Brevemondo

Ucraina-Russia, Musk, Taiwan, Israele e Polonia

Attacchi coi droni, Musk e Trump stanno litigando, Xi Jinping marca Taiwan, una gang palestinese contro Hamas, in Polonia vincono i sovranisti

L’attacco ucraino e il futuro del conflitto

Poche ore dopo l’invio dell’ultima newsletter, l’Ucraina ha mosso un attacco mirato alle basi aeree russe grazie all’utilizzo di droni, colpendo due siti militari a Olenya, a circa 200 chilometri dal confine con la Finlandia, e a Belaya, poco a nord della Mongolia, dunque assai in profondità nel vastissimo entroterra di Mosca. Secondo le prime ricostruzioni, la flotta aerea del Cremlino avrebbe perso sei bombardieri strategici, a lungo raggio Tu-95 e quattro Tu-22M, ma anche aerei da guerra A-50.

Si tratta dell’operazione d’intelligence più importante di Kiev dall’inizio della guerra nel febbraio 2022. L’avanzata dell’esercito ucraino nel Kursk, avvenuta la scorsa estate, ha sì avuto una grande rilevanza, in quanto c’è stata un’effettiva occupazione di territorio russo, ma l’attacco della scorsa settimana è stato cruciale. Esso, infatti, ha dimostrato la capacità dell’Ucraina di colpire a enorme distanza dal confine, addirittura a quasi 5mila chilometri.

Vigili del fuoco ucraini dopo un attacco russo [X Account]

L’attacco ha messo nuovamente in discussione i fragilissimi tentativi di negoziato che, seppur con flebili speranze, si stavano tenendo a Istanbul. Del resto, la Russia ha prontamente risposto, sferrando una controffensiva con droni sulla città di Pryluky, nel nord dell’Ucraina, che ha provocato la morte di almeno cinque persone; e ancora, un attacco coi droni su Kiev ha provocato altri quattro morti. Ciononostante, il portavoce del Cremlino si è affrettato a dire che non si tratta della risposta al blitz ucraino: quella avverrà soltanto quando lo deciderà l’esercito russo. Mentre il presidente Vladimir Putin, dopo aver telefonato a papa Leone XIV, starebbe pensando a un attacco massiccio.

Alla fine Musk e Trump hanno litigato

Che Elon Musk si sarebbe allontanato dal Dipartimento per l’efficienza governativa, il famoso Doge, era ormai dato per certo. I timori degli azionisti sull’andamento negativo di Tesla hanno costretto l’imprenditore sudafricano a tornare a occuparsi delle proprie aziende. La novità della settimana, invece, è che ormai da ex componente dell’amministrazione statunitense, Musk ha lanciato delle critiche puntute contro il presidente Donald Trump.

In una lunga sfilza di tweet su X, di sua proprietà, Musk ha infatti preso di mira il One Big Beautiful Bill di Trump, la proposta di legge che il Congresso statunitense dovrà votare e che prevede tagli fiscali e un aumento della spesa pubblica soprattutto nel settore della difesa. Misure che, ovviamente, richiedono un esborso dello Stato federale, ciò contro cui Musk era stato sguinzagliato proprio dal presidente con l’obiettivo di tagliare e ottimizzare. Per questo, il fondatore di Tesla ha iniziato la sua campagna contro Trump al grido di Kill the bill, “ammazza la legge”.

E da una lite che potrebbe sembrare meramente personale o politica - dunque, niente di troppo serio - scaturiscono invece scenari non da poco per gli Stati Uniti. Trump, infatti, ha spiegato come “il modo più semplice per risparmiare soldi nel nostro budget” sia quello di “far terminare le sovvenzioni statali e i contratti con Elon”. In tutta risposta, Musk ha detto che smantellerà il progetto Dragonforce di Space X, ovvero la capsula spaziale utilizzata anche dalla Nasa e fondamentale per garantire il funzionamento della stazione spaziale. Non esattamente una lite di condominio.

La prima telefonata con Xi Jinping

Oltre al litigio con Musk, Trump ha avuto modo anche di confrontarsi per la prima volta con il presidente cinese Xi Jinping da quando ha fatto ritorno alla Casa bianca. E se Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo, almeno temporaneo, per quanto riguarda i dazi e la guerra commerciale che ne è scaturita tra aprile e maggio, la telefonata ha garantito un’intesa di massima anche sulle terre rare.

Lo ha affermato Trump, tanto per cambiare, su Truth, spiegando come i due abbiano concordato sul risolvere ogni questione relativa alla “complessità delle terre rare”, e che sul tema si incontreranno le delegazioni dei due Paesi in una località ancora da decidere. Anche da parte di Xi Jinping, comunque, pare ci sia stata la volontà di ricucire dopo lo strappo commerciale e di ridurre le incomprensioni tra Pechino e Washington.

Sullo sfondo, comunque, resta l’inaggirabile questione Taiwan. Xi Jinping, infatti, in aggiunta alle belle speranze su commercio e terre rare, avrebbe fatto capire a Trump come l’isola resti una linea rossa da non superare. Il progetto cinese, del resto, è chiaro: entro il 2049, anno del centenario della Repubblica popolare, Taiwan dovrà tornare sotto il diretto controllo di Pechino. Sembra impossibile, a oggi, che la questione possa risolversi del tutto pacificamente senza che gli Stati Uniti non perdano credibilità: l’ipotesi di lasciare Taipei nelle grinfie della Cina senza batter ciglio, rischiando di perdere posizioni nel Mar Cinese Meridionale e abbandonando un alleato nel momento del bisogno, comprometterebbe lo standing internazionale di Washington.

Netanyahu scaglia le gang contro Hamas

Si sono susseguite diverse voci, circa una possibile collaborazione tra l’esercito israeliano e alcuni gruppi paramilitari palestinesi per colpire dall’interno Hamas nella Striscia di Gaza. Un’ipotesi che, alla fine, è stata confermata dal premier Benjamin Netanyahu, che ha detto di aver collaborato con alcuni bande di jihadisti palestinesi. Il sostegno in questione sarebbe non solo di viveri e rifornimenti, ma anche di armamenti.

Nel dettaglio, questi gruppi fanno riferimento a Yasser Abu Shabab, a capo di un gruppo di guerriglieri che ha ampi margini di manovra soprattutto a sud della Striscia, nei territori che sono, tra l’altro, sotto il pieno controllo di Israele. Il piano di Netanyahu è quello di sostenere questo movimento armato con l’obiettivo di combattere Hamas dall’interno. Ciò nonostante i miliziani di Abu Shabab siano stati, in passato, tra i principali sostenitori dello Stato Islamico.

Il sostegno ad Abu Shabab è rilevante anche per quanto riguarda la gestione e la distribuzione degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Mentre i siti della Gaza Humanitarian Foundation sono stati chiusi, la banda di Abu Shabab è accusata ormai da tempo di saccheggiare e depredare gli aiuti destinati alla popolazione, con l’obiettivo di rivenderli a prezzi insostenibili per finanziare le proprie attività.

La Polonia sceglie Nawrocki

Al ballottaggio per decidere il nuovo presidente della Repubblica, la maggioranza degli elettori ha scelto Karol Nawrocki, candidato conservatore sostenuto dal partito Diritto e Giustizia, del quale comunque non fa parte. In ogni caso, si tratta di un successo per lo schieramento euroscettico, mentre è, in modo speculare, una sconfitta per gli europeisti, che avevano scelto di candidare il sindaco di Varsavia, Rafał Trzaskowski.

Nawrocki è anche sostenitore di Trump, che a sua volta si era espresso pubblicamente in suo favore. Dopo il successo alle elezioni, il presidente degli Stati Uniti ha scritto su Truth complimentandosi con Nawrocki, definito senza giri di parole come “un alleato di Trump”.

Karol Nawrocki [X Account]

Per il presidente del Consiglio polacco, Donald Tusk, l’elezione di Nawrocki non resterà senza ripercussioni. Tusk, che è stato anche presidente del Consiglio europeo, è alla testa di un governo europeista, ma il sistema istituzionale del Paese può prevedere - come in questo caso - una coabitazione tra forze politiche diverse nei due principali organi esecutivi: presidenza della Repubblica e presidenza del Consiglio. Proprio a seguito della vittoria di Nawrocki, Tusk ha annunciato che mercoledì 11 giugno chiederà un voto di fiducia alla Camera bassa del Parlamento polacco: un modo per serrare i ranghi della propria coalizione.

Il pezzo della settimana

Perché quella che sembrava essere una vera e propria bromance tra Trump e Musk è finita? E come potrà evolvere la situazione? Domande che non riguardano soltanto i rapporti personali tra i due: ci interesserebbe poco. Riguardano bensì il senso dell’amministrazione Trump e il consenso che questa ha in quella che è stata definita tech right, la “destra tecnologica” dei vari Musk, Peter Thiel, Palmer Luckey e Larry Fink. Una previsione di David Streitfeld: si legge qui.

La canzone della settimana

Senza la Dragonforce, la Nasa avrebbe più di un problema nel portare avanti alcune delle sue attività, rendendo quasi impossibile il mantenimento della stazione spaziale. Niente più rocketman, insomma.