Dio è gay o il potere di “Dio-Patria-Famiglia” è gay?
di - sabato 04 marzo 2023 ore 09:00
Matteo afferma “Dio è gay!”: nel suo “delirio paranoideo” Dio è in diretta connessione col suo cervello e viene da lui estasiato e torturato per mezzo delle sue radiazioni. Quasi le stesse cose scriveva cento anni prima – senza che, ovviamente, si conoscessero - Daniel Paul Schreber ne le “Memorie di un malato di nervi”. Schreber era presidente della Corte d’Appello di Dresda e, a 51 anni, nel 1893, fu ricoverato nella clinica psichiatrica di Lipsia, diretta dall’anatomista Flechsig. La crisi di Schreber era esordita quando un giorno, nel dormiveglia, si era trovato a pensare che “dovesse essere davvero molto bello essere una donna che soggiace alla copula”. Egli sviluppò quindi un delirio, che lo induceva a vivere gli estremi della tortura e della voluttà coinvolgendo “dèi, astri, demiurghi, complotti, assassinii dell’anima, catastrofi cosmiche, rivolgimenti politici”. Lo scritto fu pubblicato nel 1903, alla fine del ricovero di Schreber, e girò tra le Cliniche psichiatriche di lingua tedesca come descrizione, dall’interno, di un mondo psicotico; pervenne nel 1907 a Jung, che lavorava in una Clinica di Zurigo, e da questi fu girato, nel 1910, a Freud, che, entusiasta della lettura del libro, affermò che Schreber avrebbe dovuto ricevere la cattedra di professore di psichiatria. Freud ne interpretò il testo secondo le sue convinzioni pubblicando le sue riflessioni ne “Il presidente Schreber”, sempre del 1910; nello stesso anno Freud pubblicò anche le sue riflessioni su Leonardo da Vinci, in cui asseriva l’omosessualità “latente” di Leonardo attribuendola alla dipendenza erotica dalla madre, il cui sorriso era rievocato in Monna Lisa e nelle altre donne da lui dipinte.
Il Dr. Flechsig diagnosticò un delirio paranoideo, sviluppatosi in seguito alle forti pressioni a causa dell’avanzamento nella carriera e alla mancata elaborazione del lutto per la morte della moglie. Freud, da parte sua, descrisse un nucleo omosessuale represso che affondava le sue radici in un “Edipo negativo”: l’omosessualità inconscia sarebbe stata svelata dalla morte della moglie, la cui assenza poteva rievocare l’assenza della madre interiore, che non intermediava più col padre, col rivale del complesso di Edipo. Nel mito di Edipo, preso da Freud a modello della psiche umana, Edipo uccise il padre per futili motivi. L’orrore verso la possibilità del patricidio avrebbe attivato nell’Io spaventato di Schreber alcuni meccanismi di difesa: la scissione (“il mio inconscio lo ama”), la negazione (“io lo amo”) e la proiezione (“lui mi odia”); l’investimento omosessuale veniva poi “spostato” dal padre prima verso una figura paterna di cui si poteva parlare male (Flechsig), poi verso chi rappresenta l’ideale dell’Io (Dio). Successivamente il delirio subì un’evoluzione in una forma mistica, in cui Schreber, partendo da un suo sogno in cui era una donna che copulava in posizione passiva, diventava la compagna angelicata di Dio con il quale procreava una progenie perfetta.
L’interpretazione di Freud era una mezza-verità, cioè una mezza-bugia, in quanto era limitata da premesse che scotomizzavano il contesto. La “perversione sessuale del bambino” lo portava a credere che la psicosi fosse il risultato della paura della propria omosessualità latente, mentre credo che sia vero piuttosto il contrario: l’omosessualità e tutte le altre forme di dipendenza dal contesto sono il risultato della paura della dissoluzione dell’Io, della paura della psicosi, dalla paura di “come entrare nel mondo dei grandi senza paura, paura di morire”, della paura del non-Essere. La paura del bambino non è verso la propria sessualità (che è innocente e non “perversa”, come credeva Freud!), ma dell’incapacità dei grandi di contenere la loro aggressività, tra cui l’aggressività sessuale, che, se è vissuta come possesso, è qualcosa di terrificante. È, dunque, la paura verso il potere esterno, gerarchicamente organizzato!
Il padre di Schreber, Daniel Gottlieb Moritz Schreber, era un ortopedico; dopo un incidente (una scala gli cadde addosso relegandolo, semiparalizzato, in casa) iniziò ad attuare le sue idee educative sui figli e scrisse trattati di pedagogia e di ginnastica, che ebbero grande influenza nel 1800: da buon sostenitore di “Dio-Patria-Famiglia”, pensava che i suoi tempi fossero moralmente “fiacchi” e “in decadenza”, a causa soprattutto dell’educazione e della disciplina dei bambini. Nei suoi trattati descriveva una “micropolitica” fatta di procedure sadiche da applicare sistematicamente nei bambini fin dal primo anno di vita, con conseguente attivazione in cronico della via dopaminergica. Scriveva: “Il nostro comportamento complessivo nei confronti della volontà del bambino di questa età consisterà nell’abituarla all’obbedienza assoluta, alla quale era già stata in parte preparata dall’applicazione dei principi esposti in precedenza… Il pensiero che la sua volontà possa essere sotto controllo non dovrebbe mai passare per la mente del bambino, ma piuttosto l’abitudine di subordinare la propria volontà a quella dei suoi genitori o insegnanti dovrebbe essere immutabilmente radicata in lui… Si crea allora, insieme alla consapevolezza dell’esistenza della legge, la consapevolezza dell’impossibilità di combattere contro di essa; l’obbedienza del bambino, condizione basilare per ogni ulteriore educazione, è così solidamente costruita per il futuro… È opportuno che questi giovani imparino a rendersi conto fin dall’inizio che ogni essere umano è necessariamente costretto ad accettare che ogni cosa trascendente il regno del suo potere dipenda dalla benevolenza di una Mano Superiore.”. Non meraviglia che il primo dei due figli di Schreber-padre si suicidò, che il terzo – il nostro Schreber - impazzì senza mettere al mondo figli, che due figlie diedero segni d’instabilità psichica; solo una figlia si sposò e mise al mondo figli. L’influenza nefasta dello stile educativo di Schreber-padre non si limitò, purtroppo, ai figli, ma il successo della sua “pedagogia” influenzò lo “stile” educativo tedesco votando questa cultura all’obbedienza, propria del Terzo Reich, propria di Adolf Eichmann che si difendeva dicendo “Ho eseguito degli ordini”, propria della “banalità del male”. Questo “stile” educativo non fa parte solo di quella cultura tedesca: le punizioni corporali più o meno precoci appartengono a tutti i popoli bellicosi. Appartengono, ad esempio, a Sparta, all’”english education” o alla Russia sovietica, dove fu pubblicato nel 1961 il manuale di educazione “Genitori e figli”, preparato dall’Accademia di Scienze Pedagogiche. In esso si legge: “È necessario sviluppare al più presto possibile nei bambini piccoli una relazione attiva e positiva nei confronti delle richieste degli adulti, un desiderio di agire in armonia con queste richieste e di compiere ciò che è necessario. Qui sta il grande significato dei nostri sforzi volti allo sviluppo di un’autodisciplina cosciente.”. Un popolo che, invece, sembra relativamente immune dalla bellicosità è quello italiano, che veniva irriso da Winston Churchill: “Mi piacciono gli italiani, vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra.”. L’Albania fu invasa da tedeschi e italiani e l’avviso che veniva dato dai prudenti genitori albanesi era: “Meglio gli italiani che i tedeschi: i tedeschi sono incorruttibili, gli italiani… basta che li inviti a mangiare a casa tua!”. È, dunque, lo stile educativo nel primo anno di vita ciò che anima un popolo; esso è trasmesso dalla subalternità delle madri alla cultura patriarcale, sia essa sacrificale o gastronomico-cialtronesca con rischio di scivolare nella grottesca criminalità!
Tornando a Schreber posso facilmente arguire che la rappresentazione ritualizzata dell’Edipo interna all’Io è l’esito di un trauma esternamente avvenuto nella realtà. Schreber era stato perseguitato nel corpo – e quindi anche nel sesso – dal padre con la complicità della madre! Che cosa avevano in comune Matteo e il presidente Schreber? Lo stile educativo, la società patriarcale e la paura di non-Essere! Il padre di Matteo è un infermiere che cerca la sua rivincita sui medici: cerca di guarire il figlio dalla psicosi intrudendo nel mondo di Matteo e cercando di “raddrizzarlo” puntigliosamente. Anche Matteo, dunque, parla di Dio per non parlare della paranoia di suo padre o, meglio, dello stile educativo dei suoi genitori, basato sul potere della generazione precedente.
L’omosessualità, la paranoia e tutto il marciume dell’uomo consistono nell’eclissi dell’Essere: “Io sono omosessuale” è solo un ruolo, come “Io sono eterosessuale” o “Io sono un italiano vero” o “Mi comporto da paranoideo o da anoressico o da altro”. Sono identità prese in prestito dalle maschere, dai ruoli. Queste maschere, generate dall’esposizione dei corpi alle problematiche irrisolte della generazione precedente, sono compromessi, conseguenze per sopravvivere al potere di vita e di morte della cultura patriarcale che possiede i corpi. Possiamo così meglio comprendere che la mentalità reazionaria e fascista della trinità “Dio-Patria-Famiglia” (che facilmente decade e si corrompe nella trinità “Dio-Proprietà privata-Famiglia” o “Dio-Denaro-Famiglia”) trova la sua radice solida nel 1800. Questa radice, sopravvissuta, grazie all’atavica ignoranza, alla rivoluzione culturale del primo Novecento in ogni campo del sapere - dalla fisica (ad esempio, Einstein e la teoria dei quanti), alla filosofia (ad esempio, Husserl), all’arte (ad esempio, Picasso) - pervade i regimi totalitari e si esprime anche nelle masse che “democraticamente” eleggono; qui essa acquisisce una crudeltà paradossale, perché – per dirla con metafore astrologiche – la conflittualità di Ares-Marte, principio di per sé maschile, si unisce alla religiosità di Zeus-Giove e risveglia l’ira distruttiva di Plutone, il principio femminile di Medea che uccide i propri figli. Le donne maschili, come Margareth Thacher ed Evita Peron , sono adatte, grazie al loro fascino androgino, alla “società dello spettacolo”: esse, da brave massaie “ignoranti”, “ignorano” la rivoluzione culturale del primo Novecento ed esprimono solo il revanchismo di chi si identifica con l’aggressore.
Ma, tornando a Freud, ricordo che è stato fatto notare che egli, pur avendo probabilmente la possibilità di leggere i trattati di “pedagogia” scritti dal Schreber-padre, non ne tenne conto. A svelare quello che il tempo aveva occultato fu un libro, “La famiglia che uccide”, scritto da Morton Schatzman, uno psichiatra americano che si trasferì, negli anni ’60, a Londra per lavorare con Ronald Laing.
Mi fermo qui: di queste cose (del rapporto di Freud con Dio-Patria-Famiglia, della gaytudine del potere intuita da Elias Canetti, delle descrizioni di Wilhelm Reich circa la struttura della famiglia nazista, del Salò di Pasolini, della struttura psicologica del fascismo di Georges Bataille, della propaganda, della credenza negli UFO nei regimi totalitari, del matriarcato segreto, di Laing e del “Manifesto anarca-femminista” di Chiara Bottici) ne accennerò nei prossimi appuntamenti e, comunque, ne scriverò approfonditamente altrove.