Il bambino con la maglietta azzurra
di - domenica 31 dicembre 2023 ore 00:05
Vi è mai capitato che, in una fotografia, apparisse qualcosa o qualcuno di cui non vi eravate accorti quando l'avete scattata? A me sì e, quando è successo, non ho pensato nè ai fantasmi nè agli alieni ma a una mia disattenzione. Tranne una volta.
Mi trovavo nell'immenso parco archeologico di Angkor, in Cambogia. La presenza umana in questi luoghi risale alla preistoria ma, dal IX al XV secolo d.C., qui sorsero diverse capitali dell'impero Khmer che comprendeva, oltre al territorio cambogiano, quello della Thailandia, del Laos e la parte meridionale del Vietnam.
Oggi il sito si estende su 400 chilometri quadrati ed è così importante per la storia di questo Paese che il suo tempio più famoso, Angkor Wat, è rappresentato al centro della bandiera nazionale. L'Unesco l'ha dichiarato patrimonio dell'umanità nel 1992.
Angkor è un luogo emozionante, evoca letture infantili e film d'avventura: in una giungla color smeraldo si nascondono le rovine di centinaia di templi, gli unici edifici che in epoca Khmer venivano costruiti in pietra e che quindi hanno resistito al trascorrere del tempo; un'ottantina di questi sono stati liberati dalla morsa della foresta e ricomposti con la tecnica dell'anastilosi ovvero riassemblando i pezzi originali disseminati sul posto.
Si tratta di costruzioni imponenti in cui furono praticati culti diversi, per lo piú buddisti o induisti. Le architettture sono ricche di simboli e di decorazioni, emanano sfarzo e potere. L'insieme, già di per sè straordinario, è avvolto dai tentacoli di una vegetazione implacabile: radici, tronchi e rami si insinuano fra torri, scalinate, porticati, archi e muraglioni, infondendo forza vitale a questo gigantesco insediamento collassato centinaia di anni fa.
I re Khmer abbandonarono Angkor nel XV secolo ma, nonostante il declino, l'antica città non fu mai del tutto perduta: la zona, pianeggiante e ricca di acqua, ha continuato ad essere abitata e occasionalmente esploratori di varie nazionalità hanno dato notizia dei magnifici ruderi che custodiva. Il rilancio però si ebbe solo nella seconda metà dell'Ottocento grazie ai racconti di viaggio del francese Henri Mouhot e ai suoi disegni. Il recupero del sito fu avviato durante il periodo in cui la Cambogia divenne, a partire dal 1863, un Protettorato della Francia.
Io arrivai ad Angkor insieme ad alcune amiche nel Gennaio del 2012. Dopo aver perlustrato per un'intera giornata i templi più famosi, decidemmo di fermarci fino al calar della notte per vedere il tramonto sulle cupole di Angkor Wat. Ne rimanemmo talmente affascinate che, il mattino successivo, ci svegliammo alle 5 per assistere anche all'alba. Ma non ne avevamo ancora abbastanza e quindi, nelle poche ore rimaste prima della partenza, raggiungemmo altri angoli del parco più appartati rispetto al circuito principale.
L'ultimo complesso che raggiungemmo si chiama Preah Khan. Fu costruito dal re Jayavarman VII dopo un'importante vittoria militare e consacrato nel 1191. E' uno dei più grandi di Angkor: un santurio buddista si estende su un unico piano, circondato da una serie di gallerie rettangolari, e intorno ci sono altre strutture suggestive, alcune con funzioni ignote. Era ancora presto e c'era pochissima gente: ricordo solo tre o quattro turisti occidentali. Mi aggirai fra cortili e colonnati e infine, a malincuore, mi avviai sulla strada del ritorno.
Fu solo alla sera che, riguardando le foto di Preah Khan sulla mia macchinetta digitale, mi accorsi dell'immagine che vedete qui sotto e del bambino con la maglietta azzurra che spicca al centro.
Rimasi interdetta: non ricordavo affatto quel ragazzino scalzo che dà le spalle all'obiettivo mentre corre verso l'ingresso del santuario. Anzi, piú ci pensavo piú ero sicura di non non averlo visto, al momento dello scatto. Chiesi alle mie amiche se ci avessero fatto caso. "Noi non abbiamo visto bambini laggiù" fu la risposta. A quel punto scandagliai una per una le mie foto e quelle delle mie compagne di viaggio ma... niente, il bimbo non spuntò da nessun'altra parte.
Nè allora nè dopo ho cercato o mi sono data spiegazioni per quella curiosa presenza. Meno che mai ho voglia di farlo adesso, in quest'epoca dominata da foto-fake rese sempre piú ingannevoli dall'intelligenza artificiale.
Sotto sotto peró mi chiedo: com'è possibile che io non abbia visto un ragazzino che correva proprio davanti a me, a pochi metri di distanza, con addosso una sgargiante maglietta? E che neppure le mie amiche lo abbiano notato? E comunque, se il piccino c'era, da dove era venuto e dove stava andando, a piedi nudi?
Queste domande, ovviamente, non avranno mai una risposta. Ma non importa: sono dodici anni che quella fotografia, ogni volta che la guardo, mi regala un sorriso e mi fa sentire, chissà perchè, con il cuore più leggero. Può bastare.
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