Carrà
di - domenica 11 luglio 2021 ore 07:30
E così anche Raffaella Carrà ci ha lasciato. Dopo Ennio Morricone, Franca Valeri, Carla Fracci, Franco Battiato, Milva, Raul Casadei, per limitarsi alle persone del mondo dello spettacolo italiano scomparse ultimamente. La Carrà è stata la soubrette televisiva per eccellenza dei settanta. Erano i miei anni giovanili. Ora sono quelli senili. Per quel che mi riguarda, onestamente, non è che stravedessi né per la televisione, né per lei. Forse proprio perché eravamo giovani e per i giovani di allora - o almeno per noi - non era la televisione la principale attrattiva di quegli anni usciti dalla stagione innovativa e turbolenta dei sessanta. E forse perché, un po’ presuntuosamente, ambivamo a qualcosa di più della “cultura” televisiva nazionalpopolare. Le carrambate di “Carràmba che sorpresa”, anche se sono assurte al vocabolario Treccani, non mi piacevano. Non mi interessava francamente sapere quanti fagioli c’erano nel barattolo della trasmissione di mezzogiorno “Pronto, Raffaella?”. Non appariva una grande operazione sotto un profilo intellettuale o matematico. Né mi è mai piaciuto adeguarmi al commemoratismo funebre e spesso ipocrita che tutti rivaluta e subito beatifica: come l’antipatica Cuccarini che da viva l’aveva infamata e da morta le fa un panegirico coccodrillo. Tuttavia la Raffa nazionale merita rispetto. Per la sua professione e per la sua vita. Era forse la più seria tra le persone dello spettacolo “leggero”. Dietro quella leggerezza si capiva che c’era preparazione e formazione. Brava e sinuosa ballerina, ottima cantante, buona conduttrice. Perfino il cambio del cognome ha avuto un suo perché, è stato anzi fondamentale. Da Pelloni a Carrà. Con cognomi come Pelloni, Pomponi, Giovacchini, Marconcini o Favati non si va da nessuna parte. Carrà invece, breve e accentato, suonava bene: preso in prestito da un famoso pittore, era già a regola d’arte.
La Carrà era la diva possibile, bella e formosa, ma non troppo in fondo. Senza esagerare. Soprattutto volto fotogenico, risata espansiva e immagine coerente: capelli biondi a caschetto, corti sulle spalle, belle gambe, vestiti vistosi e sexy, ma il giusto. La fidanzata d’Italia e non solo d’Italia. Con quel pizzico di anticonformismo accettabile dalle platee conformiste, puritane e benpensanti del tempo del bianco e nero televisivo che poi, addirittura dopo una disputa politica, divenne a colori. L’ombelico di fuori che fece finta di fare scandalo, lo stacco di coscia e le canzoni che inneggiavano all’amore e perfino al sesso! In questi casi aiuta il fatto che nessuno sta attento alle parole e, quando il motivo è orecchiabile, è la musica che predomina e il testo viene subissato dal ritmo. Pensate solo, saltando di palo in frasca, ma nemmeno tanto, a Gelato al cioccolato di Malgioglio, peraltro autore di testi anche della Carrà: quella che sembra una canzonetta per bambini, non a caso cantata dall’innocente Pupo, in realtà si riferiva ad una storia sex con un uomo di colore. Ecco perché “tu, gelato al cioccolato… dolce e un po’ salato”. E così la nostra Raffaella con Come è bello far l’amore da Trieste in giù che poi s’intitola Tanti auguri, rivolti per l’appunto “a chi tanti amanti ha”, testi dell’allora suo compagno Boncompagni. L’unica obiezione poteva essere solo geografica: Trieste non è così a nord. Bisognava semmai scendere da Bolzano in giù, che anche da quelle parti di sicuro ci sono osservanti e praticanti del far l’amore che avrebbero gradito. Così si sarebbero compresi tutti gli italiani. E che dire di A far l’amore comincia tu, remixata da Bob Sinclair in versione disco, che ha travalicato i confini generazionali, arrivando come un tormentone fino ai giorni nostri e divenendo il motivo di apertura del film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Comunque non sarà sfuggita la prudenza dell’abito lungo nell’incontro spregiudicato, complice ed esilarante con Benigni a “Fantastico” nel 1991”. E meno male, perché il comico toscano le chiese di vedere, anche solo un secondo, cosa c’hanno le donne “che attira così l’omo” e, fra i tanti nomignoli che elencò, la “patonza” resta memorabile. Un cult oggi irripetibile.
Uno che ha compreso e descritto la carica trasgressiva, in chiave libero amore, di canzoni come Rumore, Forte forte forte, Tuca tuca, oltre al già citato Tanti auguri,è lo scrittore Diego De Silva nel suo “Sono contrario alle emozioni” uscito nel 2011, ultimo capitolo della trilogia dell’avvocato Vincenzo Malinconico. Rimando alla lettura di “Sex & Raffa” e “La portata avanguardistica di Chissà se va”. Canzone quest’ultima che, in sostanza, ha lo stesso significato di Vita spericolata di Vasco Rossi. Lo precede di dodici anni, ma ne sterilizza il concetto. Mentre Vasco raccolse con la sua “vita piena di guai” l’etichetta di rocker maledetto, la Carrà con la vita che “non è saporita senza un po’ di guai” non ebbe lo stesso esito. “Per la sua naturale abitudine di far passare i contenuti più scomodi senza neanche bisogno di occultarli con la metafora. Per la capacità di garantire personalmente le canzoni. Finendo così per anticipare i tempi, fregandosene anche di rivendicarne il merito”. Questofa dire De Silva all’avvocato Malinconico. Malinconico di nome e di fatto.
Bello che abbiano trasmesso le canzoni di Raffaella allo stadio Wembley prima della partita Italia-Spagna degli Europei. Ognuna delle due squadre poteva invocare l’intercessione della “beata” Carrà, beata subito, venerata in entrambi i paesi. E comunque - aperta parentesi - ai rigori abbiamo vinto noi e, a questo punto, dell’Europa e del continente europeo i più forti siamo noi; domenica incontriamo la squadra di un’isola extraeuropea - in casa loro - e vedremo sportivamente come va a finire. Chiusa parentesi. Perché la Raffa non ha travalicato solo i confini del tempo, ma anche quelli nazionali: è stata in Spagna, Argentina, perfino in Inghilterra, cantando in spagnolo e in inglese. In Spagna è stata il dopo Franco: dal grigiore del regime fascista alla vivace riconquistata libertà, con la sua colorita, spensierata speranza. Ha ricevuto messaggi di cordoglio dal Presidente del Governo Spagnolo e dal Presidente della Repubblica Italiana. Pippo Baudo ha dichiarato che non c’è un erede di Raffaella Carrà: “ma per carità, viviamo in una mediocrità totale”, che, detto dal principe dei mediocri, fa sempre un certo effetto. Riflessione autocritica? Non credo. Vale più il ricordo di Renzo Arbore: “tante studiano per diventare soubrette, di Raffaella ce n’è una” che è la stessa cosa del Pippone nazionale, ma almeno Arbore era un innovatore e un creatore. Cittadina romagnola di Bellaria, romana d’adozione e buen retiro sull’Argentario, un’eterosessuale eletta icona gay dalla comunità omosessuale o come si chiama adesso. Una vita privata intensa, anche un calciatore della Juventus dei tempi di Charles e Sivori tra i suoi primi amori, eppure un’esistenza fuori dallo schermo condotta dietro lo schermo della riservatezza e senza gli scandali modaioli. Perfino la malattia e la morte hanno avuto un giusto riserbo, sorprendendo tutti. Tre giorni di esequie funebri e l’esposizione della salma in Campidoglio. Nel dolore per la vita perduta e nel rispetto dovuto alla morte, viene comunque da dire: niente male per una soubrette! Che evidentemente è stata molto di più: ha rappresentato con il suo senso dello spettacolo uno stile, un’epoca e un gusto. Un effimero indimenticabile. Riposi in pace.
A proposito di icone gay: ma come fa la destra a non capire che una legge contro l’omotransfobia non è necessariamente una cosa di sinistra? Il rispetto per ogni identità sessuale non sarebbe né di destra, né di sinistra, non appartiene né alle femministe, né alle dame di carità. E, mi perdoneranno, forse nemmeno alle comunità omosessuali o transgender, queer e tutte quelle sigle impossibili da ricordare e pronunciare. Ha semplicemente a che fare con la natura umana e con le sue diverse, rispettabili essenze. Di cosa c’è d’aver paura? Di sciupare la razza o la “maschia gioventù”? Se si vuol difendere tutto ciò dalle manifestazioni di odio e di intolleranza, queste sì disumane, non si può pensare di eludere il tema delle diverse identità di genere, limitandosi ad un generico impegno contro ogni discriminazione. Per questo c’è già l’articolo 3 della Costituzione Italiana. Le forze politiche trovino le soluzioni migliori, ma non si può procrastinare artificiosamente il decreto legge Zan, adducendo scenari grotteschi o lesivi della libertà di opinione. Vorrà dire che ci faremo dare una dispensa speciale per continuare a dire: bucaioli c’è le paste! Nemmeno si può stare con Orban, il premier ungherese che promuove una legge che va esattamente nel senso opposto: quello della messa al bando, della discriminazione omofoba, trattando questa materia alla stregua di un’aberrazione morale, tipo la pedofilia. Non si può stare con Draghi in Europa e firmare un patto con i sovranisti, perché “né pentere e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente”. Buona domenica e buona fortuna.
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