Keith Haring torna a Pisa
di - giovedì 25 novembre 2021 ore 12:19
Nel 1989 Keith Haring faceva tappa a Pisa per dipingere, sulla parete esterna del convento di Sant' Antonio, il vivace murale Tuttomondo, l’ultima opera pubblica dell'artista statunitense prima della sua morte, nonché l'unica pensata per essere permanente.
Questo monumentale inno alla gioia, divenuto negli anni una delle grandi attrazioni della città, era nato da un incontro casuale, avvenuto a New York nel 1987, tra Haring e il giovane studente pisano Piergiorgio Castellani che gli aveva proposto di realizzare qualcosa di grande in Italia e l’artista aveva accettato, dando forma a 30 dinamiche figurine concatenate e incastrate tra loro a simboleggiare la pace e l'armonia del mondo. A poco più di trent'anni da quel primo soggiorno, la città che l’artista amava, definendola “incredibile", dedica una grande mostra a uno dei guru della street art.
Fino ad aprile a Palazzo Blu un avvincente percorso a cura di Kaoru Yanase, Chief Curator della Nakamura Keith Haring Collection, realizzato dalla Fondazione Pisa in collaborazione con MondoMostre, presenta per la prima volta in Europaoltre 170 lavori provenienti dalla Nakamura Keith Haring Collection, la collezione personale di Kazuo Nakamura, custodita in Giappone nel museo dedicato all'artista.
Dai primi lavori di Haring fino agli ultimi della sua vita, dalla serie Apocalypse (1988) a Flowers, (1990) e ancora alle sculture e opere su tela come Untitled (1985), la rassegna ripercorre l'intera carriera dell’artista che ha individuato nel soggetto del bambino il mezzo più efficace per assicurarsi l'immortalità, abbracciando un'ampia gamma di tecniche espressive, dalla pittura al disegno, dal video al murales. Cani, cuori, omini stilizzati e in movimento - segni che lo hanno reso un simbolo della cultura e dell’arte pop degli anni Ottanta - tracciano un viaggio in otto sezioni nella carriera dello street artist, dai disegni in metropolitana, Subway Drawings, tra i suoi lavori più noti e acclamati, fino al portfolio delle diciassette serigrafie dal titolo The Bluprint Drawings, l'ultima serie su carta pubblicata nel 1990, a un mese dalla morte.
Gli esordi di Haring hanno il colore bianco del gesso. Si tratta di segni grafici che delineano bambini, animali, angeli, piramidi, televisori, realizzati sopra i pannelli pubblicitari inutilizzati delle stazioni metropolitane di New York. Ma il cosiddetto “codice Haring” diventa subito riconoscibile, creando un linguaggio leggibile a colpo d’occhio, che accresce la sua fama. Il percorso a Palazzo Blu accompagna i visitatori tra i colori fluorescenti di icone, simboli di vitalità e fertilità. Ovunque Haring lavori, sulla strada o nel suo atelier, la musica è sempre presente. E la mostra lo prova, ricordandoci la collaborazione dell’artista alla creazione di un gran numero di cover, come quella per un album di David Bowie del 1983 che raffigura due omini stretti in un radioso abbraccio.
La maturazione del suo linguaggio artistico esplode in Apocalipse, 1988, dove la materia della sua arte si fa più profonda e complessa. Come omosessuale che convive con l’AIDS, sono la politica e la paura a diventare i temi dominanti dei suoi lavori. In collaborazione con lo scrittore beat William Burroughs, Haring lavora a questa serie, offrendo allo spettatore un assaggio del suo inferno personale. Con il tempo il suo linguaggio, sempre più invaso da affollate piramidi di omini, soli, maschere, totem e body painting, si carica di echi ispirati all’arte azteca, eskimo, africana e afroamericana, nonché di simboli antichi e mitologici. Sono queste immagini, accanto ai dischi volanti, ai serpenti, a figure erranti ed extraterrestri, a chiudere il percorso.
Affermava Haring "La mia speranza è che un giorno, i ragazzini che passano il loro tempo per strada si abituino a essere circondati dall’arte e che possano sentirsi a loro agio se vanno in un museo". In effetti la sua arte ha sempre cercato un contatto con il pubblico e un dialogo con lo spettatore, la sua arte è diventata uno dei simboli della cultura contemporanea.
Keith Haring ha vissuto gli sconvolgimenti della New York degli anni ’80, quando l’economia americana era in crisi e la città era preda di violenza, droga, discriminazione e povertà. Haring si è sempre impegnato attraverso le sue opere a sensibilizzare il pubblico su temi quali l’energia nucleare, gli aspetti negativi dell’era tecnologica, la salvaguardia dell’ambiente, il razzismo dilagante, l’uso delle droghe e la prevenzione contro l’AIDS. Sin dall’inizio della sua carriera Haring trova il modo di fondere ciò che è inequivocabilmente riconosciuto come arte con la vita di tutti i giorni.
E’ una delle mostre più importanti realizzate in questo anno in Toscana e l’incontro con l’arte di Haring è il modo più bello per un ritorno alla vita dopo il periodo della pandemia e dell’isolamento. Come ricorda nei suoi diari Haring “ Sto seduto sul balcone a guardare la cima della Torre Pendente. È davvero molto bello qui se c’è un paradiso spero che assomigli a questo”.