Una performance
di - venerdì 08 novembre 2024 ore 08:00
Anti-futurista: contro la macchina, per il chiaro di luna.
Un diaframma divide lo spazio dalla vita reale: è lo schermo di una macchina (televisore, monitor del pc, telefono). Al di là dello schermo c’è un mondo impenetrabile, si guarda senza mai poterne far parte, esclusi per sempre. Il prototipo è la tivvù che nega la partecipazione per propria natura. Di là i sacerdoti, di qua i fedeli. Altarino casalingo intorno a cui la famiglia si riunisce come una volta intorno al fuoco.
I personaggi televisivi creano il mito di se stessi, divinità che appaiono, si manifestano con l’aura del sacro, la loro vita appartiene al mito. Chi li guarda può adorarli o sbeffeggiarli o credere di essere indifferente ma l’inconscio la pensa diversamente: sono entità immateriali, amiche o nemiche ma pur sempre superiori, spiritualizzate ierofanie.
L’illusione di far parte degli dèi è appunto un’illusione, un desiderio destinato al fallimento. Se anche un giorno fosse possibile un’apparizione più o meno importante nella cerchia degli eletti resterebbe il divario tra mortalità e immortalità, tra sacro e profano perché è sempre un confine invalicabile quello tra il mito e la realtà, tra lo schermo e chi guarda. Anche il personaggio famoso è succube quando sta nel ruolo di spettatore. Non entreremo mai nell’eternità. Nulla è avvenuto in illo tempore. La tivvù è l’eterno presente del niente.
Stravaccati sul divano usiamo la macchina nella convinzione di esserne padroni mentre invece siamo usati ed è come stare in ginocchio sul granturco.
La rivolta non può essere spegnere lo strumento, l’atto supremo di rivolta è ciò che un uomo in odore di pazzia fece. Era conosciuto col soprannome che indicava il paese di origine. Era uno straniero. Perciò estraneo al rispetto del carnefice. In un raptus d’istinto e follia, prese il televisore e lo scaraventò dalla finestra. Compì con un gesto estremo di apparente violenza ma pacifico, senza danni al prossimo, anzi senza esserne cosciente, con spirito d’amore e fratellanza, l’atto simbolico che solo un eroe venuto da fuori, incorrotto, poteva compiere, un gesto primitivo e spontaneo, di rigore assoluto. Il fatto potrebbe ispirare un’azione artistica: la fucilazione dell’apparecchio.
L’esecuzione della sentenza, in attesa di un uso diverso della macchina (da parte nostra e di chi ne stabilisce i programmi), offrirebbe una temporanea e comunque simbolica liberazione, per un’unione, sia pur momentanea, al sacro della terra, dell’acqua, dell’aria con la pura energia trasformatrice del fuoco.