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Brevemondo domenica 11 maggio 2025 ore 06:30

Leone XIV, India-Pakistan, Cina-Russia e Romania

Il primo papa statunitense e la sua missione, Merz zoppicante, la mediazione Usa tra India e Pakistan, il mondo della Russia e le elezioni rumene



Leone XIV, il primo papa statunitense

Giovedì 8 maggio, al quarto scrutinio del conclave riunitosi dopo la morte di papa Francesco, è stato scelto come successore di Francesco il cardinale statunitense Robert Francis Prevost. Si tratta di una prima volta assoluta per un pontefice proveniente dagli Stati Uniti. Come nome, Prevost ha scelto quello di Leone XIV: l’ultimo fu Leone XIII, in carica dal 1878 sino al 1903 e autore della Rerum Novarum, forse una delle encicliche più conosciute, che ha dato inizio al lungo percorso di apertura al mondo da parte della Chiesa.

L’elezione di Prevost, seppur abbia suscitato sorprese, dimostra come un’ampia maggioranza del conclave, in neppure 48 ore, fosse alla ricerca del medesimo profilo. Leone XIV, infatti, è chiamato a porsi come sorta di “normalizzatore” del pontificato di Francesco, senza però snaturarne la parabola. Bergoglio ha spinto la Chiesa cattolica al di fuori del perimetro occidentale e, in questo senso, Prevost è un precursore: dagli anni Ottanta, ha vissuto quasi tre decenni in Perù, imparando ad ascoltare e a far proprie le rivendicazioni delle comunità a quelle latitudini. Non è un caso se, dalla loggia delle benedizioni, il nuovo pontefice abbia usato soltanto due lingue: l’italiano, ovviamente, e lo spagnolo. Niente inglese.

Papa Leone XIV [X Account]

Allo stesso tempo, l’elezione di Prevost prolunga l’attesa per la nomina di un nuovo papa italiano: dal 1978, anno di elezione di papa Giovanni Paolo II, i pontefici sono stati tutti stranieri. Pietro Parolin, segretario di Stato durante il pontificato di Francesco, sembrava essere il candidato più forte e in parte, pare ormai acclarato, lo era davvero, grazie ad almeno una quarantina di voti in suo favore. Probabilmente, a pesare sulla sua candidatura, è stato l’impegno speso per l’elaborazione dell’accordo provvisorio dalla Cina, avversato dai cardinali statunitensi. Al contrario, Prevost è una sorta di eroe dei due mondi, che unisce nord e sud tanto del continente americano, quanto del mondo.

Merz è diventato cancelliere, alla fine

Friedrich Merz, il candidato di punta della Cdu-Csu, formazione che nelle ultime elezioni tedesche di febbraio ha ottenuto la maggioranza relativa, è stato scelto dal Bundestag come nuovo cancelliere. Prende dunque il posto di Olaf Scholz, che ha ricoperto l’incarico dal 2021, prima della caduta del suo governo composto dal Partito socialdemocratico, liberali e verdi.

La nomina di Merz, comunque, non è stata così pacifica come si immaginava. Per ottenere il cancellierato, infatti, ha dovuto affrontare due votazioni. Nella prima, infatti, non è riuscito a ottenere la maggioranza dei voti, nonostante il via libera da parte dei socialdemocratici all’accordo di governo con la Cdu-Csu, su cui si baserà la riedizione della Große Koalition che sostiene lo stesso Merz. Un inciampo senza precedenti in Germania, che ha costretto Merz a tornare al Bundestag per una seconda volta, rischiando di bruciare definitivamente le sue chance di diventare cancelliere. Alla fine, però, ha ottenuto 325 voti, nove in più di quelli necessari.

Il tortuoso cammino di Merz per diventare cancelliere dimostra ancora una volta la debolezza degli schieramenti all’interno del Bundestag. La Cdu-Csu, nonostante la maggioranza relativa alle elezioni, deve fare i conti con un Partito socialdemocratico ai minimi storici e l’opposizione tenace del partito Alternative für Deutschland, il secondo gruppo più numeroso in parlamento. Naturalmente, nel gioco delle parti, la leader di AfD Alice Weidel non ha perso l’occasione per rimarcare quanto, in realtà, l’alleanza tra socialdemocratici e cristianodemocratici sia invisa agli elettori e che il suo partito sia l’unico a rappresentare la Germania. Forte, adesso, anche della temporanea sospensione della definizione di “organizzazione estremista” da parte dei servizi segreti interni, dopo aver presentato un ricorso al tribunale amministrativo di Colonia.

India e Pakistan in guerra, Stati Uniti in pace

Le scaramucce tra India e Pakistan lungo il confine in Kashmir, dopo l’attentato che ha causato la morte di una ventina di persone, sono state il preludio di un vero e proprio conflitto. Per volontà del primo ministro indiano, Narendra Modi, Nuova Delhi ha infatti lanciato alcuni attacchi sia sui territori del Kashmir amministrati dal Pakistan, sia contro lo stesso Pakistan. L’India sostiene di aver colpito delle infrastrutture terroristiche, mentre il Pakistan afferma che gli attacchi siano ingiustificati e che non sarebbero rimasti senza conseguenze.

A quel punto, con un vero e proprio blitz diplomatico, sono entrati in gioco gli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump, come suo solito attraverso X, ha annunciato di aver raggiunto un accordo per il cessate il fuoco tra Nuova Delhi e Islamabad. Nel dettaglio, sono stati il vicepresidente J.D. Vance e il segretario di Stato Marco Rubio ad aver avuto colloqui intensi con le due parti in causa, che a loro volta, hanno confermato di essersi accordate per un cessate il fuoco.

Una riunione dell'amministrazione Trump [X Account]

Ciononostante, nelle ore successive, l’India ha accusato il Pakistan di aver violato la tregua. Nel Jammu e Kashmir, territorio costituito nel 2019 dal governo indiano, alcuni testimoni hanno infatti riportato una serie di esplosioni di artiglieria e di attacchi da parte di droni. Islamabad, in ogni caso, ha negato qualsiasi coinvolgimento e di aver violato il cessate il fuoco. La situazione resta piuttosto complicata, anche perché India e Pakistan sono due Paesi che dispongono di un proprio arsenale nucleare: secondo le stime, Nuova Delhi può contare su circa 180 testate nucleari, mentre Islamabad su circa 170.

La festa della Russia ne disegna il mondo

Come ogni 9 maggio, in Russia si è celebrato il giorno della vittoria, ovvero l’anniversario della capitolazione della Germania e il contestuale trionfo dell’Armata rossa in quella che, a Mosca, viene definita come Grande guerra patriottica. E, come avviene ormai da qualche anno a questa parte, le presenze sugli spalti durante la parata dell’esercito russo fotografano il mondo dal punto di vista del Cremlino. Erano presenti oltre venti leader da tutto il mondo, tra i quali anche Robert Fico, presidente del Consiglio della Slovacchia, Paese membro dell’Unione Europea, e Aleksandar Vučić, il presidente della Serbia, candidata all’adesione.

Soprattutto, però, era presente il presidente cinese Xi Jinping. Sin dall’inizio della guerra in Ucraina nel 2022, la Cina ha rappresentato per la Russia un partner fondamentale: di fronte al blocco delle esportazioni verso i Paesi occidentali, Pechino si è rapidamente garantita il primato nell’acquisto delle materie prime e del petrolio russo, potendo così soddisfare la propria domanda interna a basso costo. Pochi giorni prima dell’attacco contro Kiev, inoltre, i due Paesi hanno siglato una collaborazione “senza limiti”, ovvero senza che fossero esclusi a priori settori in cui esercitare una certa sinergia.

La presenza di Xi Jinping durante la festa del giorno della vittoria, dunque, non fa che rinsaldare il legame tra Cina e Russia, anche a fronte del tentativo degli Stati Uniti e di Trump di sottrarre Mosca dalla morsa di Pechino. Tanto che lo stesso presidente cinese, nell’imminenza delle celebrazioni, ha scritto un articolo che è stato pubblicato dai media russi: “Imparare dalla storia per costruire insieme un futuro migliore”. Che Xi Jinping e Putin intendano giocare questa alleanza contro Washington è abbastanza evidente, per stessa ammissione del primo: nelle sue parole, Cina e Russia collaboreranno contro la “tendenza internazionale all'unilateralismo” e un “comportamento prepotente egemonico”.

Anche in Romania si sfidano europeisti e non europeisti

Il ballottaggio delle elezioni presidenziali in Romania avrà come protagonisti George Simion, candidato dell’ultradestra, e il sindaco di Bucarest Nicusor Dan. Come avviene in molti altri Paesi che hanno fatto parte dell’ex Patto di Varsavia, dunque inseriti all’interno del blocco sovietico, il voto divide l’elettorato soprattutto sulla faglia tra chi è scettico sull’Unione Europea, come Simion, e chi invece è favorevole, come Dan.

Occorre ricordare che le elezioni presidenziali sono state ripetute dopo l’annullamento del voto che si è tenuto a novembre dello scorso anno. In quell’occasione, al primo turno trionfò Calin Georgescu, anche lui candidato dell’estrema destra. La Corte costituzionale rumena, però, aveva annullato l’esito, in quanto i giudici, all’unanimità, hanno stabilito come questo fosse il risultato di una serie di brogli e irregolarità. Inoltre, a febbraio, contro lo stesso Georgescu è stato aperto un procedimento penale, suscitando ulteriori proteste e manifestazioni da parte dei suoi sostenitori.

George Simion [X Account]

Escluso dal voto, Georgescu è stato sostituito dal suo schieramento da Simion. Questi, già deputato, si attesta sulle medesime posizioni: è fermamente contrario all’invio di aiuti militari all’Ucraina, contesta l'adesione all’Unione Europea e indica negli Stati Uniti di Donald Trump l’alleato naturale. Dall’altra parte, invece, il sindaco Dan, europeista, potrà verosimilmente contare sull’appoggio del terzo candidato più votato, Crin Antonescu, anche lui favorevole al percorso europeo di Bucarest. Il ballottaggio, che stavolta è stato convalidato dai giudici costituzionali, si terrà il prossimo 18 maggio.

Il pezzo della settimana

Il personaggio di questa settimana, senza dubbio, è il nuovo pontefice, Leone XIV. Data la sua cittadinanza statunitense, se ne sono dette molte: è stato scelto da Trump, è anti Trump, addirittura è iscritto nel Partito repubblicano. Un bel ritratto lo fornisce Massimo Faggioli, professore alla Vilanova University - dove si è laureato lo stesso Prevost - e storico della Chiesa, soprattutto americana. Si legge qui.

La canzone della settimana

Provenendo da Chicago, papa Leone XIV è stato subito accostato ai Blues Brother. Almeno, musicalmente. Ma vista l’attenzione rivolta alle questioni sociali, come la povertà e la marginalità, c’è una canzone, non dei Blues Brother, che ha come scenario Chicago e che parla, appunto, di questi temi.


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Elvis Presley - In the Ghetto (Official Audio)

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