L'amore vince su tutto
di - domenica 07 aprile 2024 ore 00:05
"A me l'arte non piace, non mi interessa". Fu questa una delle prime frasi che mi rivolse il figlio di 13 anni avuto da mio marito con la moglie precedente. Io stavo raccontando con entusiasmo le meraviglie della Galleria Borghese di Roma a lui, a suo fratello e a sua sorella, che vedevo per la prima volta. Quel messaggio fu una doccia fredda ma incassai. Certe relazioni d'amore partono sempre in salita.
Per un bel po' evitai di tornare sull'argomento o di tentare di coinvolgere il tredicenne in esperienze - diciamo - culturalmente impegnate. Mi dispiaceva: sono figlia di un fiorentino purosangue convinto che in Toscana sia nata almeno la metà dei geni dell'arte di tutti i tempi e che con questo orgoglio mi ha cresciuta. Ma tant'è, non potevo farci nulla. Anzi, rischiavo di aggravare quell'avversione.
Un paio di anni dopo però mi venne in mente una carta da giocare. "Guarda che l'arte contemporanea è divertente - dissi all'ormai quindicenne - Ogni volta che entri in una mostra non sai mai che cosa ti aspetta".
Cominciammo con la Hamburger Bahnhof di Berlino: lui rimase serissimo per tutta la visita ma alla fine ammise che qualche installazione lo aveva stupito e si fece scattare un paio di foto. La città facilitava l'iniziazione: infatti gli piacquero anche i murali e i graffiti dei resti del Muro, nell'East Side Gallery.
Tempo dopo il Broad di Los Angeles fu un successo ma lì era facile: tutto quel che contiene è bellissimo o mette allegria o entrambe le cose, dai maxi-tulipani di Jeff Koons al gigantesco tavolo di Robert Therrien che trasforma tutti in lillipuziani.
Se con l'arte contemporanea qualche passo avanti lo abbiamo fatto, persiste nel piú giovane della famiglia una tenace insofferenza verso le produzioni artistiche di qualunque altra epoca. Con un'unica eccezione che mi ha convinto a non demordere.
Ci trovavamo ancora a Berlino ma questa volta nella Gemaldegalerie, una delle collezioni più importanti della pittura europea dal Duecento al Settecento. Per il nostro adolescente, l'equivalente di una condanna a morte. Dopo un quarto d'ora, vedendolo piantato con aria incupitissima di fronte a un dipinto trecentesco a tema religioso, gli suggerii di prendere in considerazione solo le 15 opere "imperdibili" proposte dall'audioguida, scansando tutte le altre. Acconsentì immediatamente e la visita proseguì. Lui mantenne un'espressione impassibile sul volto qualunque capolavoro gli si parasse davanti.
Alla fine del giro ci ritrovammo al bookshop. Stavo guardando alcuni gingilli quando, all'improvviso, sentii la sua voce: "Questa la vorrei anch'io". Mi voltai: in mano aveva una calamita con l'immagine dell'Amor vincit omnia di Caravaggio, uno dei pezzi forti del museo, peraltro benissimo illustrato dall'audioguida. Mi prese un colpo ma non dissi nulla e gliela comprai a razzo. Dentro di me, una contentezza assurda. E il lampo di un pensiero : "Magico, immenso Caravaggio, solo tu potevi riuscirci".
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