Attualità martedì 03 giugno 2025 ore 18:00
Crescere nell'età della pietra, cosa dicono i fossili

I nostri antenati crescevano più velocemente. Lo rivela uno studio internazionale sui fossili di tre neonati ritrovati in Sudafrica e in Etiopia
FIRENZE — Quanto velocemente crescevano i bambini di 2 milioni di anni fa? Una possibile risposta arriva da uno studio internazionale su alcuni fossili ritrovati in Sudafrica e in Etiopia.
Autori dello studio, pubblicato su Nature Communications, sono Jacopo Moggi Cecchi, docente di Antropologia al Dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze, e José Braga dell’Université de Toulouse
I reperti consistono in una mascella e due mandibole appartenenti a bambini molto piccoli, poco più che neonati. "Questi resti - spiega una nota dell'università di Firenze- sono di grande valore per comprendere come si sviluppavano i primi esseri umani. I resti fossili delle più antiche specie del genere Homo (Homo habilis e Homo erectus) sono soprattutto reperti di individui adulti, mentre sono completamente mancanti i resti di individui neonati ed infantili".
“La nostra ricerca apre le porte alla possibilità di studiare lo sviluppo somatico nelle specie più antiche del genere Homo – prosegue –. Una delle caratteristiche della specie umana è quella di avere dei tempi di sviluppo somatico post-natale prolungati rispetto a quelli degli altri primati. I cuccioli umani crescono lentamente, in parte perché il nostro cervello è molto grande in proporzione al corpo. Per capire quando questa caratteristica è emersa nella nostra evoluzione, è fondamentale disporre di fossili di bambini. Analizzandoli, possiamo raccogliere informazioni preziose sull’anatomia e sui tempi di crescita.”
Per uno di questi reperti, la porzione di mascella, è stata determinata l’età biologica alla morte, che è stata stimata a circa 6 mesi grazie allo studio della struttura interno dello smalto dentario, che si forma mantenendo delle tracce del suo sviluppo, in maniera simile agli anelli di accrescimento degli alberi. Questa analisi è stata possibile tramite l’impiego di microtomografie a luce di sincrotrone effettuate presso la European Synchrotron Radiation Facility di Grenoble.
“I risultati indicano che i tempi di sviluppo di questi ‘piccoli’ erano ancora relativamente rapidi e che quindi l’acquisizione di tempi di sviluppo prolungati deve essersi originata in tempi molto più recenti nel corso dell’evoluzione umana – illustra il docente fiorentino –. Inoltre, l’analisi dettagliata della morfologia craniofacciale e dentaria ha mostrato delle differenze tra la mandibola rinvenuta in Etiopia attribuita a Homo habilis e i reperti sudafricani, attribuiti a una specie affine a Homo erectus. L’esistenza di queste differenze morfologiche suggerisce che la diversità tassonomica fra queste due specie del genere Homo fosse già evidente nell’infanzia”.
“Nuovi fossili e nuovi metodi di analisi – conclude Moggi Cecchi – ci aiuteranno a ricostruire meglio l’evoluzione dello sviluppo corporeo che ha portato alla comparsa di Homo sapiens”.
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