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Cronaca sabato 04 marzo 2017 ore 22:49

Omicidio-suicidio ma Sabrina era un'artista felice

Sabrina Magnolfi

La Comunità di Sant'Egidio ricorda Sabrina Magnolfi, la donna uccisa stamattina dal padre che poi ha sparato anche alla moglie e si è tolto la vita



CAMPI BISENZIO — La tragedia che ha spezzato le vite di un padre, di una madre e di una figlia ha turbato profondamente le tante persone che frequentano la famiglia Magnolfi. Il dramma si è compiuto questa mattina intorno alle 7.30 quando il padre, Guerrando, 84 anni, ha imbracciato il fucile e ha sparato due colpi mortali alla figlia Sabrina e alla moglie Gina Paoli, 81 anni. Poco dopo i soccorritori li hanno ritrovati insieme, sdraiati sul letto matrimoniale. Lì vicino un biglietto dove l'uomo spiegava di voler lasciare tutti i suoi averi a un'associazione di pittura frequentata dalla figlia.

Sabrina Magnolfi aveva 44 anni e pur essendo disabile aveva un'esistenza piena che la Comunità di Sant'Egidio ha ricordato in un comunicato descrivendola come "un'artista felice e una donna che aveva cura di sé e degli altri". 

"La vita di Sabrina era immersa in una rete di relazioni, con amicizie fedeli che abbracciavano anche i suoi familiari - si legge nella nota - La Comunità di Sant'Egidio, l'Unitalsi, la cooperativa Barberi, gli amici della parrocchia e della casa del popolo, le persone del quartiere, i colleghi del suo lavoro al Quartiere 5, tutti sapevano di questa sua capacità di dipingere, tanto da avere esposto i suoi quadri alle mostre allestite dalla scuola di pittura della Comunità di Sant'Egidio – l'ultima delle quali a Palazzo Davanzati. Sue opere sono pubblicate anche nei cataloghi realizzati in occasione delle mostre".

"I quadri dicono molto di lei, delle sue passioni, del suo gusto per la relazione - prosegue la nota - In 'Iqbal', ad esempio, aveva rappresentato un bambino afghano al lavoro per invocare il diritto all'educazione e all'istruzione. E’ un’opera che fa riflettere e invita a non perdere la speranza in un domani migliore. La tecnica pittorica utilizzata era quella delle mascherine con pennello e spugna. La stesura compatta del colore e al tempo stesso il particolare risalto delle sfumature erano dovuti alla familiarità di Sabrina con questa tecnica che le aveva permesso di superare le difficoltà manuali dovute a una tetraparesi".

"Nel 2007, partecipando a una conferenza a Napoli, Sabrina aveva conosciuto Ceija Stojka, una signora Rom che le aveva raccontato di essere stata deportata e tenuta prigioniera nei campi di concentramento di Auschwitz e di Ravensbruck - racconta ancora la Comunità di Sant'Egidio - Sabrina aveva voluto rappresentare la vita della sua amica prigioniera nelle baracche del campo, costruendo con pezzi di cartone delle sagome e montandole su una tavola di compensato. Il colore nero rappresentava la prigionia, mentre la luce era il momento della liberazione, ma anche la speranza che non si era mai spenta in Ceija, aiutandola a sopravvivere in quei giorni terribili. Una bella foto raffigura Sabrina e Ceija insieme, felici con le loro amiche, immerse nella belleza di quell’incontro". 

"Chi ha conosciuto Sabrina, la ricorda così - conclude la nota - Era un'artista che traeva gli spunti delle sue opere dalle conoscenze dirette, dai rapporti personali che coltivava con cura e passione, dalle tante amicizie che la circondavano. Il laboratorio che frequentava si chiama proprio "Laboratorio d'arte degli Amici" della Comunità di Sant'Egidio, e Sabrina ne era una degli artisti più fedeli".

Sabrina lavorava per il Quartiere 5 del Comune di Firenze. Il sindaco Dario Nardella ha espresso profondo cordoglio alla famiglia e pronto a contribuire ai funerali di Sabrina e dei suoi genitori.


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