realtà, con un fatto di cronaca, non politico: a novembre scorso, infatti, un tetto crollato nella stazione ferroviaria della città di Novi Sad ha causato la morte di 16 persone. Ciò, al di là del fatto in sé, ha destato l’attenzione nel dibattito pubblico serbo in quanto considerato come ennesima evidenza dell’alto tasso di corruzione nel Paese e come essa abbia inficiato anche sulla gestione della cosa pubblica.
A diventare presto protagonisti di questo ampio movimento di protesta sono stati proprio gli studenti universitari, che hanno scelto di scendere in piazza non solo con manifestazioni statiche, ma anche dando luogo a vere e proprie marce da decine e decine di chilometri. Come quella che ha portato i manifestanti da Belgrado proprio a Novi Sad, per decine e decine di chilometri di cammino.
A queste iniziative, soprattutto negli ultimi giorni, il presidente Vučić ha risposto organizzando manifestazioni a favore del suo governo. Questa è soltanto l’ultima delle misure adottate dal governo serbo per ostacolare e fiaccare le proteste guidate dagli universitari: il Free Press Unlimited group, per esempio, ha notato come la copertura mediatica di queste ultime sia stato fortemente ostacolato dal governo di Vučić. Proprio il presidente ha criticato aspramente lo United Media group, la media company che segue da vicino il sud est del continente europeo e che è stato accusato di essere una “piattaforma per esercitare violenza in Serbia”.
Il regime militare in Myanmar e il sisma
Sono passati ormai quindici giorni da quando il Myanmar è stato travolto da un violentissimo terremoto che, a oggi, ha causato oltre 3mila vittime ufficialmente riconosciute. Uno sconvolgimento drammatico nel Paese che, dal 2021, è sotto il controllo di una giunta militare che ha preso il potere rovesciando il governo della Lega Nazionale della Democrazia, eletto democraticamente. E con il passare dei giorni, sembrano sempre più evidenti le responsabilità dei militari nei ritardi o nelle mancate consegne di aiuti in diverse zone del Paese dopo il sisma.
La giunta militare del Myanmar, presieduta da Min Aung Hlaing, sta rendendo ancora più complicato il già faticoso tragitto degli aiuti umanitari per la popolazione colpita dal terremoto. L’inefficienza governativa dimostrata dai militari e il timore che l’attività delle organizzazioni dedite alla cooperazione internazionale sia mirata a minare la legittimità della giunta, magari dando manforte ai ribelli, stanno rendendo molto complicata la ripresa dopo il sisma. Oltre alle strade sconnesse, franate o cancellate dal terremoto, i militari hanno disposto una serie di posti di blocco che rallentano il flusso e scoraggiano i volontari ad aiutare.
Inoltre, nonostante il regime avesse annunciato un cessate il fuoco con i gruppi che lo combattono, proprio per permettere la ripresa, negli ultimi giorni ha ripreso i bombardamenti nelle aree sotto il controllo di questi ultimi. Fedeli ad Aung San Suu Kyi, leader del movimento di opposizione e per cinque anni ministra degli Esteri prima della deposizione del suo governo nel 2021, questi gruppi hanno denunciato non solo, appunto, la ripresa delle offensive da parte dei militari, nonostante il Paese sia stato devastato dal sisma, ma anche la complice inerzia della giunta nella consegna degli aiuti umanitari nelle zone che sono sotto il controllo del gruppi ribelli.
Il pezzo della settimana
Perché gli Stati Uniti e l’Iran sono tornati a parlare del programma nucleare di Teheran all’improvviso? Secondo la BBC, entrambe le parti hanno i propri motivi. Da una parte, Trump vuole smantellare completamente il programma, mentre dall’altra ci sono anche i timori di Israele, che osserva da vicinissimo la situazione e spera nell’alleato americano per arrivare al completo azzeramento del rischio atomico in Medio Oriente. Si legge qui.
La canzone della settimana
Con il ritorno alla ribalta delle discussioni sul programma nucleare iraniano, i suoi limiti e il diktat trumpiano che vuole vietare a Teheran di disporre dell’arma atomica, la canzone della settimana non poteva che essere il più conosciuto successo degli Orchestral Manoeuvers in The Dark.