Bentornati su Brevemondo. Vista la rilevanza del vertice di Anchorage - probabilmente, più per gli eventi innescati successivamente, che per il contenuto - il pezzo di oggi sarà interamente dedicato a questo.
Cominciamo.
Lungo il tappeto rosso di Anchorage
Il primo incontro faccia a faccia tra il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente russo Vladimir Putin da quando l’imprenditore newyorchese è tornato alla Casa Bianca si è alla fine svolto nella base militare di Elmendorf-Richardson, nelle vicinanze di Anchorage in Alaska. Dopo oltre tre anni di embargo nei Paesi occidentali, Putin ha potuto rompere il suo isolamento diplomatico sfilando lungo il tappeto rosso che è stato approntato per il suo arrivo sul territorio statunitense. A ciò hanno senz’altro contribuito anche foto e video con strette di mano calorose e la cordialità dimostrata da Trump nei confronti del suo omologo russo. Tanto che quest’ultimo, insolitamente in inglese, non ha esitato a invitare Trump a Mosca per un nuovo incontro.
La forma, però, interessa poco, almeno qui. Ciò che rileva di più è che né Trump, né Putin hanno fatto riferimenti specifici a quanto detto o concordato durante l’incontro a porte chiuse. La conferenza stampa, in questo senso, è stata del tutto inutile. Quel che appare certo è che, almeno per il momento, non ci sia alcun cessate il fuoco in Ucraina, che era l’obiettivo principale dello stesso Trump, quantomeno per arrivare a un negoziato che potesse procedere senza particolari intoppi. Forse anche per questo motivo Trump, una volta concluso l’incontro, ha spiegato a Fox News come su un accordo “it's really up to President Zelensky to get it done”: adesso tocca al presidente ucraino Volodymyr Zelensky siglare un’intesa, non più a lui. E il suggerimento di Trump è quello di arrivarci quanto prima.
Probabilmente, è ciò che gli ha detto anche personalmente: dopo l’incontro con Putin, infatti, il presidente degli Stati Uniti si è sentito telefonicamente con Zelensky e, in seconda battuta, con i Paesi della Nato. Non solo: domani, infatti, il presidente ucraino sarà a Washington. Si prospetta un incontro difficile: secondo il Financial Times, infatti, Putin avrebbe chiesto il ritiro di Kiev dagli oblast’ di Donetsk e Luhansk in cambio del congelamento del fronte. E visto che già prima del vertice di Anchorage Trump aveva parlato della possibilità che ci fosse “uno scambio di territori” per arrivare al cessate il fuoco, con l’ovvia contrarietà di Zelensky, l’esito dell’incontro appare segnato.
Mentre Trump per ottenere la pace sembra essere intenzionato a discutere della cessione dei territori ucraini - anche se, va detto, ha garantito a Zelensky di non discutere di tale argomento durante l’incontro con Putin - i Paesi europei hanno riconfermato la volontà di porre pressione sulla Russia con sanzioni economiche finché non sarà raggiunta “una pace giusta e duratura”. Così è scritto in una dichiarazione che riporta la firma di Francia, Germania, Italia, Regno Unito, Finlandia, Polonia, Unione Europea e Consiglio d’Europa.
Secondo quanto appreso dopo il colloquio che Trump ha avuto anche con i leader europei, potrebbe essere portata avanti l’ipotesi di una garanzia in stile Nato per Kiev, senza che però l’Ucraina entri effettivamente a far parte dell’alleanza. Tale idea prende spunto dalla proposta che è stata lanciata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: in concreto, si tratterebbe di mettere a punto “una clausola di sicurezza collettiva” che permetta all’Ucraina di “beneficiare del sostegno di tutti i suoi partner, Stati Uniti compresi”.
Inoltre, da quanto raccolto dal New York Times, gli stessi leader europei sarebbero stati invitati a loro volta a Washington, insieme a Zelensky. Non è ancora chiaro se effettivamente qualcuno farà parte dei colloqui insieme al presidente ucraino, ma è già stata avanzata la richiesta che eventuali colloqui di pace si tengano in Europa, come per esempio a Roma o a Ginevra. Anche in questo caso, comunque, i Paesi europei restano saldi su due principi: nessuna cessione territoriale senza il coinvolgimento degli ucraini e garanzie militari per Kiev. Di fatto, la chiave potrebbe essere la tanto citata “soluzione coreana”: congelamento dei confini di guerra, come fu per la penisola asiatica.
Il pezzo della settimana
Sono moltissimi i pezzi che analizzano l’incontro tra Trump e Putin: inutile sceglierne uno. Quello suggerito, invece, prende in considerazione un aspetto interessante del fatto, ma che lo prescinde: il ruolo della Casa Bianca, oggi. Basta fare un giro sui social della “istituzione” che ospita i presidenti statunitensi: con l’arrivo di Trump, vi è una narrazione che, alle nostre latitudini, poco si sposa con la comunicazione istituzionale. E ciò che a volte da noi viene visto con ironia - l’uso del caps lock, per esempio; o i fotomontaggi improbabili come quello di Trump in versione papa - è in realtà parte di una narrazione precisa. Che è stata utile anche nel vertice con Trump. Il pezzo della settimana, firmato da padre Antonio Spadaro, paragona la Casa Bianca a una narrative factory. Si legge qui.
La canzone della settimana
La “soluzione coreana” farà la pace in Ucraina? Negli anni Cinquanta, sicuramente, la fece in Corea.