Attualità sabato 21 ottobre 2023 ore 09:00
"Noi, angeli dei trapianti nell'inferno di Israele"
Parlano i volontari che del Nopc che trasportano cellule salvavita di midollo osseo. Le sirene, i bunker, le città spettrali nelle loro testimonianze
TEL AVIV — Era il giorno più nero di Israele, quello dell'assalto da parte di Hamas e delle bombe. E lì c'era Rossana Modica, volontaria del Nucleo operativo di protezione civile logistica dei trapianti (Nopc) che dalla Toscana era a Gerusalemme per ritirare dall'ospedale locale cellule salvavita di midollo osseo da riportare in Italia. La donna ha trascorso ore in un bunker, poi è riuscita a completare la missione rientrando nello Stivale mentre un altro volontario, Massimiliano Napolitano, a Tel Aviv effettuava a sua volta un'altra missione.
La guerra insomma non ferma gli angeli dei trapianti che proseguono nelle loro staffette salvavita per trasportare midollo osseo per pazienti in attesa di trapianto per leucemia. Sono 30 anni che il Nopc svolge quest'opera reggendosi sulle gambe dei suoi 114 volontari attivi oltre che in Toscana anche in tutte le regioni del nord Italia, in Lazio, in Puglia, ma anche in Francia, Svezia, Spagna, Regno Unito, Usa e Argentina.
Nei suoi 30 anni di attività ha percorso milioni di chilometri su strada (87.000 solo durante i mesi più critici della pandemia), volato 2.776 tratte aeree l’anno toccando 112 nazioni, 267 città, tutti e cinque i continenti per quasi 13mila vite salvate.
Nemmeno davanti al dramma che sta vivendo in queste ore Israele, così come durante la guerra in Ucraina la macchina dei trapianti si è potuta fermare, pena la vita del malato in attesa.
"Le sirene e la corsa nel bunker"
Racconta Rosanna Modica la volontaria che si è trovata in Israele durante il sabato nero: “A un certo punto mentre ero in strada è suonata una sirena di quelle che sentiamo al telegiornale nei paesi in guerra e si sono sentite delle esplosioni. Nella camera del mio albergo, dove mi ero rifugiata, ho sentito suonare di nuovo la sirena ed è scattata la richiesta di scendere tutti nel bunker sotterraneo dell'hotel".
"Ci siamo trovati in una stanza lunga e stretta un paio di piani sottostanti il pianoterra spaesati e increduli. Mancava l'aria - ricorda - perché eravamo stipati in uno spazio angusto. Ho pensato alle persone che in Ucraina sono state costrette a viverci per lungo tempo dato che dopo 10 minuti non vedevo l'ora di uscire da lì".
Questo il racconto delle prime ore e da lì è iniziata una lunga serie di contatti con la sala operativa Nopc che ha costantemente monitorato la situazione di concerto con Ibmdr, la banca dati italiana che trova a livello mondiale i donatori e affida le missioni.
Il giorno seguente la donazione ha avuto corso, ma nelle stesse ore le compagnie aeree progressivamente cancellavano i voli in partenza da Tel Aviv. Come garantire il rientro della volontaria e del suo prezioso carico?
“Dopo un trasferimento fatto con ansia dall’albergo dove alloggiavo fino all’ospedale e poi all’aeroporto di Tel Aviv, e compiute le speciali procedure aeroportuali che per questi trasporti sono complicate e minuziose, finalmente ho avuto la conferma che il mio volo sarebbe partito", racconta ancora Rosanna.
“Il momento del decollo è stato come una liberazione dall'ansia e dalla preoccupazione di non riuscire a rientrare e portare a termine la missione. Poi l’arrivo in Italia a la consegna all’ospedale dove ad attendermi era l'abbraccio della dottoressa del centro trapianti. Un momento di pura felicità”, conclude emozionata Rosanna.
"Tel Aviv, città spettrale"
Un’altra donazione a catena era prevista il 10 Ottobre a Tel Aviv: Massimiliano Napolitano, altro volontario del Nopc, non ha esitato a prendersi carico di questa delicata missione seppur in uno scenario di incertezza logistica. Ha descritto una città spettrale: “Dopo un viaggio con itinerario cambiato più volte a causa del progressiva cancellazione dei voli, sono arrivato in Israele in una Tel Aviv deserta, più che durante il lockdown. La vitalità che caratterizza il lungomare era scomparsa e i consigli erano di non avventurarsi in città”.
“Dopo un giorno trascorso chiuso in albergo e qualche allarme che ci ha costretto a scendere nel rifugio, sono andato all’ospedale e poi in aeroporto percorrendo agevolmente strade deserte. Il personale dell’aeroporto mi ha prontamente assistito per farmi superare i controlli di sicurezza, poi l’imbarco e finalmente in Italia e ancora un po' di viaggio per raggiungere l’ospedale dove ho consegnato il dono della vita”, conclude Massimiliano.
“Un grazie speciale a questi due volontari" è stato rivolto da Massimo Pieraccini, presidente del Nopc.
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