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martedì 03 dicembre 2024

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​LA PANCHINA ROSSA Requiem per il Commissario

di - martedì 30 luglio 2024 ore 08:00

Il cielo stellato sopra la testa e la legge morale dentro di me. La prima cosa era sicura, la seconda probabile: s’inciampa sempre in qualcosa. Le stelle si perdevano a vista d’occhio, andava a vederle in fondo al molo, dov’era più scuro, lasciandosi alle spalle la città. Mindelo sull’Isola di San Vincenzo, Capo Verde, dove aveva chiesto asilo pensionistico dopo una vita da poliziotto, in Italia, Toscana, Valdera, Commissariato di Pontedera. Quante stelle! Uno spolverio sulla notte, sul mare e rare luci di barche e qualche piroscafo lontano o petroliera. Aveva dimestichezza col buio, col buio più che con la vita. E pensava, ciò che amo nelle persone è lasciare agli altri la loro vita. L’aveva detto, più o meno, Cesare Pavese, lui che se l’era tolta. Lo ricordava vagamente per qualche lettura dimenticata. I ricordi sono increspature delle onde acute dei neuroni nell’ippocampo, e questa, si vede, era un’increspatura nelle onde, come quando l’Atlantico si muove e si frange sulle piccole isole che custodisce, riportando relitti e detriti alle rive.

In fondo per essere uno che lasciava agli altri la loro vita, la sua se l’era cambiata un bel po’. Il Commissario Favati, al secolo Nedo, era stato fortunato, perché ne aveva avute due. La prima per il dovere: famiglia, figlio, nipoti, responsabilità civili, perfino un gatto nero scodato e portasfiga, che non si sa che vuol dire. I gatti lo sapranno. La seconda per il piacere, a Capo Verde: esule memore, ma senza rimpianti, l’amore di Pilar, la ballerina solare, uccisa dal male, e quello di Dores, la letterata ermetica e oscura. E tutti i giorni queste isole disperse, impervie, incantate, questo cielo e questo mare insondati, sospinti dai venti Alisei. Una leggenda racconta che, dopo aver creato il mondo, Dio si ripulì della materia viva con la quale l’aveva impastato, ma aveva ancora nelle mani le briciole della creazione e queste si sparsero nell’Oceano, formando un arcipelago di dieci isole, le isole di Capo Verde. A Mindelo a volte Nedo collaborava con la polizia locale, con il Capitano Perez che gli ripeteva, senza speranza, grazie Commissario, stai lontano dai guai!

Con Dores litigavano Era un periodo che lei lo interrogava, tornando sempre sul solito punto.

⁃ Commissario, ricordi il finale di «Casa sul Mare»?

⁃ Non bene, come fa?

«Il cammino finisce a queste prode/ che rode la marea con moto alterno./ Il tuo cuore silenzioso che non mode/ salpa già forse per leterno», ecco come fa.

⁃ Ogni riferimento a fatti, persone o cuori è puramente casuale, voglio sperare; per caso mi vuoi lasciare, Dores?

⁃ Mmm, te piuttosto, Commissario, non tanto io.

⁃ Non tanto, non è del tutto rassicurante.

Ma lei tornava ancora alla carica e ribatteva sullo stesso tasto, la medesima nota.

⁃ E «Corno inglese», come finisce lo sai?

⁃ Sei te l’esperta di Montale, l’hai studiato in Italia, dimmelo te!

«Il vento che nasce e muore/ nellora che lenta sannera/ suonasse te pure stasera/ scordato strumento,/ cuore», finisce così.

⁃ Ho capito, ho capito, ma non ti sembra di esagerare, Dores?

⁃ Non hai capito un bel niente e non esagero affatto, ricordi cosa ti ha detto il professor De Andrade, all’Ospedale, dopo che ti sei sentito male?

⁃ Ma è successo perché ho rincorso quei due scippatori!

⁃ È successo perché il tuo cuore ha dei problemi seri, severi hanno detto, e ti devi far visitare da uno specialista, forse operare: il tuo cuore non funziona bene!

⁃ Ma come non funziona? Io ti amo Dores!

⁃ Non fare il cretino, che quello invece ti riesce bene, sono preoccupata per te: hai smesso di prendere i farmaci e non prendi nessuna precauzione, ti hanno visto sotto il sole alla spiaggia della Laginha, nuoti, fai tardi la notte, ti affatichi!

⁃ E che dovrei fare, vivere come un vecchio invalido: ti piacerebbe uno così, un cardiopatico?

⁃ Mi piacerebbe che tu vivessi e stare con te.

⁃ Allora Dores, andiamo da me?

⁃ No, Nedo, vado a casa dai miei, riposati cardiopatico!

Quando lo chiamava per nome, anziché per grado, non era mai buon segno. Era diventato debole di cuore, o lo era sempre stato?

In effetti questa cosa dell’attacco cardiaco l’aveva destabilizzato. Credeva di avere un cuore forte e d’improvviso si trovava catapultato in una senescenza ingravescente e invalidante: benvenuto nella «terza età», Commissario Favati! «Tertium non datur», dicevano i latini e speriamo non sia vero. Lo dicevano -e mica i latini- anche per la «terza via» ad Enrico Berlinguer, buonanima. E infatti morì presto. Di commissari che votavano comunista, PCI per essere precisi, uguali, ma diversi, quanti ce ne saranno stati in Italia? Ma lasciamo stare. Ora se ne stava lì, seduto sul muricciolo del molo, come un giovane antico, lui che nasceva anziano ed era già vecchio una decina di anni fa. Il Capitano Perez, l’amico che a volte aiutava nelle indagini, perché i gradi e le responsabilità si portano sulla pelle, non sulla divisa, gliel’aveva fatta togliere la panchina su cui abitualmente sedeva. Attirava guai e malintenzionati, già due volte avevano tentato di accopparlo. Ma catalizzava anche incontri, affetti, amori perfino: quando non da solo -e per non essere sempre più solo- ci si sedeva con Pilar, ora con Dores, ad attendere albe e tramonti. Perché bisogna distinguere un’alba da un tramonto e soprattutto sapere albeggiare e tramontare con rispetto. «Morire quanto necessario, senza eccedere./ Rinascere quanto occorre da ciò che si è salvato». Che non era un pizzino da Baci Perugina dei suoi tempi, l’aveva pescato in rete, scritto da una poetessa polacca dal nome impronunciabile. Un Nobel addirittura. Quante parole e quanti ricordi e pensieri, non sempre sprecati, nascevano lì e si rincorrevano vorticosi o approdavano quieti in un silenzio personale o condiviso! Eppure intorno il mare si muoveva e le barche, i pescatori, i turisti e i ragazzi di strada. Tutto viveva. Ogni cosa.

L’inno di Capo Verde, «Canção da Liberdade», intonato dalla banda militare, riecheggiava sul molo. La bandiera nazionale, blu come l’oceano e il cielo, con striscia longitudinale bianca e riga rossa e dieci stelle gialle in cerchio, le isole principali dell’Arcipelago, sventolava sul pennone. Il Sindaco di Mindelo loquente, il Vescovo della Diocesi benedicente, il Capitano della Polizia Perez presente, impettito in alta uniforme, e una gran folla accorsa e plaudente. E, nella folla, Dores, che teneva a braccetto il Commissario: raggiante lei, lui sorridente. S’inaugurava in pompa magna la ricollocazione della panchina sul molo, ma colorata di rosso, come monito contro la violenza sulle donne, i femminicidi. L’inaugurazione preceduta dall’apertura di una “Casa da Mulher”, su promozione dell’«Associazione Internazionale delle donne capoverdiane», del progetto "Rede Social para Igualdade das Mulheres e dos Jovens» e dal «Festival Sete Sóis Sete Luas». Era la nostra panchina, disse il Commissario. Ora è delle donne e di tutti, rispose Dores. Va bene, ma sarà sempre la nostra panchina, il Commissario pensò, ma non lo disse. Sei un cretino, ma ti voglio bene, pensò Dores, ma neanche lei lo disse. Attento Commissario! Disse invece, gridando nel brusio della folla, il Capitano Perez che li salutò militarmente e si accomiatò, seguendo il codazzo della manifestazione.

Dopo la cerimonia al rinfresco gentilmente offerto si sottrassero, alle presentazioni, ai saluti, ai convenevoli. Nessuno dei due ne aveva voglia e si avviarono sul lungo mare. Era bello camminare insieme, parlando di niente, seguendo i pensieri. Le barche variopinte tirate in secca, i ragazzi che giocavano a pallone sulla spiaggia, le donne che passavano con i loro carichi sulla testa, gli uomini seduti al bar a bere, a muovere i semi dalle ciotole di legno dell’Uril, un gioco da tavolo, a non fare niente. Questo il paesaggio che si faceva loro incontro. E sullo sfondo l’Oceano, alle spalle la montagna spoglia e in mezzo la città colorata e coloniale che aspettava la sera. Andiamo da me, chiese Nedo e Dores questa volta rispose di sì. Il Commissario aveva qualcosa in frigo, un po’ di antipasti di mare, zuppa di pesce, vino bianco e si apparecchiarono una cena frugale sul terrazzino vista mare. Il porto accese le sue luci e rimasero lì, seduti, a guardare mare e cielo e pescare qualche stella cadente per un desiderio. Poi rassettarono il tavolino e si ritirarono in casa. Le finestre lasciate aperte creavano riscontro. Sei sicuro, chiese Dores, come va il cuore? Ora benissimo, rispose, e si coricarono e stettero insieme.

Qualche sera dopo, Dores era dai suoi, il Commissario tornò alla “sua” panchina, passeggiando come di solito faceva, le mani tenendole dietro la schiena. Da lontano vide che c’erano intorno alcuni ragazzi: si divertivano a tirare sassi al lampione che infatti centrarono, mettendo al buio la zona. Avvicinandosi vide che erano in tre, intorno ad una ragazzina che stavano pesantemente importunando, nonostante il significato della panchina rossa o forse proprio come gesto di sfida, di spregio. Lei cercava di divincolarsi, ma era stata immobilizzata. Si lamentava, piangeva, li implorava di smettere.

⁃ Che succede? Lasciate stare la ragazza!

⁃ Che vuoi, vecchio? Fatti i cazzi tuoi!

⁃ Italiani?!

⁃ Vattene a letto, vecchio, è un’amica…

⁃ Não sou vossa amiga, deixe-me, lasciatemi!

Il Commissario avanzò verso di loro. Il più aggressivo dei tre gli si parò davanti, baldanzoso, minaccioso. Il calcio nei coglioni gli arrivò cattivo, improvviso e inaspettato. Il ragazzo rimase a terra accucciato e dolorante. Un secondo arrivò in suo soccorso, ma si beccò una tremenda testata nel naso che si spezzò sanguinando: restò piegato e piagnucolante, tenendosi le mani sul viso. Niente male per un vecchio! Il terzo era interdetto, lanciava offese all’indirizzo del Commissario che mise una mano in tasca. Bastardo! Ha una pistola! Gridò. Era un cellulare con cui fece il gesto di chiamare. I tre si ripresero e scapparono, gridando che sarebbero tornati in forze, che non era finita lì. Ma il Commissario non li sentiva più, sentì mancare il respiro e una fitta tremenda nel petto. Il cellulare gli cadde a terra. Si accasciò spossato sulla panchina, accanto alla ragazzina. Aveva l’affanno e la voce ridotta a un filo.

⁃ Come ti chiami? Qual o seu nome? Quantos anos tem?

⁃ Mariana, dezasete…

⁃ Mariana, vá à policia! Desculpe, não falo bem português.

⁃ Io parlo un poco italiano. Não vou alla polizia, mi vergogno.

⁃ Di che ti devi vergognare? Loro devono vergognarsi…

⁃ Ho paura, non so…

⁃ Va bene, allora, io sono Nedo, te ricorda questo nome: Dores Carneiro Do Nascimento. Sai dov’è l’Hotel Colonial?

⁃ Sì, nel bairro residencial, zona Alto Miramar. Ma sono i tipos ricos, quei ricconi dell’albergo?

⁃ Parla con Dores, spiegale tutto, ci penserà lei.

⁃ Ma, como está, come si sente, senhor?

⁃ Sto bene, non ti preoccupare; vai, quei delinquenti potrebbero tornare!

Il Commissario era piegato sulla panchina, il cuore ormai fuori controllo e il fiato sempre più corto. Mancava, premeva nel petto. Si sentì morire e sentiva che era così: alla fine. Il cuore ti frega, è traditore. Gli passò davanti la vita, gli parve lunga per un racconto breve e pensò al suo creatore che sembrò rispondergli: «Addio amigo e niente arrivederci. Arrivederci te l’ho detto tempo fa, quando significava qualcosa. Quando eri soltanto ferito. I migliori addii sono sempre i più brevi, ma questo è stato un addio lungo, triste, solitario e finale. Forse sarebbe piaciuto a Chandler o Soriano, ma non piacerà a te. Lo so. Meritavi un nome e un autore migliori. Miglior fortuna. Ma è tempo di chiudere, siamo stanchi, vecchi e sofferenti tutti e due e non così amanti della vita». Allora il Commissario pensò ai suoi affetti, a Pilar, morta così male, e a Dores che invece lasciava in vita e ne era contento. Non avrebbe più rivisto lei e nessuno. Nessuno, tranne gli «sbirri». Prima che il cuore si fermasse, li sentì arrivare da lontano, a sirene spiegate. «Non è ancora stato inventato un modo per dire addio a loro». Rise. Ma non c’era già più. Non c’era più tempo.

Marco Celati

Pontedera, Luglio 2024

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La poetessa polacca dal nome impronunciabile è Wislawa Szymborska, Premio Nobel per la Letteratura 1996. Devo il finale a Raymond Chandler, «Il lungo addio» e ad Osvaldo Soriano, «Triste, solitario y final». Ringrazio, per la consulenza e la traduzione del creolo-portoghese, Marco Abbondanza, Direttore del «Festival Sete Sóis Sete Luas», che fa giungere, mio tramite, le più vive condoglianze per la grave, luttuosa scomparsa. Obrigado. R.I.P. Commissario Favati.