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Imprese & Professioni lunedì 15 ottobre 2018 ore 10:50

Quando dovrebbe fermarsi il calcio?

Le recenti contestazioni dei tifosi pisani per la partita giocata contro l'Arezzo nonostante i drammatici incendi nel territorio circostante, riaprono un tema da sempre molto dibattuto: quando dovrebbe fermarsi il calcio?



TOSCANA — Lo scorso fine settembre, con la contestazione da parte della tifoseria pisana per la disputa della partita di calcio tra lo stesso Pisa e l'Arezzo mentre alcuni incendi devastavano drammaticamente il territorio del Monte Pisano, è tornato di stretta attualità un tema molto delicato ovvero se far disputare ugualmente eventi sportivi, soprattutto calcistici, quando accadono eventi tragici come i già citati incendi o altre vicende molto dolorose anche piuttosto recenti come il crollo del ponte di Genova o la prematura e drammatica scomparsa del capitano della Fiorentina Davide Astori.

Il tema è davvero molto delicato e non si può certo affrontare con leggerezza come ad esempio elencare i migliori siti di scommesse online o polemizzare sulle discutibili scelte arbitrali di giornata ai danni della propria squadra del cuore. Ci sono due scuole di pensiero contrapposte sull'argomento e nel mezzo tante possibili gradazioni.

C'è chi afferma utilizzando un modo di dire anglosassone che in ogni caso "Show Must Go On". Lo spettacolo deve andare avanti qualsiasi cosa accada. Vuoi per rispetto degli spettatori, vuoi per una sorta di deontologia professionale che un calciatore ma anche un attore o qualsiasi altro uomo o donna di spettacolo dovrebbe avere, non ci si dovrebbe mai fermare che sia per ragioni personali o legate a questioni pubbliche.

Ma non è forse un caso che il motto prima citato venga proprio dal mondo anglosassone, forse più freddo e meno incline all'emotività del momento, aspetto che forse caratterizza noi popoli mediterranei dove invece si trova più consono in alcune situazioni "fermare tutto" quando accade qualcosa che tocca profondamente la sensibilità personale di molti.

Ovviamente in campi come questi non può esserci una ragione oggettiva e spesso ci sono anche altre questioni in concomitanza a far pendere la bilancia da una parte o dall'altra. Il ricordo ancora piuttosto forte non può che andare in Belgio, alla strage dell'Heysel del 29 maggio 1985. Prima dell'inizio della partita tra Juventus e Liverpool, finale dell'allora ambitissima Coppa dei Campioni (l'attuale Champions League), 39 persone di cui 32 italiani, perdono la vita ed oltre 600 rimangono ferite per le intemperanze delle frange più violente della squadra inglese. Nonostante le squadre non volessero giocare, dalle forze dell'ordine belghe e dagli allora dirigenti dell'UEFA arrivò l'ordine categorico di giocare lo stesso per evitare ulteriori tensioni ed evitare altri scontri tra le tifoserie.

Anche più recentemente, lo scorso marzo per l'improvvisa morte di Davide Astori, la situazione fu particolarmente caotica. Se fu naturale ed immediato rinviare Udinese - Fiorentina, non fu così per le altre partita in particolare per Genoa - Cagliari. Ci fu quasi una sollevazione da parte dei giocatori per non giocare, con i sardi ancora più profondamente colpiti visto che lo sfortunato difensore aveva giocato per moltissimi anni nel capoluogo dell'isola.

I casi sono tanti ed ovviamente ne accadranno purtroppo altri. Ragionando su queste cose però, ci vorrebbe lo sforzo di comprendere le ragioni altrui e quanto meno rispettare senza arrivare a prese di posizioni spesso intolleranti e violente da una parte e dall'altra e spesso amplificate dalla velocità dei social media.


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