A proposito del teatro: Dario Marconcini
di - sabato 23 ottobre 2021 ore 08:00
Attore e regista di Pontedera (Pisa), nasce nel 1936 e inizia a recitare alle scuole superiori insieme ad altri studenti, momento che anticipa la nascita del Piccolo teatro di Pontedera. Dario Marconcini si forma come attore attraverso differenti mondi, come il teatro universitario di Pisa, il Teatro di Livorno e la Filodrammatica di Pontedera. Negli anni Sessanta Dario Marconcini fonda a Pontedera il Piccolo Teatro, in cui tiene anche corsi di recitazione, vivendo in quel periodo una doppia vita lavorando di giorno nella fabbrica di famiglia, la sera agli spettacoli a teatro.
È uno dei cofondatori, con Roberto Bacci, del Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale di Pontedera (1974), un teatro alla ricerca di forme dimenticate come il teatro delle marionette napoletane o i “pazzarielli” della tradizione di strada. Negli stessi anni fa parte di un piccolo gruppo di dilettanti ispirati dal Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina. Nascono in questo periodo tantissimi e differenti spettacoli: tra i più significativi possiamo citare Frammenti e Macbeth. Insieme a Roberto Bacci contribuisce a rendere la cittadina di Pontedera un inaspettato centro del teatro del secondo Novecento; i due artisti creano un teatro povero e al tempo stesso megalomane, pensato in grande e che accoglie teatri lontani fra cui l’Odin Teatret di Eugenio Barba e successivamente il Teatr Laboratorium di Jerzy Grotowski.
Nel 1984 Dario Marconcini, insieme a Paolo Billi, intraprende una nuova avventura: a Buti, piccolo comune in provincia di Pisa, decide di avviare una ricerca sulle possibilità di contaminare il patrimonio della tradizione popolare con alcune forme di sperimentazione teatrale contemporanee. Dalla collaborazione con Billi nascono in questo ambito diversi spettacoli di cui Marconcini cura la messa in scena, fra questi citiamo Gerusalemme liberata (1987) con Toni Servillo, Paola Casale, Silvia Pasello e la Compagnia del Maggio, Madre courage (1988) di Brecht con Marion D’Amburgo, Massimo Salvianti che vede di nuovo la presenza della Compagnia del Maggio e Diario di un curato di campagna da Georges Bernanos. Non manca la sua partecipazione al grande schermo, entrando a far parte del cast di tre film del regista Paolo Benvenuti quali Confortorio (1992), Tiburzi (1997) e Puccini e la fanciulla (2008) insieme a tre film di Jean Marie Straub e Danièle Huillèt. Inoltre, nel 2015 ha partecipato come interprete alle riprese film Journal d’un disparu, per la regia di Joseph Rottner.
La prima domanda che ti facciamo è a che cosa stai lavorando adesso ?
Il progetto a cui sto lavorando è Paesaggio di Harold Pinter. La prima parte della stagione è iniziata a Buti con due spettacoli curiosi, dove il pubblico è completamente al buio, ciò rappresenta perfettamente l’esclusione l’isolamento che ha portato a tutti noi il Covid. E’ un processo creativo che porta al risveglio dei sensi, in particolare dell’udito. Nel primo spettacolo abbiamo ascoltato la parola di Dante che ha ritrovato la sua forza originaria. Il Pinter che porto in scena, insieme a mia moglie Giovanna, è una cosa nuova, per quaranta minuti recitiamo dando le spalle al pubblico.
Vorrei ricordare Ennio Morricone che invitava ad assistere ai suoi concerti chiudendo gli occhi oppure Federico Fellini che, nel finale della Voce della luna, invitava a fare silenzio.
In certi momenti è significativo negare l’immagine, la presenza scenica. Il lavoro di Pinter lavora molto sulle pause, sui silenzi, sui momenti di sospensione.
Quali sono le differenze tra teatro e cinema. Due linguaggi che hai frequentato in momenti diversi.
Sono due mondi differenti. In teatro non credo al personaggio, mentre nel cinema il personaggio è fondamentale. Nelle riprese che possono durare alcuni minuti devi essere sempre al massimo, nel cinema, con Straub, abbiamo lavorato molto sulle pause, sui silenzi, sullo sguardo.
Nella tua lunga carriera artistica hai conosciuto molti attori, da Dario Fo a Grotowskij. Quali sono gli incontri che ti hanno segnato?
A Buti ha esordito come attore Filippo Timi e un giovane Toni Servillo ha fatto uno dei suoi primi spettacoli in quel teatro con la mia regia. Sono due artisti diversi, ma che mi hanno dato grandi soddisfazioni e ho seguito con piacere i loro futuri successi. Comunque chi mi ha segnato un po’ come attore, lavorandoci insieme, sono stati Richard Cieslack, Jerzy Stuhr e Marisa Fabbri.”.
Come nata l’idea di fondare il Piccolo Teatro di Pontedera ?
Avevo fatto un seminario sul teatro all’Università di Pisa, dopo ci venne l’idea di chiedere uno spazio pubblico al Comune. Si inizio a studiare sui libri, poi venne l’idea di invitare questi autori a Pontedera. Prima andammo in Danimarca per invitare Eugenio Barba, poi in India e a Bali per approfondire il teatro orientale. In un certo modo si può affermare che il meglio del teatro mondiale è passato da Pontedera, come non ricordare la presenza di Peter Brook.
Il rapporto della città con il teatro è sempre stato conflittuale.
Il teatro è sempre stato considerato una cosa altra, diversa. C’è sempre stato un conflitto tra la città e le nostre esperienze teatrali. Non c’è mai stata una vera comunicazione, ci sentivamo quasi isolati dal resto della città.
Quali sono due spettacoli che ricordi con più piacere ?
Il mio spettacolo sul Faust e il Minimacbeth. Vale la pena ricordare anche “Il diario di un curato di campagna” che nasceva direttamente dalla sceneggiatura del film di Bresson.
Quale consiglio puoi dare ad un giovane che vuol fare teatro?
Per fare teatro bisogna essere molto curiosi e leggere numerosi libri. Viaggiare e aprirsi al mondo fantastico, all’avventura. Questo può essere un punto di partenza.
Come è il rapporto sulla scena con Giovanna Daddi che è anche la tua compagna nella vita ?
E’ stato molto semplice, è nato un rapporto di assoluta complicità. Insieme abbiamo cercato nel mondo tracce di teatro: dai riti magici in Africa alle tracce turche presenti in Medea. E’ un viaggio nella vita e nell’arte che abbiamo compiuto insieme, superando le difficoltà che si presentavano strada facendo.