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Le crisi post Brexit

di - sabato 07 gennaio 2023 ore 18:00

Il rumore mediatico che hanno assunto le accuse del principe Harry alla famiglia reale e in particolare al fratello William, contenute nel libro di memorie appena pubblicato, è quello di un terremoto, da far tremare le mura (e le fondamenta) di Buckingham Palace. Le dichiarazioni in calce del secondogenito di Lady Diana vanno ben oltre le liti tra “parenti serpenti…”, il risentimento di Harry è personale e politico allo stesso tempo. Il suo è un attacco diretto all'istituzione della monarchia e una rottura completa con la corte reale che, come da tradizione, protegge l'erede designato al trono. Era dai tempi del referendum sulla Brexit che il regno britannico non si polarizzava in questo modo su due schieramenti. Proprio nel momento in cui i sudditi di Carlo III si sono convinti che il divorzio da Bruxelles non è stata un'ottima idea. In un recente sondaggio del quotidiano The Independent il 65% degli intervistati si è detto favorevole ad un nuovo referendum sul ricongiungimento all'Europa. Da svolgersi preferibilmente entro 10 anni. I fermamente contrari a tale opzione di ritorno sono invece il 24%.

Ad incidere sul cambio di indirizzo dell'opinione popolare sono diversi fattori. A partire dalla presa di coscienza che i potenziali benefici derivanti dalla Brexit siano stati originariamente ampiamente sopravvalutati. E sempre più persone oggi guardano all'Ue come soluzione agli attuali problemi economici e sociali che affliggono il Paese. L'altra percezione diffusa è che il divorzio abbia peggiorato il controllo dei confini. Il 54% è comunque convinto che la Brexit è stata una decisione sbagliata, otto punti in più rispetto all'anno precedente. Il 56% ritiene che tale scelta abbia influito negativamente sull'economia. Mentre il 50% pensa che abbia ridotto il ruolo internazionale britannico.

Secondo un gruppo di ricercatori della London School of Economics la Brexit è costata 210 sterline l'anno a famiglia solo di aumenti negli acquisti dei generi alimentari. A risentire maggiormente sono state le piccole imprese, le cui esportazioni all'estero hanno avuto un cospicuo calo. Le barriere alle merci da e per il primo partner commerciale del Regno sono risultate un suicidio, inutile, dannoso e doloroso.

Se ne sono resi conto gli elettori del partito conservatore, crollato nei sondaggi e in confusione per le lotte interne senza fine. Il vantaggio di cui godono i laburisti è tuttavia considerato fluido. Sir Keir Starmer non avrà il carisma di Tony Blair, ma pare essere intenzionato ad aprire una nuova era di successo per il Labour. Gode di un 32% di consensi contro il 25% dell'avversario e premier Rishi Sunak. Con un quasi 40% di indecisi, che possono ancora pesare sulla bilancia. A due anni dalle prossime elezioni e da un probabile ritorno dei laburisti al governo quello che ci si chiede è quali altri danni nel nome della Brexit i conservatori possono fare.

La consapevolezza è che un nuovo referendum per ricongiungersi all'Unione Europea andrebbe ben oltre rimettere una stella nella bandiera.