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La tregua (possibile) per Gaza
Negli ultimi giorni sembra aver preso corpo la possibilità di una tregua di 60 giorni nella Striscia di Gaza, da siglare con un’intesa che abbia il benestare sia di Israele, sia di Hamas. A far da mediatore, anche stavolta, sono gli Stati Uniti: domani, infatti, il presidente Donald Trump dovrebbe confrontarsi con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per approvare gli ultimi dettagli dell’accordo e annunciare lo stop al conflitto per almeno due mesi.
L’intesa prevede una serie di punti, che riguardano gli ostaggi israeliani, quelli ancora in vita e quelli ormai deceduti, ma anche l’assistenza umanitaria nella Striscia di Gaza, che dovrà avvenire attraverso canali concordati gestiti dalle Nazioni Unite e dalla Mezzaluna Rossa. Come spiegato da Trump nei giorni scorsi, Israele avrebbe già accettato l’accordo, mentre da parte di Hamas si aspettano risposte positive. Anche se alcune fonti parlano di un’ampia disponibilità dell’organizzazione ad accettare l’intesa.
Sicuramente ne sapremo qualcosa di più domani: come detto, Netanyahu è atteso a Washington, dove si confronterà con Trump. Si tratterebbe del terzo incontro tra i due in neppure sei mesi. Dopo aver seguito Israele nella guerra contro l’Iran, prendendo parte ai bombardamenti dei siti nucleari di Teheran nonostante avesse dichiarato a lungo di voler cercare un accordo, il presidente statunitense vorrà far valere l’impegno diretto in Medio Oriente, chiedendo al premier israeliano di accettare la tregua di 60 giorni.
Il nuovo partito di Elon Musk
Lo aveva promesso e, almeno a parole, così è stato: Elon Musk, ormai ex membro dell’amministrazione del secondo mandato di Trump e fondatore di Tesla e SpaceX, ha deciso di dar vita all’America Party. Nelle intenzioni di Musk, si tratta di un partito che dovrebbe rompere il duopolio del Partito Repubblicano e del Partito Democratico, che spesso e volentieri lo stesso imprenditore, soprattutto negli ultimi mesi, ha accusato di essere l’uno la copia dell’altro.
La nuova avventura di Musk, ancora tutta da cominciare, è al momento una risposta all’adozione del Big Beautiful Bill, il progetto trumpiano che stanzia il budget necessario a mantenere gran parte delle promesse fatte in campagna elettorale. Ovvero, consolidamento dei tagli alle tasse sulle imprese, aumento delle risorse per le operazioni di contrasto all’immigrazione al confine meridionale e per il settore della Difesa. Ciò contribuirà a incrementare notevolmente la spesa pubblica statunitense, con lo scorno dello stesso Musk, che durante i suoi mesi al Department of Government Efficiency aveva invece l’obiettivo di tagliare quanto più possibile per far respirare le casse federali.
Quel che è da scoprire, invece, è se l’America Party sarà davvero messo in piedi e come si comporterà nelle elezioni di midterm del 2026, ovvero le elezioni di metà mandato presidenziale in cui si rinnovano tutti i seggi della Camera dei rappresentanti e un terzo di quelli del Senato. Un test importante per chi è alla Casa Bianca e per farsi un’idea di ciò che potrebbe accadere nel 2028, quando si tornerà a votare anche per la presidenza. Sicuramente, Musk non potrà essere della partita per succedere a Trump, in quanto non statunitense di nascita come richiesto dalla Costituzione.
Tra Trump e Putin non va benissimo
Al ritorno di Trump alla Casa Bianca, per molti, sarebbero dovute seguire migliori relazioni tra Stati Uniti e Russia. In Italia, per esempio, molti quotidiani e opinionisti hanno sempre fatto leva sulla naturale amicizia che ci sarebbe tra il presidente statunitense e il presidente russo Vladimir Putin, leader di due tra i Paesi più importanti del pianeta che muoverebbero interi eserciti e testate nucleari sulla base della reciproca simpatia. Ma, ormai da qualche settimana, è evidente che così non è o, almeno, così non è più.
E proprio il tema che sembrava dover sancire il rapporto speciale che ci sarebbe tra i due, ovvero l’Ucraina, rischia invece di romperlo definitivamente. E se a fine maggio, per Trump, Putin era “impazzito” credendo di poter annettere tutto il Paese, nei giorni scorsi il presidente statunitense si è detto “scontento” dopo l’ennesima telefonata con il suo omologo russo. Tanto da minacciare Mosca con la possibile applicazione di nuove sanzioni e da immaginare un rifornimento per Kiev di missili Patriot per difendersi dagli attacchi.
Secondo Trump, infatti, Putin non dimostra alcuna volontà di porre fine alla guerra in Ucraina. E ciò non fa altro che scontrarsi con le intenzioni del presidente statunitense, che aveva promesso - forse incautamente - di poter terminare il conflitto in 24 ore. L’irrigidimento tra Washington e Mosca delle ultime settimane, comunque, sta a dimostrare quanto, al di là delle amicizie, vere o supposte, quando si scontrano le agende di due grandi Paesi, i rispettivi leader contano poco o nulla.
Il Dalai Lama sfida la Cina
A poche ore dal suo novantesimo compleanno, celebrato ieri, il Dalai Lama ha annunciato come la sua reincarnazione, ovvero il successore che ne prenderà il posto come guida spirituale del buddhismo tibetano, sarà riconosciuto solo ed esclusivamente dal Gaden Phodrang Trust, ovvero l’ufficio dello stesso Dalai Lama.
Ciò rappresenta una sfida lanciata alla Cina e testimonia la volontà del buddhismo tibetano di voler continuare a ribadire la propria indipendenza dal controllo di Pechino nella regione. Del resto, il Tibet dal 1951 è sotto il controllo della Cina, nonostante vi sia un governo in esilio in India, cioè l’Amministrazione centrale tibetana. Assicurando la scelta sulla successione al suo ufficio, Tenzin Gyatso, attuale Dalai Lama, ha voluto prevenire qualsiasi intromissione cinese.
A presiedere l’alternarsi delle guide spirituali del buddhismo tibetano, infatti, è la reincarnazione: alla morte del Dalai Lama, vi sono segni e indizi tali che portano a scegliere come nuovo Dalai Lama un bambino o, comunque, un giovane. Ciò, però, potrebbe causare un vuoto di potere, in quanto occorrerebbe attendere qualche anno prima che il nuovo Dalai Lama possa essere riconosciuto come autentica guida spirituale. Per questo, Gyatso ha sottolineato come il suo successore potrebbe essere anche già una persona adulta. Di nuovo, con l’obiettivo di evitare che Pechino possa inserirsi in un processo e in un sistema che alimenta fortemente il sentimento indipendentista tibetano.
L’accordo di pace tra Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda
Uno dei conflitti più sanguinosi dell’Africa è arrivato a un punto di svolta: la Repubblica Democratica del Congo e il Ruanda, infatti, hanno firmato un’intesa con la quale entrambi i Paesi si impegnano a terminare il conflitto nella parte orientale del Congo, dove operano da decenni milizie sostenute dal Ruanda, e di rispettare la reciproca sovranità territoriale e i confini che dividono i due Stati.
Il conflitto nel Congo dell’est è una delle conseguenze più drammatiche della guerra civile e del genocidio avvenuti in Ruanda nel 1994. Gli ultimi sviluppi risalgono al 2022, quando un gruppo armato noto come M23, sostenuto dall’esercito ruandese, ha occupato gran parte dei territori orientali del Congo, che sono notoriamente ricchi di materie prime come oro, diamanti e rame, ma anche di minerali critici come cobalto, tantalio, litio, tungsteno e stagno.
Adesso, con un accordo siglato a Washington grazie all’intervento degli Stati Uniti e del Qatar, Congo e Ruanda hanno firmato un’intesa che dovrebbe porre fine alla guerra. Il ruolo degli Stati Uniti per raggiungere l’intesa, che resta particolarmente fragile, soprattutto perché alle firme non hanno partecipato i rappresentanti dell’M23, non è casuale: anche se, ufficialmente, non c’è un riferimento esplicito, l’accordo dovrebbe garantire a Washington “l’espansione del commercio” e degli investimenti sui “minerali critici della regione”.
Il pezzo della settimana
Trump e Putin non sono per forza amici, d’accordo. Per capire quel che sta accadendo tra Stati Uniti, Russia e Ucraina, però, occorre anche andar oltre la retorica del presidente statunitense, che minaccia spesso di sanzionare Mosca e di riarmare Kiev, per poi comportarsi diversamente. Si legge qui.
La canzone della settimana
Brevemondo, in vista dell’estate, si ferma e torna con l’invio del 10 agosto. Ci salutiamo, ma there would still be music left to write.