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Attualità mercoledì 08 novembre 2023 ore 10:15

Mille modi di avere i piedi piatti, il segreto nell’osso navicolare

piedi

Ci sono anche scienziati toscani nello studio sull'evoluzione del piede, capolavoro biomeccanico su cui poggia, letteralmente, la specie umana



PISA — Si fa presto a dire piede piatto: ci sono mille modi di manifestare la diffusa condizione dell'appiattimento dell'arco longitudinale mediale, che per altro non è che una delle molteplici variabili che possono interessare il piede. Ad affermarlo è una ricerca che vede fra i protagonisti scienziati toscani e che punta sugli aspetti evolutivi del piede umano, capolavoro della biomeccanica su cui poggia, letteralmente, l'evoluzione della specie.

“Il piede umano è uno dei più complessi capolavori dell'evoluzione, un'opera d'arte della biomeccanica: non è solo una struttura che ci permette di camminare, correre e saltare, ma è un vero e proprio testimone del nostro passato e del nostro presente”, afferma Rita Sorrentino, ricercatrice al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e prima autrice di un ampio studio, pubblicato su Communication Biology, che getta nuova luce sulla complessa evoluzione dei nostri piedi.

L’attività di ricerca – che ha coinvolto anche studiosi dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e dell’Università di Pisa – si è concentrata sull’arco longitudinale mediale del piede: una caratteristica unica che differenzia l'Homo sapiens dai primati non umani.

L’arco longitudinale e il problema dei piedi piatti

L'arco longitudinale, spiega una nota dell'università di Pisa, è un adattamento funzionale che permette al piede di passare da ammortizzatore a leva durante le fasi di contatto e distacco con il terreno: un meccanismo che permette di avere una camminata bipede efficiente. 

Nonostante la sua rilevanza, non è però ancora chiaro quando questa caratteristica sia comparsa nel corso della nostra storia evolutiva. E a complicare ulteriormente il quadro c’è il tema dei piedi piatti: una condizione diffusa, caratterizzata da un appiattimento più o meno accentuato dell’arco longitudinale mediale.

L'evoluzione del piede

L'evoluzione del piede (Fonte: Unipi.it)

Non tutti i piedi piatti sono uguali e le definizioni cliniche di piedi piatti negli esseri umani viventi non hanno raggiunto un consenso”, spiegano infatti Alberto Leardini e Claudio Belvedere, studiosi del Laboratorio di Analisi del movimento e valutazione funzionale protesi dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, tra gli autori dello studio.

Per cercare di trovare risposte, gli studiosi si sono concentrati in particolare sul ruolo dell’osso navicolare, la chiave di volta dell'arco longitudinale mediale del piede.

“Gli individui con piedi piatti acquisiti in età adulta mostrano differenze nella forma del navicolare rispetto a quelli con archi normali o piedi piatti congeniti, cioè presenti dalla nascita”, spiega Maria Giovanna Belcastro, professoressa al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna e coordinatrice del lavoro. 

Uno sviluppo, questo, che solleva interrogativi sulla natura dei piedi piatti congeniti, suggerendo che possano rappresentare una variante normale della morfologia del piede, ed evidenziando quindi l'importanza della morfologia ossea nella struttura dell'arco del piede.

Piedi e stili di vita

Un altro aspetto affascinante su cui si sono concentrati gli studiosi riguarda le differenze tra gruppi di popolazioni moderne di Homo sapiens. I risultati suggeriscono infatti che lo sviluppo dell’arco longitudinale possa essere influenzato da variabili come il tipo di calzature, lo stile di vita e le strategie di locomozione prevalenti.

"Abbiamo visto che gli individui appartenenti a gruppi di cacciatori-raccoglitori, che vivono senza calzature, mostrano piedi più flessibili nella mobilità e relativamente più piatti rispetto a quelli delle popolazioni che utilizzano calzature moderne", dice Damiano Marchi, professore all’Università di Pisa, tra gli scopritori di Homo naledi e tra i coordinatori dello studio. 

"Queste differenze possono essere attribuite a stili di vita e pratiche culturali: i piedi delle popolazioni di cacciatori-raccoglitori potrebbero quindi rappresentare una forma più vicina a quella dei nostri antenati preistorici".

Fossili a confronto

L'indagine ha anche messo a confronto la struttura dei nostri piedi con i fossili di Homo sapiens antichi e di altre specie umane del passato.

"Alcuni dei fossili analizzati, come quelli di Homo floresiensis, Australopithecus afarensis e Homo naledi, mostrano caratteristiche nel navicolare più simili a quelle dei grandi primati non umani, suggerendo un adattamento a uno stile di vita sia arboreo che bipede", spiega Stefano Benazzi, professore al Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, tra i coordinatori dello studio. "Allo stesso tempo, i fossili di Homo habilis sembrano avere una configurazione più simile ai piedi degli esseri umani moderni".

Lo studio offre in definitiva un nuovo punto di vista sull'evoluzione del piede umano e sulla sua variabilità, contribuendo alla nostra comprensione di come questa parte del corpo si sia adattata alla locomozione bipede.

“Gli esiti di questa indagine - è ancora Sorrentino - permettono di ricostruire una panoramica completa della variabilità morfologica del piede umano nel corso dell'evoluzione e sollevano importanti questioni riguardo ai piedi piatti congeniti, suggerendo che possano rappresentare una variante normale della morfologia del piede umano”.

I protagonisti dello studio

Lo studio è stato pubblicato su Communications Biology con il titolo “Morphological and evolutionary insights into the keystone element of the human foot’s medial longitudinal arch”. Le indagini sono state condotte da un team internazionale e multidisciplinare composto da paleoantropologi, bioarcheologi, ingegneri biomeccanici e ortopedici e guidato da ricercatori dell’Università di Bologna di diversi dipartimenti: Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali (Maria Giovanna Belcastro, Annalisa Pietrobelli, e Rita Sorrentino), Ingegneria Industriale (Michele Conconi e Nicola Sancisi), Beni Culturali (Stefano Benazzi e Carla Figus).

Allo studio hanno preso parte anche ricercatori e professionisti di: Università di Pisa, IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli, University of Southern California, University of the Witwatersrand, University of Colorado, Monash University, Collège de France - Paris, Max Planck Institute for Evolutionary Anthropology, Georgian National Museum, Institute for Anthropological Research – Zagreb, University of Southern California, Washington University in St. Louis, New York University, Naturalis Biodiversity Center - Leiden, Western University, The Pennsylvania State University, Dartmouth College.


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