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Brevemondo domenica 26 ottobre 2025 ore 06:30
Trump-Venezuela, la premier giapponese e Polisario

Gli Stati Uniti e la "guerra al narcotraffico" Venezuela, la prima premier donna del Giappone e quello che accade nel Sahara Occidentale
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Lo spostamento della USS Gerald Ford, la portaerei statunitense che è stata inviata nel Mar dei Caraibi per ordine del segretario alla Guerra (fu Difesa) Pete Hegseth, è soltanto l’ultimo atto della “guerra al narcotraffico” che il presidente Donald Trump muove ormai da settimane nei confronti del cartelli della droga del Venezuela. Questi ultimi sono stati presi di mira da diverse operazioni statunitensi, che vanno dai bombardamenti di imbarcazioni ritenute far parte del traffico di stupefacenti all’intervento della Cia, cui Trump ha dato incarico di effettuare missioni segrete nel Paese sudamericano. Anche se l’intento di interrompere il flusso di sostanze stupefacenti che dall’America Latina raggiunge gli Stati Uniti non pare essere il solo e unico obiettivo di Washington.
Del resto, nel mirino della retorica trumpiana, con riferimento proprio al narcotraffico, ci è finito sin da subito il presidente venezuelano Nicolás Maduro. Nelle prime settimane del nuovo mandato di Trump, con l’erede di Hugo Chávez, al potere dal 2013, sembrava delinearsi un accordo: fine dei rapporti - soprattutto energetici - tra Venezuela e Cina, intesa sullo sfruttamento delle risorse e fine dell’embargo statunitense. Ipotesi ampiamente sfumata: Trump, pare su forte pressing del suo segretario di Stato, Marco Rubio, ha scelto di spingere il piede sull’acceleratore. Dietro alle operazioni contro i cartelli della droga venezuelana, allora, ci sarebbe l’intenzione di destabilizzare il governo di Maduro, con l’obiettivo di porvi fine e dare le chiavi del Paese a Maria Corina Machado, vincitrice del Nobel per la pace. L’ambito riconoscimento che Trump avrebbe voluto per sé e che - nonostante le grida di giubilo di molti - non è finito poi troppo lontano dalla sua orbita.

Tutto questo, naturalmente, non perché a Trump stia antipatico Maduro o perché abbia una certa amicizia con la stessa Machado. Rimuovere Maduro verosimilmente ridurrebbe il traffico di droga verso gli Stati Uniti, ma soprattutto permetterebbe a Washington di ridurre l’influenza cinese (e russa) in Venezuela, a un tiro di schioppo dai confini americani. Magari, anche per mettere pressione su Xi Jinping a pochi giorni dall’incontro per parlare dei dazi. In ogni caso, non certo una novità nella politica estera statunitense: l’America Latina, sin dalla nascita degli Stati Uniti, è considerata come il giardino di casa propria. E portarsi il basto di avere i nemici alle porte - in passato l’Impero britannico in Argentina, oppure l’Unione Sovietica a Cuba - non è certo nelle corde di Washington. Già nel primo decennio del Novecento era stato il presidente Theodore Roosevelt a dettare la linea sul continente sudamericano: parlare con dolcezza, ma portarsi dietro un bastone. E Trump pare d’accordo, con un’unica eccezione: d’accordo il bastone, ma niente dolcezza. Ho i pugni nelle mani, avrebbe detto un grande attore.
Il Giappone ha la sua prima premier donna
Come per l’Italia a ottobre 2022, con la nomina di Giorgia Meloni come presidente del Consiglio, anche il Giappone, da qualche giorno, ha la sua prima premier donna della sua storia. Si tratta di Sanae Takaichi, che ha già ricoperto diversi incarichi di governo con il defunto Shinzo Abe. Takaichi ha ottenuto l’incarico grazie all’accordo raggiunto dal suo partito, il Partito Liberaldemocratico, e il Partito dell’Innovazione, che le permette di contare su una maggioranza piuttosto rassicurante.
La scalata di Takaichi ai vertici della politica giapponese è cominciata a ottobre dello scorso anno, quando è divenuta presidente del suo partito a seguito delle dimissioni di Shigeru Ishiba. Il sempre maggior peso della questione migratoria nel dibattito pubblico ha dato sempre più credito a Takaichi, che fa parte dell’ala ultraconservatrice del Partito Liberaldemocratico, con posizioni molto forti. Anche per questo, gli storici alleati centristi di Komeito hanno rotto l’intesa che andava avanti dal 1999, mentre si è appunto avvicinato il Partito dell’Innovazione, di destra, e addirittura Sanseitō, formazione di estrema destra che alle elezioni del 2022 ha ottenuto oltre 1,7 milioni di voti, si è resa disponibile a un appoggio esterno.

Inoltre, Takaichi ha anche sostenuto la necessità di mettere finalmente mano alla Costituzione giapponese, soprattutto per quanto riguarda uno dei suoi principi cardine: il pacifismo. L’intenzione sarebbe quella di dare finalmente un riconoscimento all’esercito nipponico, volendo così creare una certa deterrenza nei confronti soprattutto della Cina, e di togliere le restrizioni alle esportazioni di armi. Non solo, perché la premier ha sempre manifestato l’idea di creare una struttura di sicurezza attorno all’isola di Taiwan, per metterla al riparo dalle minacce di Pechino. Convinta che l’instabilità nel Mar Cinese Meridionale metta in pericolo gli interessi nazionali giapponesi e che gli Stati Uniti di Trump non garantiscano più un’assicurazione sulla vita, Takaichi aveva anche proposto di formare una “quasi-alleanza di sicurezza” tra Giappone, Taiwan, Australia, India e Filippine per assicurarsi reciprocamente l’integrità.
Non siamo a una svolta per il Sahara Occidentale
Il Fronte Polisario, ovvero il movimento politico e militare che si adopera per affermare l’indipendenza del Sahara Occidentale e del popolo Saharawi dal Marocco, ha comunicato di essere pronto ad accettare un piano sull’autonomia proposto proprio da Rabat. Per il Sahara Occidentale, territorio dell’Africa nord-occidentale ed ex colonia spagnola il cui status politico è conteso ormai da cinquant’anni, proprio da quando Madrid decise di abbandonare il possedimento, difficilmente questo sarà un punto di svolta.
Infatti, il Fronte Polisario ha specificato come tale piano potrebbe essere accettato solo se inserito in un referendum, che dovrebbe prevedere però tra le opzioni quella dell’indipendenza. Ovvero, un modo per ottenere la possibilità per il popolo Saharawi di autodeterminarsi, che il Marocco però avversa, forte anche del sostegno degli Stati Uniti. A Washington, infatti, sono intenzionati a porre fine alle tensioni tra Rabat e Algeri: quest’ultima, storicamente, è la principale spalla del Fronte Polisario. Per dare una svolta diplomatica, tramite l’inviato speciale di Trump per l’Africa, Massad Boulos, gli Stati Uniti hanno riaffermato la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale, da esercitare però attraverso un’autonomia speciale che tenga conto della peculiarità di quel territorio.

Una soluzione che, se pare potrebbe interessare Algeri, è stata respinta dallo stesso Fronte Polisario. Il progetto statunitense che avalla il piano marocchino sull’autonomia del Sahara Occidentale non rappresenta un’adeguata base di partenza per il processo politico che il Fronte Polisario vede sboccare verso un’unica destinazione: quella dell’indipendenza.
Il pezzo della settimana
Takaichi sarà la nuova Shinzo Abe? Difficile fare previsioni e, soprattutto, parallelismi. Ciò che è certo è che la nuova premier giapponese porterà il Paese, già tendenzialmente conservatore, ancora più a destra. Culmine di un movimento di politica interna che, per certi aspetti, richiama il Make America Great Again trumpiano. Oltre a farci scoprire che Takaichi è una fan degli Iron Maiden, dei Deep Purple e di Margaret Thatcher, il ritratto di Javier Hernández per il The New York Times ci aiuta a capire di più. Si legge qui.
La canzone della settimana
Deep Purple, Giappone: non possiamo andare che su Made in Japan e, nello specifico, su un brano storico, registrato durante un concerto a Osaka.
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