Attualità lunedì 17 aprile 2023 ore 14:40
Pasta, dove costa di più e cosa rischia la Toscana
Incrementi a doppia cifra nei prezzi della pasta ma i ricavi non coprirebbero i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio le semine
FIRENZE — Il prezzo della pasta in Toscana nel 2022 ha fatto segnare incrementi a doppie cifre mentre il grano duro per produrla viene pagato agli agricoltori il 30% in meno nello stesso periodo, è la denuncia di Coldiretti Toscana in occasione della diffusione dei dati Istat sull’inflazione a Marzo che in controtendenza rispetto ad una decelerazione generale che in regione si attesta all’8,3%, il dato più basso da Agosto, non si è ancora trasferita sui prezzi dei beni alimentari ed analcolici che registrano un aumento del 13,6%.
Secondo Coldiretti "sono a rischio i bilanci dei consumatori ma anche quelli degli agricoltori".
Lo scorso anno, in Toscana, i cerealicoltori avevano raccolto poco meno di 1,9 milioni di quintali di frumento duro, quasi 1 milione tra le sole province di Grosseto e Siena.
"La pasta è ottenuta direttamente dalla lavorazione del grano con l’aggiunta della sola acqua e non trovano dunque alcuna giustificazione le divergenze registrate nelle quotazioni, con la forbice dei prezzi che si allarga e mette a rischio i bilanci dei consumatori e quelli degli agricoltori" sostiene Coldiretti.
Quanto costa un chilo di pasta in Toscana
Una distorsione che appare chiara anche dall’andamento dei prezzi medi al consumo che secondo l’Osservatorio dei Prezzi del Ministro del Made in Italy variano per la pasta:
Sopra i 2 euro
2,17 euro al chilo per Grosseto (+24% in un anno)
2,04 euro al chilo di Firenze (+46%)
2 euro al chilo di Livorno (+24%)
Sotto i 2 euro
1,94 euro di Lucca (+42%)
1,92 di Arezzo (+36%)
1,83 euro di Siena (+26%)
1,81 euro di Pistoia (+33%)
E le quotazioni del grano?
Sono scese a 34-35 centesimi di euro al chilo.
Una anomalia di mercato
Così la definisce Coldiretti Toscana che invita ad "indagare anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle migliaia di aziende regionali che coltivano grano".
"I ricavi - sottolinea la Coldiretti - non coprono infatti i costi sostenuti dalle imprese agricole e mettono a rischio le semine ma anche la sovranità alimentare del Paese. Le superfici agricole coltivate a frumento duro, secondo le prime previsioni del Consorzio Agrario del Tirreno sono in crescita del 2%, in controtendenza rispetto al resto d’Italia dove si stima invece una flessione. Lo scorso anno, in Toscana, i cerealicoltori avevano raccolto poco meno di 1,9 milioni di quintali di frumento duro, quasi 1 milione tra le sole province di Grosseto e Siena.
In Italia siamo di fronte a manovre speculative con un deciso aumento delle importazioni di grano duro dal Canada dove il grano – precisa Coldiretti Toscana - viene coltivato secondo standard non consentiti in Europa per uso del glifosate nella fase di preraccolta. Occorre invece – continua Coldiretti Toscana - ridurre la dipendenza dall’estero e lavorare da subito per accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali. Il modello da seguire è quello dell’accordo siglato nel 2019 tra Filiera Agricola Italiana ed il Pastificio Fabianelli di Castiglione Fiorentino (AR) per la produzione di pasta al 100% toscana che assicura agli agricoltori un prezzo minimo garantito che si trova sempre al di sopra dei costi di produzione. Un accordo che ha rilanciato il settore cerealicolo in provincia di Arezzo.
"Bisogna riattivare da subito - precisa Coldiretti Toscana - la Commissione Unica Nazionale per il grano duro, la cui attività in via sperimentale si è sospesa nell'Ottobre del 2022, perché fornisce trasparenza al mercato e da la possibilità di poter mettere attorno ad un tavolo tutti gli attori della filiera eliminando le distorsioni e i frazionamenti delle borse merci locali. Importante anche investire nella ricerca che, come motore dell'innovazione varietale, deve rispondere non solo alle richieste qualitative del mondo industriale, ma anche rispondere alle nuove esigenze produttive e di resilienza verso gli effetti del cambiamento climatico, rispondendo al contempo alle nuove richieste di sostenibilità volute dalla nuova Politica Agricola Comunitaria".
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