La bellezza spudorata
di - domenica 21 aprile 2024 ore 00:05
"Ciao zia, senti... tu sicuramente conoscerai il giardino Bardini. Mi hanno detto che è molto instagrammabile. Confermi?". Due giorni fa la domanda della nipote adolescente mi ha colto in contropiede più che altro per l'aggettivo utilizzato. Instagrammabile: ma che lingua è? Ovviamente ho glissato sia sul termine che sulla finalità social della richiesta e le ho risposto subito: "Certo, assolutamente. Ma vacci il prima possibile, siamo in Aprile e c'è il glicine fiorito".
Ci sono posti di una bellezza così esagerata da proiettare chi ci si immerge in un'altra dimensione. Il giardino di Villa Bardini, collocato fra le mura di Firenze su una collina scoscesa fra piazzale Michelangelo e Forte Belvedere, con un affaccio straordinario sulla città, è uno di questi. Stiamo parlando di quattro ettari di verde in pieno centro storico e con sette secoli di storia. L'antiquario Stefano Bardini li acquistò nel 1913 insieme a una villa seicentesca, ribattezzandoli subito "i tre giardini" perchè includevano un giardino all'italiana con una scalinata barocca, un bosco all'inglese e un parco agricolo con un pergolato di glicini.
Nonostante che il giardino Bardini sia sempre più conosciuto al di fuori dei confini toscani, ancora non è stato fagocitato dal turismo di massa. Temo, purtroppo, che sia solo una questione di tempo: da un po', sulla porta dell'ingresso di via de' Bardi, spicca la scritta "il più bel panorama di Firenze" e, un anno dopo l'altro, le code per entrare si allungano. Però gli addetti alla biglietteria fanno saltare la fila ai fiorentini e a chi risiede in qualunque altro Comune della Città metropolitana, basta mostrare la carta di identità. Una piccola rivincita per chi deve farsi largo ogni giorno fra le truppe cammellate dei vacanzieri mangia-schiacciata.
Una volta entrati nel giardino, si percorrono alcune rampe in salita bordate di piante di rose, si ammirano le statue, l'orto a forma di labirinto, la scalinata barocca, il frutteto e poi eccolo, il pergolato traboccante di fiori che porta al belvedere, affacciato su alberi e prati da cui emergono il Cupolone, il campanile di Giotto, Palazzo Vecchio, Santa Croce.
Lungo 70 metri, largo 4 metri e mezzo, il pergolato è stato completato vent'anni fa. E' formato da varietà di glicine diverse per forma e colore, per lo più giapponesi o cinesi come il black dragon, il royal purple, lo showa beni. Quando la fioritura raggiunge il culmine, si crea una macchia rosa visibile anche dalla parte opposta dell'Arno.
Passare sotto il pergolato fa un effetto sorprendente: tu cammini, osservi la campagna rigogliosa e i grappoli viola che incorniciano la città, scatti foto e ti accorgi che tutti, ma proprio tutti, sorridono. Sorrisoni da un orecchio all'altro, insistenti, contagiosi, alternati a esclamazioni di meraviglia. Qualcuno scherza: "Eh, ho visto posti più brutti", "Ma guarda, credevo meglio", "Oh, spargiamo in giro la voce che è meglio non venirci" e la gente ride, ammiccando verso lo splendore.
La bellezza, quando è così spudorata e condivisa, dissolve rabbia e solitudine e riempie di allegria. Magari questo stato di grazia dura solo fino alla fine della visita. Ma genera un ricordo bellissimo che resterá nella mente e nel cuore per sempre.
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