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Attualità mercoledì 08 aprile 2015 ore 19:14

Prato, legalità e integrazione per lo sviluppo

Imprenditori e Regione a confronto in un convegno sulla legalità organizzato dalla Cna. I cinesi a Prato rappresentano il 9 per cento della popolazione



PRATO — La via dell'integrazione, sociale ed economica, è una necessità: l'unica capace di portare vantaggi a tutti, alla comunità cinese e al resto dell'economia pratese. L'unica strada per lo sviluppo del distretto industriale. Perchè il contributo al Pil del distretto è molto superiore a quello demografico.

E' la tesi che emerge dall'ultimo rapporto Irpet sulle imprese e la comunità cinese a Prato presentato alla fine di marzo e riproposto nel corso del convegno della Cna a cui ha partecipato anche il presidente della Regione Enrico Rossi.

"Se Prato vuole avere un futuro economico - ha dichiarato Rossi - deve per forza confrontarsi con la realktà dell'immigrazione in modo positivo. In fondo la modernità di Prato sta proprio nella sua globalità. E l'illegalità è come una medaglia con una faccia con gli occhi a mandorla e l'altra che parla italiano".

Secondo lo studio dell'Irpet, i cinesi a Prato sono il 9 per cento di tutta la popolazione, anche se i residenti 'veri' potrebbero essere 40-45 mila contro i soli 17mila iscritti all'anagrafe. Consumano (e spendono) per 172 milioni di euro, che è il 5 per cento del totale (e dunque la metà del loro peso demografico). Ma la comunità cinese contribuisce per l'11 per cento al Pil provinciale, 705 milioni, e gli investimenti valgono l'8 per cento, ovvero 125 milioni. Le esportazioni incidono per il 33 per cento. Cifre non trascurabili.

L'Irpet l'anno scorso aveva quantificato in due miliardi l'anno la produzione del distretto 'cinese', con oltre cinquemila imprese presenti sul territorio.

Se non vi fosse la comunità cinese, spiega ora l'Irpet, il Pil della provincia di Prato sarebbe più basso del 22 per cento, considerando effetti diretti, indiretti e indotti. Il valore aggiunto delle imprese non cinesi si ridurrebbe del 9 per cento, mentre le importazioni regionali ed estere si ridurrebbero del 36 e 39 per cento.


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