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INCIPIT - La seconda triade

di - domenica 11 giugno 2023 ore 08:00

In questa seconda triade di Incipit presento tre romanzi diversi per caratteristiche narrative e tipologie di contenuti, ma tutti estremamente originali.

Il primo è un racconto introspettivo sui fatti terribili di Genova e sul famigerato G8; l’autrice è Cristina Pacinotti e la prefatrice Dacia Maraini.

Il secondo racconta la storia travagliata e conflittuale di una donna, Elena. L’autrice è Anna Romei con prefazione di Maria Rita Parsi e postfazione di Domenico Corradini H. Broussard.

E infine il terzo, di Tiziana Guggino, con prefazione di Daniele Luti che affronta i temi della magia nera, della violenza nell’ambito familiare e dell’adozione.

Come per gli altri tre seguirò questa metodologia minimalista che consiste nel presentare i testi solo attraverso le prefazioni e le quarte di copertina; come fossero esposti sugli scaffali di una libreria

CRISTINA PACINOTTI

In quei giorni c’era molta luce

Nota introduttiva di Dacia Maraini

Dopo aver letto questo racconto intenso e ben costruito che unisce la narrazione degli atroci fatti di Genova alle esperienze più intime e personali, mi sono venuti in mente due parole: la prima è scorticata. Cristina Pacinotti ha fatto il ritratto commovente di una giovane donna scorticata dalle delusioni politiche, dai tormenti d'amore, dai tradimenti, dalla morte di chi gli è caro, dalle trasformazioni, dalle attese amarissime. L'altra parola è crescita e la domanda che la accompagna è: il dolore provoca crescita e maturazione o distruzione? La risposta non si trova nel libro, per fortuna direi, perché Cristina Pacinotti soprattutto scrive per capire e per domandarsi, piuttosto che per dare risposte o per fare rivelazioni. E noi la seguiamo nel suo angoscioso interrogarsi - non privo di momenti di umorismo e di allegria - perché sentiamo che si tratta di una testimonianza, non importa quanto veritiera, ma profondamente sentita e patita.

Dalla quarta di copertina

A Genova, in quei giorni, finalmente la luce, quella che illumina la moltitudine in piazza per un mondo diverso e risveglia l’anima e i sensi di una donna segnata dal dolore. Proprio lì dove qualcuno perdeva la vita, qualcun altro si scoprirà di nuovo capace di amare e di condividere.

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ANNA ROMEI

Quello che il tempo lascia

Prefazione "Quello che il tempo lascia" di Maria Rita Parsi

L'idea dello scorrere degli anni, delle epoche, dei periodi della grande storia, come pure dei nostri personalissimi ma non meno importanti anni di vita, può essere pensata secondo le diverse ed affascinanti cifre del cambiamento e del Progresso della ciclicità, dei corsi e dei ricorsi, della cronologia, dei ritmi e dei bioritmi, Insomma del tempo in tutte le sue manifestazioni, del suo scorrere costante ed inesorabile: il tempo è il dio Crono che può tutto e rappresenta, in origine, il potere totale come atemporalità immobile e perpetua

Un'idea di potenza, insomma, ma di potenza che deve, prima o poi, necessariamente coniugarsi con la dimensione del mutamento, come mostrano bene certi anni e certi periodi, che sono poi gli anni di cui parla la nostra autrice, gli anni in cui come donne, abbiamo messo radicalmente in discussione una certa atemporale idea di potere, abbeverandoci al nostro stesso bisogno di andare oltre e di sentirci libere, senza farci spaventare da un ordine che sembrava eterno, che ci opprimeva e ricattava dal di fuori e anche dal di dentro, inibendoci di paure e sensi di colpa.

Il tempo delle donne ha cominciato, da qualche decennio, a scorrere secondo un ritmo nuovo e si è arrestato il ripetersi sempre uguale di obbedienza a vecchi schemi non più funzionali; un tale processo è cominciato proprio a partire da esperienze simili a quelle di Elena, la protagonista del romanzo, una donna come noi , ma che non aveva mai obbedito ciecamente a nessuno e che ha accettato di operare un deciso cambiamento di rotta pur di entrare in esperienze, anche conflittuali di variazione continua, di mutamento di sé. Quando pensa al suo passato alla sua biografia, Elena rivede questi mutamenti ed è coscienti di quanto a volte siano costati disapprovazione e dolore.

Per associazione di idee ricordò che suo padre l'aveva soprannominata gramigna, l'erba che infesta i campi in maniera ostinata e caparbia. Gramigna perché era stata lei a ledere il principio paterno di autorità, discutendo e ribellandosi, dando il cattivo esempio, infestando la famiglia come la gramigna nei campi-

Elena è una protagonista della vita, che si è formata, e forse anche, in parte, illusa e delusa, in un tempo ricco di esperienze altamente formative, vale a dire quel momento di passione e di temperie culturale, sociale e politica che ci ha coinvolte come donne, quando abbiamo spinto con forza in direzione di un rinnovamento radicalissimo dei metodi e della comunicazione in campo sia privato sia sociale, permettendo a noi stesse di diventare fino in fondo protagoniste delle nostre vite e rivendicando il possesso pieno di capacità di agire e decidere, nonché di tutti quei preziosissimi strumenti atti a fare cultura e comunicazione per poterci esprimere e contare veramente.

È stata una stagione in cui il tempo scorreva rapido, convulso, segnato da quell'ansia dell'autonomia che permea tutto il romanzo e la storia di Elena, patrimonio di vissuti forti che si rispecchia in mille dimensioni, non relegando la realizzazione di sé alla sola vita familiare. Elena è una donna che lavora, che fa politica, che sceglie di avere un figlio quando tutto attorno sembra dirle di di no, Elena è un bellissimo personaggio molto vicino alla realtà, dato che vuole cambiare le cose che non le piacciono ed è pertanto sempre in viaggio verso qualcosa di ulteriore o verso le conquiste che sembravano già fatte e che invece vanno riaffermate ogni giorno.

Questo bel romanzo mi ha comunicato una grande energia e un grande calore, ha fatto eco con la mia personale passione per il cambiamento e la crescita, perché ha una squisita visione femminile delle cose e ci racconta che crescere non è un processo che si possa pensare di fare una volta per tutte, ma è, semmai, piuttosto un insieme di processi e traguardi che va ribadito e riguardato con amorevole cura, per poter partire ancora, ogni giorno in direzione di punti da cui ricominciare e diventare, man mano che il tempo scorre e ci lascia nelle mani l'eredità di ciò che abbiamo seminato, fino in fondo sempre più noi stessi

Postfazione

"Cominciando d’A" di Domenico Corradini H. Broussard

Il tuo romanzo, Anna, è un romanzo d'amore. E come l'amore, breve ma intenso. Nasce da una sofferenza e fa soffrire. Nasce dalla tua sofferenza. Dalla tua solitudine. Dall'abisso che ha cercato di consumarti. Dalla tenacia con cui dall'abisso sei risalita. Dal tuo coraggio di intravedere, di intravederti. E alla fine, se davvero una fine c'è, su quelle pagine non resti che tu: gli altri sono comparse, non personaggi, compaiono e scompaiono in un batter di ciglia. Le amicizie, tante, non ti sono bastate. Non ti è bastato l'impegno politico. E, nella follitudine di questo nostro mondo, dove appunto ci si trova spesso soli tra la folla, hai dovuto esercitare l'arte più difficile: diventare amica di te stessa. Hai rischiato. Hai giocato alla lotteria che da sempre sta a Babilonia. Ma ci sei riuscita. Hai vinto. Ti sei vinta. E con l'umiltà dei cuori miti.

Meriti una testimonianza. Questa.

Come si chiamava non importa perché aveva mille nomi. Conosceva le Cento Maledizioni e le Dieci Parole della Verità. E come tutti i bambini giocava. Se a una persona voleva fare un dispetto, tirava fuori le Cento Maledizioni e gliele recitava una a una. Per arrivare dalla prima alla centesima ci voleva tempo.E intanto quella persona smagriva, ogni filo d'acqua e di sangue le si prosciugava,la pelle aderiva alle ossa, le ossa cominciavano a scricchiolare, noci in un pugno, finché non si riducevano a un mucchio di cenere. Allora la bambina soffiava sulla cenere che andava dove andava il vento. E quando la cenere si posava sul mare o sulle montagne, l'incantesimo si scioglieva. I Granelli si cercavano, si adunavano, ed ecco di nuovo la persona che le Cento Maledizioni avevano distrutto.

La bambina abitava in una terra circondata da mari e montagne. I mari erano tanti e tante le montagne, che non si sapeva se erano le montagne a nascere dai mari o i mari dalle montagne. In questa terra nascosta tra le nostalgie degli Dei la bambina non era felice. Un pensiero l’ assillava, si sentiva sempre in credito. Dovunque vedeva debitori. Anche un albero, i tuoi rami sono carichi di frutti marciti, un debitore.E una pecora, tu sia sventurata, mi hai dato poco latte, se me lo bevo non mi cuocio il formaggio. E il padre e la madre, non sono niente dieci centesimi, domani venti, poi trenta e quaranta e sessanta. Di giorni in giorni i suoi debitori aumentavano. Un libro nero dove segnarli. Non bastò. E di libri neri riempì la sua stanza, sui libri neri camminava, mangiava, i cuscini erano libri neri e le lenzuola pagine di libri neri.

Poi un'idea: " Ho un solo debitore, la prima lettera dell'alfabeto. " Ma come far pagare alla A tutti i debiti? Bisognava conoscere la storia di Tristano e Isotta, di Paolo e Francesca, di Romeo e Giulietta, e altre storie. E la bambina se le fece raccontare e capì che quelle storie erano identiche. Ci si guarda negli occhi e ci si intende senza parlare, e se ci si guarda negli occhi è bello perché ci si guarda, e la notte si sognano occhi che ti guardano, al mattino li si continua a cercare e poi è ancora più bello più bello degli occhi e del guardarsi negli occhi, si cammina per mano, la strada è lunga, si è contenti che lo sia, c'è il sole si è contenti del caldo, ci sono le stelle in raggi di tenebra, c'è acqua e c'è ombra, l'eterno è nel delirio di soli e di stelle

La bambina pronunciò allora le Dieci Parole della Verità: " Il potere impingua e per esercitarlo ci vogliono uomini magri. La fiamma del focolare è l'abbraccio del papà. Eva mandò nell'Eden un asino carico di miele, ma non fu perdonata. Il cielo si muove perché gli uomini stanno fermi. Quando la strada principale della tua città ti sembra stretta devi fuggire. Quando la porta della tua casa ti sembra larga., restringila. Meglio trovare un tesoro che un amico. Meglio tacere che dire parole insensate. Il padrone c’è se i servi ci credono. Il fuoco brucia le stoppie non le anime.

" Al suono dell'ultima, Parola della Verità, la bambina fu trascinata In un vortice. Giù sempre più giù, le sue mani tremavano in cerca di un appiglio, il suo cuore batteva misurando gli istanti. Girandola di capriole.

Alla fine della bambina giunse a un trono d'oro.

"Che vuoi?" domandò il dio seduto sul trono d'oro.

"Voglio la A, voglio sapere come conservarla e da te voglio sapere perché sei il Dio del Tempo. “

Il Dio del Tempo, raccontò alla bambina tutte le storie del mondo e tutte cominciavano da A.

"Bambina mia, l' Amore è più forte del Tempo, non posso impedire che imbocchi i sentieri dell'Eterno."

“ Allora bisogna cominciare sempre da A.?”

“Sì”.

Leggera come una piuma di gabbiano, la bambina tornò alla sua terra, fra mari e montagne.

E dimenticò le Cento maledizioni. E la cenere..

Va bene, Anna, my old friend among the University – deskes?

Pure tu hai dimenticato le Cento Maledizioni. E la cenere.

Quarta di copertina

E’ bella la complicità che si crea fra le donne, è intima, avvolgente e un po’ beffarda, riesce ad essere un cerchio che, mentre si chiude intorno al gruppo, è pronto a riaprirsi.

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TIZIANA GUGGINO

La gabbia dei leoni

Prefazione di Daniele Luti

Il romanzo di Tiziana Guggino coniuga elementi propri della tradizione letteraria dell'Ottocento con quelli della narrativa contemporanea. Ci sono la passione, la decadenza, la resurrezione, la dimensione corrotta, i padri perfidi, le donne cadute ed improvvisi oceani di dolcezza sulla falsariga dei “drammi” d’ appendice ; c'è il racconto franto, labirintico, strutturato secondo una ricostruzione del tempo e dei luoghi come si conviene alle invenzioni della nostra epoca.

La scrittrice come una novella Arianna ci guida all'interno della scatola magica del suo universo fiabesco senza risparmiare al lettore colpi di scena e descrizioni acribiche, capillari dei personaggi e dei luoghi, avendo sempre in mente di rendere organico il suo stile ad una storia di nomadi come lo sono gli uomini e le donne del circo. È come se la scrittura, resa preziosa dalle analessi e dalle prolessi, dovesse fare di tutto per diventare essa stessa una gitana.

Ho particolarmente gradito il suo sforzo di inserirsi, con una storia robusta e densa di spunti e di fatti, nell'attuale vuoto della scrittura, nella crisi di immaginazione che ha prodotto quella che un grande scrittore ha definito punto zero o letteratura negativa.

Il romanzo di Guggino ottiene miracolosamente il risultato di agganciare il lettore (il suo interesse si orienta anche verso il pubblico medio), di produrre quella immedesimazione nei protagonisti e nelle loro vicende tormentate che è il carattere proprio della buona letteratura popolare.

L'opera non si dà modelli aristocratici, non tradisce il gusto

a volte è fastidioso della saccenza e dell’ ammiccamento colto, tanto per esibizione, ha casomai una struttura che ricorda la tecnica televisiva, quella dei serial che tanto sono amati dal vasto pubblico dei pomeriggi invernali. Ed è proprio questa autenticità che me l'ha fatto valorizzare e gradire.

Particolarmente felici sono le pagine in cui si raccontano pittoricamente paesaggi di altri continenti, di altri mondi: possiamo avvertire i sapori, gli odori, le fragranze di terre lontane dal nostro mondo e una verginità che non perde mai lo spessore del vero, che non ti viene mai fascinoseria patinata.

Tiziana Guggino dice di aver trascritto, mettendoci del suo, investendo in fantasia, una storia vera che gli è stata raccontata da uno dei protagonisti. Questo, naturalmente, potrebbe essere un calco malizioso dell'espediente a cui ricorrevano, noti e non noti, gli scrittori dell'Ottocento, ma anche se tutto corrispondesse alla verità non ne perderebbe la storia dal momento che, come sappiamo, la vita molto spesso imita l'arte.

Quarta di copertina

E’ il 2039 a New York. Marco Antonio Aschler, ricco uomo d’affari italo- brasiliano, accompagna i due nipoti alla prima di un circo italiano di cui suo padre Gianni era stato il domatore dei leoni.

In un delirio di ricordi, Marco Antonio rivive, nello spazio temporale dello spettacolo, le drammatiche vicessitudini della propria esistenza.

Un romanzo che, toccando i temi della magia nera, della violenza nell’ambito familiare e dell’adozione, sfocia, come un fiume in piena, nella ricerca da parte del protagonista, dei genitori naturali con un finale del tutto inaspettato.