Datemi un'impresa eccezionale
di - domenica 06 ottobre 2024 ore 09:00
Ho sempre avuto una passione per i grattacieli e, a pensarci bene, non poteva essere altrimenti: sono nata a Firenze e il mio babbo mi ha cresciuta nel mito di un'impresa architettonica e ingegneristica eccezionale, la Cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore, realizzata da Filippo Brunelleschi seicento anni fa.
Una struttura gigantesca proiettata verso il cielo, alta 116,5 metri e frutto di un progetto avveniristico non solo per quell'epoca visto che, ancora oggi, non sono state del tutto messe a fuoco le geniali innovazioni adottate dal Brunelleschi per tirare su quell'immensa volta senza appoggiarne la muratura su impalcature di legno.
Ci vollero 16 anni per edificare il Cupolone, dal 1420 al 1436. Un lampo se si pensa che, sei secoli dopo, fra il progetto preliminare a l'inaugurazione del nuovo Palazzo di Giustizia di Firenze di anni ne sono passati 24. E stendiamo un velo pietoso sul risultato finale: ogni volta che ci passo davanti, penso che quell'ammasso di torrioni sia di una bruttezza irrimediabile. Opinione personale, eh.
Ma torniamo ai grattacieli moderni. Anzi, contemporanei. Poche settimane fa, a Shangai, sono finalmente riuscita a salire sulla Shangai Tower, l'ultimo gigante in ordine di costruzione nel quartiere di Pudong dopo l'Oriental Pearl Tower del 1995, la Jin Mao Tower del 1999 e il famosissimo Shangai World Financial Center del 2008, a forma di apribottiglia.
La Shangai Tower è stata ideata dall'architetto statunitense Marshall Shabala e ci tenevo parecchio a vederla di persona. Quando, nell'Agosto del 2012, ebbi la fortuna di mettere piede a Pudong per la prima volta, quel grattacielo a forma di spirale era ancora un moncone sgraziato che, oltretutto, da lontano sembrava anche un po' storto. Affacciata ai finestroni panoramici dello Shangai World Financial Center, vicinissimo al cantiere, osservai a lungo gli operai che lavoravano a 230 metri di altezza, dubitando - con italico scetticismo - che fosse possibile portare a termine quell'opera faraonica, iniziata nel 2008, in tempi ragionevoli.
E invece la Shangai Tower fu terminata appena due anni e mezzo dopo, superando anche qualche incidente di percorso, come alcune grandi crepe che si aprirono nelle strade limitrofe per l'eccessivo prelievo di acqua dal sottosuolo.
Il taglio del nastro fu festeggiato il 2 Febbraio 2015 e oggi il grattacielo, frequentato ogni giorno da migliaia di persone, è uno splendido connubio di tecnologia avanzata, edilizia sostenibile e risparmio energetico. Una gloria che alimenta l'orgoglio nazionale dei cinesi. E' anche il terzo edificio più alto del pianeta dopo il Burj Khalifa di Dubai e il Merdeka 118 di Kuala Lumpur, in Malesia, ma va detto che il suo osservatorio aperto al pubblico, a quota 606 metri, supera di 150 metri quello del rivale di Dubai e quindi detiene il primato mondiale.
Per salire fin lassù si prende un ascensore che viaggia a 74 chilometri all'ora e, una volta in cima, la vista sulla cittá è stupefacente: tutti gli altri grattacieli sembrano assurdamente 'bassi'.
Mio marito ed io abbiamo trascorso più di due ore in cima alla Shangai Tower. Eravamo arrivati nel tardo pomeriggio e abbiamo aspettato che facesse buio, osservando in silenzio il panorama che cambiava colore, reso splendente prima dai raggi del sole del tramonto e poi dalle luci che, a milioni, si sono accese in successione nella notte di Pudong.
Io i cinesi li invidio ma non per i tramonti, di certo non più belli di quelli che si vedono da piazzale Michelangelo, nè per la Shangai Tower in sè. Li invidio, moltissimo, per aver realizzato un edificio straordinario appena 10 anni fa. Per essere riusciti a materializzare un capolavoro anche ai giorni nostri, espressione del tempo in cui viviamo e non di un passato glorioso ma lontanissimo.
Noi italiani siamo talmente assuefatti all'inefficienza e al degrado che la nostra massima ambizione, ultimamente, è quella di prendere un treno che arrivi puntuale. Veramente poco, troppo poco, per un Paese moderno e per le tasse che paghiamo. E no, non mi basta più il Cupolone per sentirmi orgogliosa di essere italiana. Ho bisogno di un sogno ardito. Ho bisogno di un'altra impresa eccezionale. Scommetto che, se almeno ci provassimo ad alzare l’asticella delle nostre ambizioni, dopo un po’ ricomincerebbero a funzionare anche i treni.
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