Il male è zucchero
di - lunedì 16 giugno 2025 ore 08:00

E se il male fosse zucchero? L’umanità sarebbe una mosca ostinata. Il fenomeno è curioso e affascinante ed è una constatazione che salta agli occhi: l’umanità, nonostante millenni di guerre, tradimenti, soprusi, frodi fiscali e invasioni varie, continua ad accostarsi al male con lo stesso, indicibile, indistruttibile, entusiasmo. Quasi non avesse appreso nulla. Quasi non sapesse far paragoni. Quasi non avesse acquisito, da quella mela che cadeva sulla testa di Newton, che ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Continuiamo a prendere mele in testa e a maledire l’albero senza fare un passo un po’ più in là.
Il parere degli studiosi di neuroscienze è chiaro: l’essere umano è attratto dalle emozioni forti. Paura, rabbia, eccitazione, vendetta, per dirne alcune. Quando l’amigdala, centralina emozionale del cervello, si attiva, lo fa molto più rapidamente della corteccia prefrontale, che invece serve per pensare, riflettere e magari dire: «No, grazie, ho già dato con l’invidia quest’anno».
Insomma, il male è un dolcetto emozionale a rapida digestione: ci solletica subito, ci lascia un retrogusto amaro dopo, ma intanto ci ha già fregato.
E la storia?
La storia, poveretta, è il grande manuale di istruzioni che nessuno legge. O che nessuno ricorda. O che è bello da tenere sulla libreria ma poi, la realtà, è un’altra cosa. Il potere assoluto, il profitto cieco, il dominio sugli altri, l’omologazione travestita da progresso: zuccheri tossici. E ogni volta, puntualmente, ci ricaschiamo.
Non c’è qualcosa di tragico nel vedere intere civiltà ripetere rovinosamente errori che, se fossero scritti sul retro delle confezioni di cereali, urlerebbero: «Contiene egoismo, può causare disastri, rivoluzioni e crisi esistenziali»?
Ma torniamo alla protagonista nascosta di questo dramma zuccherino: la mosca.
La mosca vede lo zucchero. Lo sente da lontano. Sa perfettamente che quello zucchero non è suo, che potrebbe incollarsi alle zampette, che magari è già infestato da altre dieci mosche più veloci.
Eppure va. Ci atterra. Ci si rotola. E poi, con grande stupore, resta invischiata o finisce spiaccicata sotto una ciabatta.
Noi, umani, non siamo diversi. Abbiamo visto cosa succede quando si gioca col male: dittature, colonialismi, persecuzioni, speculazioni, social network.
Abbiamo letto Orwell, Levi, Arendt.
Abbiamo studiato le guerre, i genocidi, le crisi finanziarie.
Eppure eccoci qui: ad applaudire il leader carismatico che urla, a comprare il prodotto che distrugge il pianeta, a dare like al contenuto tossico, a dare contenuto tossico in forma di like, a chiudere un occhio (o due) davanti all’ingiustizia, purché ci resti un po’ di zucchero sul cucchiaino.
Secondo alcuni psicologi evoluzionisti la nostra tendenza ad accostarci al male avrebbe radici antiche. Nei tempi preistorici, chi agiva d’astuzia, chi ingannava il nemico o chi si prendeva più del necessario, aveva spesso maggiori probabilità di sopravvivenza. Il problema è che nel frattempo siamo passati dalle caverne agli smartphone, ma alcune parti del nostro cervello non se ne sono accorte. Sono ancora lì, in cerca del vantaggio immediato, della scorciatoia, della soluzione facile. In una parola: dello zucchero. E gli storici? Fatica sprecata.
E allora?
Allora forse dobbiamo iniziare a guardare allo zucchero per quello che è: una tentazione brillante e profumata, ma potenzialmente letale. Il problema è come guardare la mosca, cioè noi. Con una certa tenerezza nel senso che sì, continuiamo a sbagliare, ma che vuoi farci, siamo fatti così? La gente muore ma non ne muoiono tanti, tutti i giorni, per tante ragioni? Oppure senza alcuna indulgenza: chi sbaglia paga, chi commette il male ne è responsabile di fronte agli esseri umani ed alla storia?
Ogni tanto ci sono mosche che riescono a vedere la trappola prima di caderci. Ogni tanto, qualcuno sceglie l’amaro del dubbio invece del dolce del fanatismo. E ogni tanto, persino una mosca può volare via urlando a squarciagola: attenti allo zucchero!
Leggiamola la storia! Ed iniziamo a leggere meglio le etichette. Magari si potrebbe fare qualcosa contro quel male che ogni giorno lasciamo sciogliere nel caffè.