Leggi e politica
di - sabato 29 gennaio 2022 ore 07:30
Si dice che la Costituzione Italiana sia “la più bella del mondo”, ma se alcuni articoli tra i più qualificanti restano programmi da realizzare e non trovano applicazione rischia di divenire, almeno in quelle parti, un ingannevole libro dei sogni.
Poi dalla fonte del diritto si scende alle altre norme e giù-giù sino agli usi e le consuetudini: una giungla dove prosperano i malintenzionati.
Cattedratici e giuristi illustri concordano col Popolo che traduce i loro concetti nelle varie “vulgate”: “chi ha tanti soldi se la ripassa bene (anche se il denaro, come tutti sanno, non fa la felicità); “con i quattrini e l’amicizia si va in “tasca” alla giustizia”; “la legge è quasi uguale per tutti” (mentre a volte è uguale quando non dovrebbe), “chi ruba poco va in galera, chi ruba tanto fa carriera”, ecc.
Càpita persino sia citata la famigerata “legge del Menga”, nonostante non ci sia manuale giuridico che la riporti e sembri affatto sconosciuta alla dottrina, così come oscuro ne è il contenuto.
“Quando le leggi si moltiplicano lo Stato è corrotto” (Tacito) e “L’ingiustizia peggiore è quella esercitata sotto il dominio della legge” (Montesquieu). L’organo legislativo, il Parlamento, si compone di tanti galantuomini e gentildonne, generosi animati da fulgidi ideali e sostenitori della Giustizia, ma pure, fra questi, di persone smaliziate nell’arte della politica che consiste (per loro) nell’impegnarsi nel perseguire il proprio interesse facendo credere di adoprarsi per quello degli altri, o addirittura di tutti. Alcuni sono rappresentanti di consorterie o lobbies, altri fingono di infervorarsi con la passione dei propri valori e litigano con gli avversari come tra i “ladri di mare” (o di Pisa). Altri lavorano per favorire congiunti o amici nel solco della tradizione del più collaudato e secolare nepotismo.
È questa una facile critica e un luogo comune.
In verità la classe politica è una piramide che comprende una miriade di persone: dagli esponenti nazionali a quelli regionali, provinciali, comunali giù-giù fino all’ultimo consigliere e tra tutti costoro, insieme ad ambiziosi e opportunisti ci sono molti onesti e capaci amministratori, amanti del proprio territorio, che si assumono grandi responsabilità, ma il problema sta nel “sistema” di cui fanno parte (una rete di legami con cariche pubbliche di società, enti, istituzioni, uffici, associazioni, dell’apparato burocratico, dell’informazione, ecc.) e che, per il peggio, degenera in alto là dove gli affari da gestire sono ingenti e le ricchezze cospicue. Più in alto si sale, inoltre, più domina l’arte del dire e del non dire e l’uso specioso della retorica raffinata e ipocrita.
“Commiseriamo” il politico! Costretto a fingere. Sovente ha ottenuto il posto criticando con ragione chi l’ha preceduto per poi non distinguersene se non in peggio. È obbligato alla dissimulazione e a portare la maschera dei buoni sentimenti e di un falso sorriso.
In diversi sostengono che i politicanti non sono altro che l’espressione di noi, un popolo di cialtroni e potenziali ladri: una teoria che non si capisce bene se sia un’attenuante o un’aggravante. Noi che ci potremmo ritenere campioni del mondo anche nello sport nazionale della truffa ai danni dello Stato. È il proverbiale carro di fieno da cui ognuno arraffa quel che può. Poi ci sentiamo, è curioso, autorizzati a dirne (del Pubblico) tutto il male possibile perché si fa derubare. Come la moglie che disistima o disprezza il marito perché cornuto.
È un quadro rozzo e senza sfumature quello ritratto dalla demagogia che individui brutali e intransigenti, o anche bonari e simpatici, rappresentano a se stessi e agli interlocutori all’insegna del qualunquismo, facendo di tutta un’erba un fascio, come dir si suole. L’espressione, in sintesi, più comune (un tempo): “sono tutti uguali” (comprende oggi l’antipolitica e il populismo?) è quella dei comizi improvvisati nei bar e dal barbiere, quando quei “salotti” ospitavano riunioni sediziose, ora impedite dalle regole che impongono il distanziamento sociale e contro gli affollamenti.
Dobbiamo ammettere che ci coglie un po’ di nostalgia per quelli spettacoli dove l’ispirato istrione teneva banco, ma dove oratori e ascoltatori si confondevano nella partecipazione alle invettive o nello scontro colorito delle opinioni. Il garantismo, di solito, lì non aveva cittadinanza e le pene invocate per i rei non erano previste dal codice: ciò ha una scusante nel senso d’impotenza di pensare che i colpevoli la fanno franca (e in alcuni nella consapevolezza delle esagerazioni). E tra uomini duri e sbrigativi (all’apparenza) si faceva a gara a chi la sparava più grossa.
Non ho mai creduto che le cose stessero così, infatti poi si è scoperto (come e perché s’è già detto) che stanno anche peggio.