Brevemondo domenica 01 giugno 2025 ore 06:30
Israele-Hamas, Russia, Taiwan e Venezuela

Possibile tregua in Palestina, ancora dazi, colloqui tra Ucraina e Russia, la minaccia su Taiwan e le elezioni scontate in Venezuela
. — Benvenuti a Brevemondo. Cominciamo.
Una tregua di due mesi per Gaza
Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha accettato la proposta di tregua per 60 giorni promossa dagli Stati Uniti e mediata dall’Egitto e dal Qatar. Da diverse settimane, del resto, il presidente Donald Trump aveva invitato Israele a cessare gli attacchi nella Striscia di Gaza per arrivare a un cessate il fuoco, non risparmiando critiche a chi lo aveva definito come il “miglior amico di Israele”.
Il piano proposto da Washington attraverso il proprio inviato speciale, Steve Witkoff, prevede anche delle procedure ben delineate per quanto riguarda lo scambio di ostaggi israeliani e di prigionieri palestinesi, la consegna degli aiuti umanitari alla popolazione della Striscia e il ritiro dell’esercito israeliano dalla stessa. Inoltre, durante gli eventuali 60 giorni di tregua, dovrebbero continuare i negoziati tra Israele e Hamas per porre fine alla guerra.
L’ipotesi di due mesi di tregua, però, resta appesa alla risposta di Hamas, che pare aver respinto il piano così come presentato dagli Stati Uniti, chiedendo su diversi aspetti. Uno stop improvviso, che da parte di Israele è stato immediatamente bollato come un “evidente rifiuto”, mentre per Washington si tratta di una risposta “inaccettabile” che non fa altro che far tornare indietro il processo negoziale e diplomatico. Nel momento in cui viene scritta questa newsletter, la risposta definitiva di Hamas deve ancora arrivare.
La novella dello stento dei dazi
Poco altro ha appassionato una così grande massa di media e lettori come i dazi imposti da Trump da aprile in avanti, che sembravano dover essere un punto di non ritorno. Eppure, da quel punto il presidente statunitense è tornato più volte, facendo avanti e indietro e costringendo i giornalisti a pubblicare diversi articoli arricchiti da infografiche dove viene ripercorsa l’intricata cronistoria dei dazi stessi.
Le ultime novità riguardano una questione giuridica e l’Unione Europea. Nel primo caso, la corte federale sul commercio internazionale degli Stati Uniti ha bloccato i dazi di Trump perché quest’ultimo li ha imposti facendo leva su una particolare legge del 1977, ovvero la Emergency Economic Powers Act, che fino all’avvento del newyorchese alla Casa Bianca non era mai stata invocata per applicare le tariffe. Ciononostante, dopo neppure 24 ore, il blocco è stato sospeso a causa del ricorso presentato dall’amministrazione statunitense. A questo punto, dovrà esprimersi la Corte Suprema.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, invece, Trump ha annunciato che proprio da oggi, 1° giugno, scatteranno dei dazi del 50% sulle importazioni dai Paesi europei per quanto riguarda acciaio e alluminio. Un colpo assestato mentre le parti stanno cercando di arrivare a definire un accordo come già fatto, per esempio, da Regno Unito e Cina. Evidentemente, i colloqui non stanno andando come sperato da Trump, che su Truth non ha risparmiato l’Unione Europea dalle sue solite critiche, definendo quest’ultima come progetto nato “con l’obiettivo primario di approfittarsi degli Stati Uniti nell’ambito del commercio”.
Gli stanchi colloqui di Istanbul
Nella giornata di oggi, le delegazioni di Ucraina e Russia torneranno a confrontarsi a Istanbul, in Turchia, con l’obiettivo di raggiungere un accordo per il cessate il fuoco tra i due Paesi. Un esito che sembra altamente improbabile, sia per la composizione delle delegazioni, senza nessuno dei due presidenti, Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, sia perché dalle parti di Mosca sembra mancare del tutto questa volontà.
Nonostante la chiamata di Trump e il pressing di Washington affinché si arrivi quantomeno alla sospensione del conflitto, in Ucraina si continua a combattere e il Cremlino non sembra interessato a scendere a compromessi. Ieri, per esempio, dopo i numerosi attacchi aerei tra droni e missili della scorsa settimana, l’esercito russo è avanzato nella regione di Sumy, prendendo il controllo di ulteriore terreno ucraino.
Per questo Trump, dopo aver detto che Putin è come “impazzito”, ha preso in considerazione la possibilità di calcare la mano sulle sanzioni contro la Russia e avrebbe di fatto dato al presidente russo una sorta di ultimatum per scendere a patti sull’Ucraina. Di fronte ai giornalisti alla Casa Bianca, infatti, Trump ha detto di non avere idea se Putin volesse davvero fermare la guerra e che lo si sarebbe capito nel giro di un paio di settimane. Resta da vedere, dunque, cosa accadrà nei prossimi giorni: ma i negoziati di Istanbul, verosimilmente, non daranno alcun input.
“L’attacco a Taiwan è imminente”, dice Hegseth
Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, ha riportato al centro del dibattito internazionale la questione Taiwan. Lo ha fatto direttamente dallo Shangri-La Dialogue di Singapore, un appuntamento dedicato alla sicurezza e alla difesa nel continente asiatico, dove ha spiegato come l’offensiva di Pechino contro l’isola di Formosa sarebbe ormai vicino.
La situazione dell’isola è nota: dopo la vittoria di Mao Tse Tung e la proclamazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, sull’isola si rifugiarono i nazionalisti e oppositori del Partito comunista. Qui nacque la Repubblica cinese, che sino agli anni Settanta ha mantenuto lo scranno nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come unica Cina. Il riconoscimento degli Stati Uniti dell’altra Cina, quella che conosciamo tutti, portò poi rapidamente alla sua “emarginazione”, tant’è che oggi Taiwan è riconosciuta formalmente da undici Paesi, compresa la Santa Sede.
La Cina vede Taiwan come parte del proprio territorio ed entro il 2049, centenario della Repubblica popolare, mira ad annetterla. Un’ipotesi che sconvolgerebbe gli equilibri nel Mar Cinese Meridionale e che gli Stati Uniti vogliono evitare a ogni costo. Per questo, Hegseth ha anche annunciato che Washington aumenterà la propria presenza per garantire l’indipendenza di Taiwan.
Elezioni in Venezuela
In Venezuela si è tenuto il voto per le assemblee regionali, disertato da parte delle opposizioni in quanto ritenuto una farsa. A trionfare, come preventivato, il Partito Socialista Unito del presidente Nicolás Maduro, che ha ottenuto l’83% delle preferenze e che ha così ottenuto 23 governatori sui 24 che dovevano rinnovare la propria carica.
Le elezioni si sono tenute dopo che, nei giorni precedenti, era stato arrestato Juan Pablo Guanipa, secondo in comando della leader dell’opposizione, ovvero Maria Corina Machado. Secondo le accuse mosse dalle pubbliche autorità, Guanipa avrebbe messo in piedi una “rete terroristica” che avrebbe avuto come obiettivo quello di sovvertire l’esito del voto stesso. Insieme a Guanipa, prima dell’apertura delle urne, erano state arrestate una sessantina di persone, accusate a vario livello.
Particolarità del voto, il partito chavista, erede e prodotto del regime di Hugo Chávez cui Maduro è succeduto, si è imposto anche nella Guayana Esequiba, ovvero una regione che formalmente appartiene allo Stato della Guyana. Il Venezuela ne rivendica la sovranità dal 1963 e due anni fa, con un referendum, è stato chiesto alla popolazione di esprimersi sullo stato della Guyana Esequiba: anche in quel caso, con percentuali vicine al 100%, è stato approvato il piano di Maduro di istituire una regione venezuelana che ricomprendesse l’intera area all’interno del Paese.
Il pezzo della settimana
Negli ultimi giorni ha spopolato il nomignolo affibbiato a Trump: Taco. Ovvero, acronimo per “Trump always chickens out”, cioè “Trump si tira sempre indietro”. Il riferimento, ovviamente, è alla questione dazi. Ma la questione è più ampia e potrebbe coinvolgere anche Cina e Russia su un fronte assai più concreto. Si legge qui.
La canzone della settimana
Tra Putin “impazzito”, dazi sì e dazi no, Trump sembra non saper che fare. Con se stesso.
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