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La crisi della democrazia (e la nostra parte)

di - mercoledì 06 dicembre 2023 ore 08:00

Analisti prestigiosi dispensano brillanti descrizioni dell’apatia della popolazione nei confronti della politica e della partecipazione al dibattito relativo. Sono anche bravi, a volte, ma sono sociologi di seconda mano, costretti, nel migliore dei casi, a banalizzare o riportare in forma semplificata studi di altri.

I popoli in verità ogni tanto si ribellano, a modo loro si dibattono, reagiscono con il famigerato populismo, che sarebbe più giusto definire demagogia, alla effettiva marginalizzazione che subiscono e confusamente avvertono. Non è indifferenza, né si può qualificare come antipolitica la critica, per grossolana o rozza che sia.

Coloro, e sono i più, che continuano a coltivare le proprie idee, non scoraggiati dall’impotenza e dall’ininfluenza, con veemenza ed entusiasmo, rischiano delusioni e frustrazione. Le stesse intenzioni proclamate dai politici di professione, infatti, sono inefficaci, flatus vocis: come potremmo incidere noi poveri cittadini in qualsivoglia ambito della vita pubblica?

Mi vedo ascoltare incantato, assorto, imbambolato, compiaciuto, irritato o con altro trasporto emotivo le dichiarazioni dei politici ai TG, perché incredibile a dirsi fanno notizia, e mi viene da sorridere della mia inguaribile ingenuità.

A questo proposito contiamo in futuro di poter impiegare l’intelligenza artificiale con risparmi milionari o pappagalli che potrebbero recitare quella parte con maggiore simpatia per po’ di granaglie.

Sociologi veri e non improvvisati hanno ben descritto la crisi della democrazia, le cause e le conseguenze. Lo stato ridotto al solo ruolo di gendarme, privatizzazioni a tappeto motivate dalla sua incapacità, dispensatore di elemosine e non agente di ridistribuzione della ricchezza e di promozione dell’uguaglianza; sindacati screditati da fallimenti e dalla perdita della rappresentatività; partiti politici preoccupati della propria organizzazione e del consenso da utilizzare per i propri esponenti, che usano il linguaggio del marketing e della pubblicità; l’economia nelle mani della finanza e collegata al potere politico dalle lobbies. Il mercato ha le sue leggi adattate alla globalizzazione.

Nella crisi della democrazia, a noi persone comuni, soggetti passivi della propaganda, quale parte rimane? A me almeno, che cosa resta? La parte del fesso, temo.


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