Cultura venerdì 23 agosto 2024 ore 16:10
Robot negli abissi per studiare i relitti romani
Si chiamano Multi Pluto e Pluto Palla i Rov abissali che hanno esplorato le profondità fra Elba e Pianosa per uno studio dell'università di Venezia
ARCIPELAGO TOSCANO — Loro sono Multi Pluto e Pluto Palla. Sono i robot abissali che alla fine di Luglio hanno esplorato gli abissi fra Elba e Pianosa per studiare relitti romani che giacciono in quelle profondità marine in una campagna di indagini condotta dal Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia su relitti di età romana affondati negli alti fondali del Mar Tirreno.
Il progetto, riferisce la stessa università in una nota, è condotto dal professor Carlo Beltrame e dalla dottoressa Elisa Costa, in collaborazione con Fondazione Azionemare, ingegner Guido Gay, e sotto la sorveglianza della Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Subacqueo e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, dottoressa Lorella Alderighi.
La sinergia tra le tecnologie avanzate della Fondazione e le competenze scientifiche del DSU ha permesso di documentare e studiare ben tre relitti profondi di età antica, individuati in precedenza da Azionemare.
I Rov abissali Multi Pluto e Pluto Palla sono una sorta di veicoli filoguidati dotati di telecamera e braccio per recuperi. Movimentati dal catamarano Daedalus, hanno consentito di esplorare il relitto Dae 27, un carico di tegole e coppi e anfore posto a oltre 600 metri di profondità nelle acque tra l’Elba e Pianosa, recuperando dei campioni di materiale trasportato.
In particolare sono stati portati alla luce dalle profondità una tegola, un coppo, un’anfora Dressel 1 e una brocca monoansata. Questo materiale, che verrà presto studiato dalla professoressa Gloria Olcese dell’Università Statale di Milano e dalla dottoranda Caterina Tomizza, permette una prima datazione del naufragio tra 2° e 1° secolo a.C.
Sono quindi iniziate due nuove indagini sui relitti Dae 7 e Dae 39, entrambi posti nelle acque profonde tra l’isola della Gorgona e Capo Corso.
Il primo è un interessante carico di centinaia di anfore greco-italiche datate al 4° e 3° secolo a.C. che giace a oltre 400 metri di profondità e dal quale è stata recuperata un’anfora.
Il sito presenta un alto numero di anfore frammentate, dato che non sorprende considerando che le batimetrie fino a circa 400 metri sono molto più soggette alla pesca a strascico. Il secondo contesto invece, trovandosi molto al largo e a quasi 600 metri di profondità, è stato intaccato solo marginalmente dalle reti e risulta ben conservato.
Il carico è composto da centinaia di anfore Dressel 1B, databili al 1° secolo a.C., una delle quali è stata recuperata in questa campagna assieme ad una brocca monoansata. Tutti i reperti sono oggetto di deposito temporaneo per studio.
Sui relitti è stato realizzato un rilievo digitale attraverso la tecnica fotogrammetrica che permette di ottenere un modello tridimensionale scalato e misurabile del carico, peraltro molto realistico, utile allo studio, in laboratorio, del volume e della portata di queste imbarcazioni.
Se vuoi leggere le notizie principali della Toscana iscriviti alla Newsletter QUInews - ToscanaMedia. Arriva gratis tutti i giorni alle 20:00 direttamente nella tua casella di posta.
Basta cliccare QUI