Il calcio e la società dello spettacolo
di - sabato 17 dicembre 2022 ore 10:00
Dopo il Decreto “salvacalcio” o “spalmadebiti”, emanato dal governo Berlusconi nel 2002, ecco che l’ineffabile senatore della maggioranza di governo e già presidente della “Lazio”, Claudio Lotito, bussa alle tasche degli italiani per far rinviare le scadenze fiscali delle squadre di calcio e per consegnare il campionato televisivo a Dazn per altri due anni. Le squadre di calcio non imparano, i governi non imparano, l’Italia non impara!
Ma il problema è l’Italia o l’Europa? È il calcio o lo “sport”?
Panem et circenses, cioè pane e giochi da circo, diceva nelle sue “Satire” il poeta latino Giovenale riferendosi ai due elementi necessari per tener buona la plebe di Roma.
Dipendente dai giochi da circo era, ad esempio, l’intellettuale (si fa per dire) Pier Paolo Pasolini che nel 1969 reagì con rabbia alle parole di Helenio Herrera, allora allenatore della Roma, che aveva dichiarato: “Il calcio – e in genere lo sport – serve a distrarre i giovani dalla contestazione. Serve a tener buoni i lavoratori. Serve a non far fare la rivoluzione. Come fa Franco in Spagna con le corride.”. Ed anche il politico (si fa sempre per dire) Enrico Berlinguer rispondeva al giornalista di Tuttosport, che gli chiedeva se è vero che lo sport è responsabile di “ottundere le coscienze, di favorire l’alienazione delle masse”, “Non penso che l’operaio, se alla domenica va allo stadio, al lunedì sia meno preparato ad affrontare i problemi del lavoro, le battaglie sindacali. Non voglio dire con questo che la domenica allo stadio giovi alla politicizzazione dell’operaio, ma non spartisco la paura per le conseguenze di questa sua vacanza festiva.”.
Si sa com’è andata: il governo dà il “panem” a pioggia ed agevola gli amici degli amici, gli eredi di Pasolini e Berlinguer si trovano impelagati in uno scandalo in cui figurano come sostenitori di paesi (il Qatar e il Marocco), che corrompono l’Europa contro la dignità dei lavoratori morti nella costruzione degli stadi del Qatar e contro la dignità del Sahara occidentale, aggredito dal Marocco.
Karl Marx aveva scritto: “La religione è il sospiro della creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, così come è lo spirito di una condizione senza spirito. Essa è l’oppio del popolo. Eliminare la religione in quanto illusoria felicità del popolo vuol dire esigere la felicità reale. L’esigenza di abbandonare le illusioni sulla sua condizione è l’esigenza di abbandonare una condizione che ha bisogno di illusioni.”. Da più di un secolo si collega l’oppio al calcio piuttosto che alla religione. I calciatori, come i gladiatori dell’antica Roma, sono diventati i feticci terreni di un culto ritualizzato da vaste moltitudini di persone, ormai espropriate di autentici valori spirituali. Scriveva il giornalista Lucio Garofalo: “Il calcio è diventato il culto pagano per antonomasia in un’epoca senza divinità, né idoli, senza riferimenti culturali e principi etici, senza passioni estetiche, artistiche o politiche in grado di impreziosire la vita degli individui, strozzati da una brutale alienazione economica. In tal senso il calcio è diventato una valvola di sfogo, una via di scampo dal soffocante grigiore del vivere quotidiano. Il calcio è una sorta di acquavite spirituale in cui le masse annegano le angosce, i dolori e le inquietudini che le affliggono, come un tempo faceva la religione”. Il calcio è, dunque, uno strumento di distrazione di massa, che, attraverso il suo interclassismo, il privilegio dedicato dai media ed una partigianeria ottusa, rafforza la complicità delle coscienze verso la masochistica normalizzazione dello sfruttamento. Esempi fulgidi sono, oltre all’enfasi di Hitler e Mussolini, l’Argentina del generale Videla, che usò il campionato del mondo del 1978 per coprire gli omicidi dei desaparecidos e la resistibile ascesa in politica di Silvio Berlusconi, che, ancora oggi, promette un pulmann di “troie” ai suoi calciatori se battono le squadre più titolate.
Il comico John William Oliver dice: “È una religione organizzata e la FIFA è la sua Chiesa. Pensateci: il suo leader è infallibile, convince nazioni sudamericane a spendere soldi che non hanno per costruire opulenti cattedrali e potrà risultare responsabile della morte di un incredibile numero di persone in Medio Oriente. Ma per milioni di persone in tutto il mondo, come per me, è guardiano dell'unica cosa che dà un senso alle proprie vite.”.
Come mai siamo caduti così in basso? Ed perché non staccarsi dal calcio ed esprimere un’irridente compassione verso chi ne è dipendente? Bisogna scomodare Guy Debord per comprendere la risposta: “Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra persone, mediato da immagini… Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale. Non solo il rapporto con la merce è visibile, ma non si vede più che quello: il mondo che si vede è il suo mondo… Il consumo alienato diventa per le masse un dovere supplementare alla produzione alienata… Il nostro tempo preferisce l’immagine alla cosa, la copia all’originale, la rappresentazione alla realtà, l’apparenza all’essere. Ciò che per esso è sacro non è che l’illusione, ma ciò che è profano è la verità… Lo spettacolo è il capitale a un tal grado d’accumulazione da divenire immagine… La fase presente dell’occupazione totale della vita sociale da parte dei risultati accumulati dall’economia, conduce a uno slittamento generalizzato dall’avere al sembrare… La noia è sempre controrivoluzionaria. Sempre… Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso… Lo spettacolo non vuole giungere a nient’altro che a se stesso… Lo spettacolo è il brutto sogno della società moderna incatenata, che infine non esprime che il suo desiderio di dormire... Lo spettacolo è il custode di questo sonno… Lo spettatore più contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la propria esistenza e il proprio desiderio… Il consumatore reale diventa consumatore di illusioni. La merce è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo la sua manifestazione generale… L’uomo reificato ostenta la prova della sua intimità con la merce. Il feticismo della merce raggiunge dei momenti di eccitazione fervente… I personaggi ammirevoli in cui il sistema si personifica sono ben noti per non essere ciò che sono: sono divenuti grandi uomini scendendo al di sotto della realtà della minima vita individuale, e tutti lo sanno.”.