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India, crolla un ponte. 20 turisti trascinati via dalle acque del fiume

Brevemondo domenica 27 aprile 2025 ore 06:30

Dopo Francesco, Trump-Zelensky in Vaticano e Kashmir

La Chiesa cattolica dopo Bergoglio, Trump e Zelensky a San Pietro, bombe su Kiev, il Kashmir in ebollizione e il disimpegno di Elon Musk dal Doge



Il futuro della Chiesa dopo Francesco

Il pontefice è scomparso lunedì e, ieri, si è celebrato il suo funerale di fronte a 200mila persone. E, nonostante non sia trascorsa neppure una settimana dalla morte di Francesco, le elucubrazioni su chi potrebbe esserne il successore sono già molte. Si è riscoprto anche un grande interesse per le quote di singoli cardinali, secondo diversi bookmaker stranieri. Una morbosità che, da un lato, appare comprensibile in quanto la carica di papa è spiccatamente unipersonale, in quanto ultimo, vero “monarca assoluto” e, per questo, ci si aggrappa alle singole personalità, arrivando anche a valutarne biografia, sensibilità e opinioni; da un lato, però, oltre a essere un esercizio forse inutile, si rischia di perdere di vista lo sfondo su cui lo stesso pontefice si muove.

Sicuramente più di molti altri leader, il papa è una figura che può essere analizzata come singolo, disponendo infatti di grandi margini di manovra e non dovendo rispondere a una vera e propria comunità. I fedeli cattolici nel mondo sono oltre un miliardo, ma sono sparsi appunto il tutto pianeta, rendendo difficile l’identificazione di un’unica collettività. Allo stesso tempo, è proprio questa configurazione poliedrica che ha dato forma al pontificato di papa Francesco, consapevole di queste sfaccettature e del divario che si sta acuendo tra la Chiesa e le realtà di vita dei popoli. Per questo, il magistero di Bergoglio si è incentrato sul concetto di “Chiesa in uscita”: la spinta evangelizzatrice si è rivolta nuovamente con decisione all’esterno, fuori dall'emisfero occidentale.

Il funerale di Francesco [Account X]

Una prospettiva che da un lato ha senz’altro rafforzato l’immagine della Chiesa cattolica nel mondo, ma dall’altro ha approfondito la frattura tra papato e Curia, ovvero l’apparato amministrativo e di governo della Santa Sede. Uno strappo che si era già manifestato in modo piuttosto plateale con le dimissioni di Benedetto XVI e che si è riproposto durante il pontificato di Francesco. Ed è seguendo questa linea di faglia che occorrerà osservare il prossimo conclave: la scelta, spesso ridotta a rigoristi contro progressisti, sarà anche sulla volontà o meno di tentare una ricucitura tra la “base” e il “vertice” dello Stato vaticano.

Donald Trump a Roma, non solo per il funerale di Francesco

Dopo il post su Truth in cui annunciava in modo inusualmente entusiastico la sua partecipazion alle esequie di papa Francesco, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si è effettivamente recato a Roma insieme alla first lady Melania. Con Bergoglio le incomprensioni sono state molteplici, tanto nel primo mandato quanto nel secondo, in particolare sulle politiche migratorie adottate da Trump, ma anche perché il pontefice argentino ha a più riprese criticato il modello economico e sociale degli Stati Uniti, venendo spesso e volentieri contraccambiato in antipatia dalla Conferenza episcopale dei vescovi americani.

Già nelle ore successive all’annuncio di Trump, si era capito come avrebbe sfruttato l’occasione per parlare anche con altri capi di Stato, in particolare quelli europei - com’è accaduto, infatti, con Macron e il premier britannico Keir Starmer - e Volodymyr Zelensky. Con quest’ultimo, infatti, Trump si era lasciato malissimo dopo la lite in mondovisione di fine febbraio, nello studio ovale della Casa Bianca. Un dietro le quinte che, immaginiamo, è accaduto di sovente anche con altri presidenti e con altri leader esteri, ma che il tycoon newyorchese, insieme al suo vice J.D. Vance, ha tenuto a mostrare a tutti quanti.

Zelensky e Trump nella Basilica di San Pietro [Account X]

Anche in questa stessa settimana, Trump aveva puntato il dito contro Zelensky, colpevole a suo modo di vedere di complicare ulteriormente il processo negoziale, schierandosi in modo risoluto sulla Crimea, che ha rivendicato come territorio ucraino, e ritardando la firma sull’accordo per lo sfruttamento delle terre rare. A ogni modo, i due si sono incontrati poco prima delle esequie di Francesco, nella Basilica di San Pietro, protagonisti di un’altra immagine storica dopo quella, assai più incendiaria, scattata a Washington. E anche i commenti, dopo l’incontro, sono stati molto più rassicuranti: mentre Zelensky ha definito quei quindici minuti di confronto come “un incontro molto simbolico” e “potenzialmente storico”, il portavoce della Casa Bianca Stephen Cheung ha detto che si è trattato di “una discussione molto produttiva”.

Kiev sotto le bombe della Russia

La capitale dell’Ucraina, nella notte tra il 23 e il 24 aprile, è stata bombardata da droni e missili russi. L’attacco ha causato la morte di almeno dieci persone e il ferimento di una sessantina. Si tratta di una delle offensive più pesante degli ultimi tempi contro Kiev e sferrata durante l’ennesimo momento di stallo nel percorso che, nelle intenzioni di Stati Uniti e Russia, dovrebbe condurre alla fine del conflitto.

Poco prima dell’attacco, come detto, Trump aveva accusato il presidente ucraino Zelensky di rallentare il processo diplomatico; l’incontro a San Pietro in occasione del funerale del pontefice, però, sembrerebbe essere un nuovo punto di svolta. Del resto, l’amministrazione statunitense aveva presentato a Kiev un piano per il cessate il fuoco nel quale era previsto il riconoscimento da parte di Washington della sovranità russa sulla Crimea. A tale progetto lo stesso Zelensky ha contrapposto il suo piano per la fine delle ostilità, che è stato presentato sommariamente proprio durante il suggestivo confronto nel cuore della Città del Vaticano.

Fatto sta che, almeno per il momento, un vero e proprio piano per il cessate il fuoco non esiste e così la Russia può continuare con gli attacchi. Tanto che lo stesso Trump si è espresso in modo duro al riguardo, domandandosi se il presidente russo Vladimir Putin lo stesse prendendo in giro. Nel frattempo, lo stesso numero uno del Cremlino ha annunciato che l’esercito di Mosca è riuscito a liberare interamente la regione del Kursk, al confine con l’Ucraina: le forze armate di Kiev, ad agosto dello scorso anno, erano riuscite a penetrare in territorio russo, in modo da avere un vantaggio negoziale. Stando a Putin, però, il Kursk è adesso tornato sotto il pieno controllo della Russia.

India, Pakistan e il Kashmir infuocato

In una zona del Kashmir amministrata dall’India, nello specifico a Baisaran, nelle vicinanze della città di Pahalgam, alcuni uomini hanno aperto il fuoco contro dei turisti, uccidendone una ventina. La regione è al centro di un confronto politico e anche militare proprio tra India e Pakistan, in quanto entrambi gli Stati rivendicano la sovranità sull’intero territorio, attualmente diviso tra il nord-ovest sotto controllo di Islamabad e il sud-est governato da Nuova Delhi.

Questa situazione si protrae sin dalla fine del dominio britannico nel subcontinente indiano nel 1947, che ha innescato il conflitto tra la popolazione musulmana e quella hindu. Del resto, la regione è stata storicamente sottoposta al controllo del maharaja, ovvero il sovrano indiano; contestualmente, però, la valle del Kashmir è popolata prevalentemente da fedeli islamici. Ufficialmente, oltre ai singoli atti di violenza che si sono verificati durante i decenni, India e Pakistan si sono affrontati militarmente in tre occasioni. Il quadro è reso poi ancor più intricato dalla presenza, a nord, della Cina, stretta alleata del Pakistan e che rivendica e amministra il territorio dell’Aksai Chin.

Tornando all’attualità, a seguito dell’attacco dei giorni scorsi, il governo indiano ha accusato il Pakistan di essere indirettamente colpevole di quanto accaduto. Per questo, ha annunciato la sospensione della propria partecipazione a un accordo degli anni Sessanta sulla gestione del flusso dei fiumi, con un enorme impatto sul sistema d’irrigazione del Pakistan. E ancora, Nuova Delhi ha declassato le relazioni diplomatiche e imposto a tutti i cittadini pakistani presenti in India di lasciare il Paese. In tutta risposta, Islamabad ha annunciato di aver chiuso lo spazio aereo all’India e di aver invitato il Paese a ridurre il proprio personale diplomatico nell’ambasciata in Pakistan. Mosse che hanno anticipato uno vero e proprio scambio di fuoco tra militari pakistani e indiani lungo il onfine, apparentemente senza vittime.

Elon Musk torna a fare l’imprenditore

Il lavoro a Washington di Elon Musk, come membro a tutti gli effetti della seconda amministrazione guidata da Donald Trump, “è quasi finito”. Lo ha detto lo stesso imprenditore di origini sudafricane, che ha specificato anche come il suo impegno nel Doge, ovvero il Department of Government Efficiency, si limiterà in futuro ad appena uno o due giorni alla settimana. Anche se sembra assai più probabile che il suo incarico sia definitivamente concluso.

Anche in questo caso, come per i dazi, quanto scritto e immaginato sull’impegno di Musk al fianco di Trump ha superato di gran lunga la realtà. Mentre c’era anche chi ipotizzava che, alla fine, sarebbe stato proprio lui il vero presidente, rendendo Trump una sorta di burattino, gli azionisti di Tesla spingevano affinché il fondatore dell’azienda tornasse a occuparsene, visti i risultati ben poco lusinghieri del primo trimestre del 2025. Proprio per questo, Musk ha deciso di tornare a fare il proprio mestiere, come tra l’altro lo stesso Trump aveva già anticipato nelle settimane scorse. Anche perché, pare che il proprietario di Tesla fosse in rotta di collisione con altri membri del governo.

Elon Musk e Trump nello studio ovale [Account X]

Dunque, il disimpegno di Musk è dovuto soprattutto alla necessità di correre ai ripari. Ma, allo stesso tempo, segna anche un punto a favore degli apparti statunitensi, quelli contro cui Trump, sin dal 2016, si è scagliato con forza. Sono questi i veri argini all’azione del presidente degli Stati Uniti e contro di loro Trump ha scagliato proprio Musk, con l’intento di ridurli al minimo attraverso tagli mastodontici. Il famoso Deep State, insomma, quello “Stato profondo” composto da veri e propri centri di potere come Pentagono, Fbi e Cia che sopravvivono al succedersi di ogni presidente, creandosi dei margini di manovra non indifferenti.

Il pezzo della settimana

Per non assuefarsi alla narrazione incentrata soltanto sul toto nomi dei prossimi giorni, che sarà martellante, può essere utile concentrarsi sul lascito di papa Francesco e ragionare dei suoi eventuali successori su tali basi. Per questo, è molto utile un articolo di Massimo Faggioli, docente universitario a Filadelfia, che conosce benissimo il cattolicesimo - soprattutto quello statunitense - e la storia della Chiesa. Secondo Faggioli, sono soprattutto tre gli elementi: la riforma della Curia, la globalizzazione del cattolicesimo e l’estensione dottrinaria del pontefice, che ha saputo ricomprende in sé diversi elementi, a volte contrastanti. Si legge, in inglese, qui.

La canzone della settimana

Chi scrive non lo conosce particolarmente, ma si dice che fosse uno dei musicisti preferiti di papa Francesco: Bergoglio adorava Juan d’Arienzo e la sua orchestra. Chiamato El Rey del Compás, “re del ritmo”, d’Arienzo aveva origini italiane, come Francesco. E per una domenica, chiudiamo con il tango.


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