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​Dizionario (terza puntata)

di - martedì 11 aprile 2023 ore 09:37

L’AUTORITRATTO SOCIAL

Mostrare il meglio di sé è la consuetudine della pagina social. Lì sembra che le persone abbiano una vita di successo, costellata di viaggi, divertimenti ed entusiasmanti frequentazioni di simpatici ed eccitanti amici.
Rimane la lieve discrepanza che alcuni, non avendo un’idea di cosa è elegante ed educato, dànno la piena informazione e visibilità della propria ignoranza e stupidità credendo al contrario di piacere e magari ciò è pure vero e testimoniato da mini-valanghe di likes di “colleghi” (in quanto zotici sprovveduti come loro).
Il “social-nauta” dovrebbe sapere che il suo post lo leggeranno in pochi, anche se sembrano tanti, e che, a parte eccezioni che si contano sulle dita di una mano, metà di quelli che non farà finta di non averlo visto sarà d’accordo e l’altra metà, all’incirca, approverà o dissentirà, non di rado avendo capito il contrario di quello che è stato detto.
Qualcuno ha paragonato la situazione al fantastico, letterario, fenomeno del ritratto di Dorian Gray, con l’effetto al contrario che la persona invecchia e imbruttisce mentre il ritratto del profilo resta idealizzato, composto dai suoi aspetti migliori o presunti tali. Ciò avrà conseguenze sulla psiche. Una persona dà un’immagine di sé mentre nella realtà prosegue stancamente o con impegno attivo e partecipe, che è lo stesso, la sua misera vita.
“Donne e champagne” è l’accoppiata “ideale”, a cui non oso contrapporre quella “reale”. E il marito sonnacchioso, la moglie bisbetica, i figli intrattabili? “La neve fiocca lenta …” (G. Pascoli).

PATRIA
Per i poeti antichi “è dolce e dignitoso morire per la patria” che in una versione semplice e immediata suona come: “è bello morire per la patria” anche se c’è da dire che neppure per loro possiamo dedurne che la guerra (bellum, da belva?) sia bella.
Cos’è la Patria? È dove si mangia? Dove si vive volentieri? La nostra famiglia? La nostra terra? Per morire per la Patria occorre averne una. Chi ha detto che “i proletari non hanno patria”? Diderot scrive: “difendere la patria? Vanità! Non c’è più patria, da un polo all’altro non vedo nient’altro che tiranni e schiavi”. Era il Settecento, l’Ottocento, ma sono concetti che travalicano i secoli e purtroppo sempre attuali.
Lungi da me, invece, ironizzare sui nostri martiri del Risorgimento, eroi sublimi: feriti, incarcerati, torturati, morti a 30 anni, e anzi, “traditi” dalla realtà deludente dello Stato unitario e indipendente, costruito anche con il sacrificio della loro vita.

RETORICA
Il termine qui è inteso nell’accezione minore, ma più usuale nel lessico moderno e cioè, nel secondo significato, quello dispregiativo di scrivere o pronunciare discorsi vuoti e ampollosi, di facile effetto, basati su luoghi comuni o falsa umanità.
Tra le patologie della politica è fra le più perniciose e accomuna democrazie e dittature. L’Italia, tra gli Stati, è uno di quelli che ne soffre parecchio, forse anche per una predisposizione dovuta ad alcune componenti della cultura popolare influenzate dal melodramma e dalla “memoria” del Risorgimento.
Alla retorica si contrappone, come difetto, il cinismo, sia vero, sia fasullo, che però è una falsa soluzione, una medicina inappropriata. Solo la verità e sentimenti profondi possono sconfiggerla.

LA FINE DELLA STORIA
Se il comunismo aveva cullato l’illusione di una “fine della storia” con la scomparsa delle classi sociali e la realizzazione del paradiso in terra, fidando nell’innata bontà umana, è il liberalismo capitalistico, o almeno un suo convinto estimatore, che poi ha teorizzato la fine della storia come già avvenuta, con l’idea che siamo approdati a un sistema politico economico non perfettibile e senza alternative. Ho l’impressione che invece sia stato realizzato l’inferno sulla terra. Un inferno dal volto umano, sopportabile, tollerabile, e molto peggiorabile senz’altro, ma pur sempre un inferno. Possiamo trovarlo persino comodo, mentre assistiamo dalla poltrona di casa a guerre, migrazioni senza speranza, carestie e pestilenze.
Il fallimento è talmente evidente che non si vede; è una conclusione a cui non si vuole giungere perché avrebbe la sola conseguenza di gettare nello sconforto. C’è da temere che per fine della storia s’intenda una brutta fine, senza ritorno, proprio perché senza ritorno.

RIVOLTE POPOLARI
La Presidenza della Francia, magari attraverso un suo portavoce, avrebbe dovuto rivolgersi ai manifestanti protagonisti delle rivolte di piazza con la seguente apostrofe: “Francesi, vergogna! Vergognatevi! Scendere in piazza, invadere le strade per protesta, scontrarsi con la polizia per una sciocchezza come l’innalzamento dell’età della pensione a 64 anni” (“Quando io avrò 64 anni e un velo d’argento vedrai sui capelli…” I Cugini di campagna) “I nostri cugini italiani hanno avuto la riforma che portava l’età a 67 anni e non hanno battuto ciglio. Hanno dimostrato quella maturità da cui dovreste prendere esempio. In Italia manifestano e si scontrano con le forze dell’ordine, come tutti i popoli progrediti, per il tifo calcistico, non per una bazzecola come quella che tanto sembra premervi e agitarvi”.