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Sport mercoledì 03 giugno 2020 ore 06:55

​Sport femminile, la crescita della tendenza

Per sua insita caratteristica, ogni stereotipo condivide lo stesso destino: il passare del tempo mette in luce la sua generalità e, inevitabilmente, finisce per essere abbandonato. 



TOSCANA — Fra donne al volante e carabinieri ingenui, la maggior parte delle volte uno stereotipo si limita a essere una sciocchezza che non condiziona in alcun modo la realtà; eppure, ce ne sono alcuni particolarmente difficili da superare. Uno fra questi sembrerebbe proprio essere quello che divide gli sport in maschili e femminili, come se ci fossero attività sportive più indicate per l’uno o l’altro sesso. In particolare sembra spesso difficile da accettare, con tutte le conseguenze pratiche che comporta, che ci siano donne capaci di eccellere in sport tradizionalmente considerati da uomini.

Pur essendo vero che lo sport al femminile si evidenzia, ormai da qualche anno, per una crescita tendenzialmente costante, non va dimenticato che l’ingresso delle donne nelle maggiori competizioni sportive è molto recente: giusto a titolo di esempio, la maratona femminile venne introdotta stabilmente alle Olimpiadi soltanto nell’edizione del 1984. Questa circostanza aiuta a capire come sia possibile che, ancora oggi, una donna che pratichi uno sport tradizionalmente visto come maschile venga percepita come mascolina. Il mondo del calcio fornisce un esempio perfetto di questa tendenza. Il calcio declinato al femminile non è certo una novità: associazioni femminili e rappresentanze femminili dei maggiori club esistono da diversi anni e partecipano a un campionato identico a quello maschile, organizzato dalla FIGC dal 1986 e diviso in serie A, B, C e D. Eppure, la copertura mediatica che ha il campionato femminile non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella del suo omonimo maschile. Inoltre, ancora oggi le atlete femminili non sono considerate atlete professioniste, anche se negli ultimi mesi si sono fatti i primi concreti passi nella direzione della conversione al professionismo del calcio femminile, complice sicuramente l’ultima edizione del Campionato Mondiale di Calcio Femminile FIFA, tenutosi in Francia la scorsa estate. Il torneo è stato vinto dalla rappresentanza statunitense e durante l’evento si sono messe in mostra alcune fra le calciatrici più attese della competizione, che è stata seguita da un numero di appassionati particolarmente rilevante. La rappresentanza italiana è stata autrice di un’ottima prova, arrendendosi ai quarti di finale contro i Paesi Bassi poi finalisti. Per la prima volta, un torneo di calcio femminile ha ottenuto una copertura mediatica importante, e la risposta è stata incoraggiante: Italia – Brasile, trasmessa il 18 giugno scorso, ha ottenuto sei milioni e mezzo di spettatori, con uno share del 29.3%. In quel momento, si trattava di una competizione di atlete dilettanti; ma, probabilmente anche grazie a quel momento, si è deciso di portare avanti con convinzione il processo di professionalizzazione del calcio femminile.

Al di fuori del mondo del calcio, sono molteplici gli sport che non sono generalmente considerati “adatti” alle donne: le arti marziali miste (MMA), con la loro spiccata fisicità, sono un ottimo esempio. A dispetto dell’immagine tradizionale del lottatore, nella Ultimate Fighting Championship, fra il 2012 e il 2107 è stata proprio una donna a mettersi in luce: Ronda Rousey. Diventata la prima lottatrice femminile nella federazione, ne è diventata anche la prima campionessa di categoria, nello specifico dei pesi gallo. Considerando che nel 2008 è stata la prima atleta americana a ottenere un bronzo nel judo, alle Olimpiadi di Pechino, e che dopo l’esperienza nelle arti marziali miste si è dedicata al wrestling, dove attualmente è sotto contatto con la World Wrestling Entertainment, diventa veramente difficile sostenere che gli sport di combattimento siano sport maschili.

Un altro ambiente tipicamente maschile è quello legato al mondo dei motori e alla sua massima competizione velocistica, la Formula Uno. Se nel corso della storia della competizione ci sono state alcune occasioni nelle quali delle donne hanno gareggiato, e in una di queste anche ottenuto un piazzamento a punti, rimane vero che ancora oggi la vista di una donna su una monoposto è per i più una stranezza. In tempi recenti si sono segnalate Susie Wolff, test driver per Williams, e Tatiana Calderon, attuale collaudatrice per l’Alfa Romeo Racing. Lentamente sembra che anche il motorsport possa cominciare a includere le donne, soprattutto grazie ad alcune fondazioni come Dare To Be Different, pensata dalla stessa Wolff al termine dell’attività al volante; eppure, la strada è senz’altro ancora lunga.

È senz’altro vero che, in termini biologici, esistano delle peculiarità in grado di determinare differenze fra i risultati di uomo e donna; ciononostante, è altrettanto vero che ad oggi non ha più senso concepire gli sport in maniera distinta a seconda del sesso di chi li pratica.


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