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Brevemondo domenica 18 maggio 2025 ore 06:30

Trump, Ucraina-Russia, Cina, Europa e Polonia

Trump freddo su Israele, tra Ucraina e Russia nessun passo avanti, un accordo sui dazi, l'Italia non è volenterosa e le elezioni polacche



Trump in Medio Oriente (non in Israele)

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha effettuato un viaggio di quattro giorni tra Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. L’obiettivo principale è stato quello di concludere una serie di accordi commerciali, dunque questioni che, apparentemente, interessano poco o nulla il resto del pianeta o le grandi dinamiche del Medio Oriente, a cominciare dalla guerra israelo-palestinese. Eppure, la visita di Trump è andata ben oltre il mero aspetto economico.

Innanzitutto, è stato banalmente fatto notare come il viaggio di Trump non abbia interessato Israele. Dall’elezione di novembre scorso a oggi, i rapporti tra il presidente statunitense e il primo ministro Benjamin Netanyahu sono stati ottimi, tanto che quest’ultimo ha definito Trump “il più grande amico di sempre” del proprio Paese. Ciò che sembra aver raffreddato questa grandissima amicizia è la indefessa volontà di Netanyahu stesso di proseguire con i bombardamenti e gli attacchi nella Striscia di Gaza. Ciò rende impraticabile il progetto trumpiano di normalizzare i rapporti tra Israele e i Paesi arabi, che egli stesso porta avanti già dal primo mandato con la formula degli Accordi di Abramo. Inoltre, le operazioni militari nella Striscia smentiscono di fatto il ruolo di “pacificatore” che Trump si era dato, sminuendone l’effettiva capacità di chiudere il conflitto.

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump con il principe ereditario dell’Arabia Saudita Mohammed bin Salman [X Account]

A tutto ciò si aggiungono due riferimenti fatti da Trump durante il suo viaggio nel Golfo. Innanzitutto, l’ennesima apertura verso l’Iran, con cui il presidente statunitense ha intenzione di chiudere un accordo sul nucleare. Non solo, perché Trump ha aveva anche annunciato una tregua con gli houthi, la formazione militare sostenuta da Teheran in Yemen e che a lungo ha rappresentato una minaccia soprattutto per il traffico commerciale che passa dal canale di Suez. Dopodiché, Trump ha anche spiegato come gli Stati Uniti hanno intenzione di rimuovere le sanzioni contro la Siria e incontrato Ahmed al-Shara, che ha guidato la campagna contro Bashar al-Asad. Anche in questo caso, l’obiettivo per Trump è quello di spingere il governo siriano a raggiungere un accordo con Israele per normalizzare i rapporti.

Nessun confronto tra Zelensky e Putin

Alla fine, nonostante l’annuncio del presidente ucraino Volodymyr Zelensky su un possibile incontro con il presidente russo Vladimir Putin a Istanbul, in Turchia, non si è tenuto alcun incontro tra i due. L’ipotesi non era stata avanzata solamente da Zelensky, ma anche dallo stesso Putin, che per la prima volta dal 2022 si era dichiarato disponibile a incontrare il suo omologo ucraino.

Zelensky, a differenza di Putin, si è effettivamente recato in Turchia, ma nella capitale Ankara. Qui, una volta preso atto che non ci sarebbe stato alcun confronto con Putin, si è detto deluso della scelta di Mosca e ha lasciato che a rappresentare l’Ucraina ci fosse una delegazione composta da membri del suo governo, come i ministri della Difesa e degli Affari esteri. Ciò perché, anche da parte della Russia, al posto di Putin si è presentata una delegazione di funzionari di seconda fascia. Tanto che Zelensky li ha definiti “semplici oggetti di scena”.

In ogni caso, il confronto tra le due delegazioni c’è stato. L’unico punto su cui si è registrata una certa convergenza è stato quello relativo al più grande scambio di prigionieri di guerra tra i due Paesi, ovvero mille da una parte e mille dall’altra. Per il resto, le condizioni per proseguire nella trattativa non sembrano esserci: Kiev propone l’immediato cessate il fuoco, per poi procedere a un ulteriore approfondimento del dialogo; Mosca, al contrario, non ha mai acconsentito, ribadendo anzi come il confronto a Istanbul sia una sorta di prosecuzione delle trattative che si tennero nel 2022 e che si arenarono in poco tempo. Anche per questo, Trump e il segretario di Stato Marco Rubio hanno manifestato tutte le proprie perplessità e annunciato come il negoziato si sbloccherà soltanto dopo l’incontro tra Putin e il presidente statunitense.

La pace commerciale tra Stati Uniti e Cina

Dopo l’annuncio sui dazi da applicare al resto del mondo, con tanto di retromarcia qualche giorno più tardi, Trump ha ottenuto ciò che voleva veramente. Ovvero, dare inizio a un lungo processo negoziale con la Cina per arrivare a siglare un accordo commerciale. Del resto, i dazi contro i Paesi europei e gli altri alleati, seppur interpretati come la fine del mondo dalle nostre parti, erano soltanto accessori all’unico, vero obiettivo di Trump: ridurre il surplus commerciale di Pechino.

Quando Trump ha disposto la sospensione di 90 giorni per i dazi, ha infatti specificato come quelli contro la Cina non solo sarebbero rimasti, ma sarebbero stati addirittura aumentati per arrivare sino al 145%. Ciò non ha fatto altro che scatenare una guerra commerciale, con le ritorsioni da parte di Pechino sull’export statunitense in Cina. Le cose sono rimaste tali per poche settimane, ma le avvisaglie erano già piuttosto chiare: pochi giorni dopo l’incremento dei dazi sui prodotti cinesi, per esempio, Trump aveva annunciato come dovessero essere esentati da tale regime tariffario le importazioni di smartphone, computer, semiconduttori e altri prodotti di elettronica.

Le delegazioni di Stati Uniti e Cina a Ginevra, dove si sono svolti i negoziati per l’accordo commerciale sui dazi [X Account]

L’accordo, nel concreto, porta a una riduzione dal 145% al 30% delle tariffe statunitensi sui prodotti importati da Pechino, mentre quelli statunitensi che si dirigono in Cina saranno tassati soltanto del 10%. Per gli Stati Uniti è appunto il primo passo di un progetto che mette dalla stessa parte, in modo del tutto inedito, Trump e apparati federali, spesso tra loro in contrasto. Drenare il surplus commerciale che la Cina ha nei confronti degli Stati Uniti significa ridurre le risorse che il governo di Xi Jinping dirotta sulla spesa militare, sull’innovazione tecnologica e sul trasferimento di ricchezza dalle coste all’entroterra, storicamente più povero.

I volenterosi senza l’Italia

Il nostro Paese non ha partecipato alla riunione dei cosiddetti “volenterosi”, ovvero quegli Stati che, dall’inaugurazione di Trump come nuovo presidente degli Stati Uniti, hanno deciso di adottare una linea comune per quanto riguarda l’Ucraina, proponendosi anche come garanti della sicurezza di Kiev in vista di un accordo di pace. L’ultimo vertice di questi Paesi volenterosi si è tenuto a Tirana, in Albania, senza che l’Italia ne facesse parte perché, come spiegato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il nostro Paese non ha intenzione di inviare le truppe in Ucraina.

Mentre Stati Uniti, Russia e Ucraina dovrebbero decidere sull’assetto di quest’ultima per porre fine all’aggressione da parte di Mosca, i Paesi “volenterosi” - ovvero Francia, Germania, Regno Unito e Polonia - si sono proposti ormai da settimane come “forza di rassicurazione” per garantire che i termini degli accordi vengano rispettati. Ciò, comunque, dovrebbe avvenire con il beneplacito di Washington, che dovrebbe garantire a sua volta alle truppe di questi Paesi di essere una copertura antiaerea. Per questo, contestualmente alla riunione di Tirana, i Paesi “volenterosi” hanno avuto anche un contatto telefonico con Trump.

Naturalmente, il fatto che l’Italia non abbia preso parte a questa riunione ha creato molto dibattito nel nostro Paese, spesso ridotto nei termini della politica interna. Oltre alle opposizioni, che hanno contestato questa mancanza, Meloni ha anche dovuto affrontare anche la polemica con il presidente francese Emmanuel Macron, che al contrario è il principale promotore della linea dei volenterosi, insieme a Keir Starmer, primo ministro britannico. Macron ha infatti bollato come “fake news” quanto riportato da Meloni, ovvero che la riunione fosse incentrata sull’invio di truppe. Al contempo, alcuni degli esponenti più moderati e filoeuropei del governo, come Antonio Tajani e Guido Crosetto, hanno cercato di trovare una mediazione tra Parigi e Roma.

Le elezioni in Polonia

Nella giornata di oggi si terrà il primo turno del voto presidenziale in Polonia. Nel Paese vige una repubblica parlamentare, ma l’elezione del presidente della Repubblica, a differenza del caso italiano, avviene a suffragio universale, dunque direttamente da parte dei cittadini e non del parlamento. Inoltre, nel caso polacco, il presidente della Repubblica ha poteri non irrilevanti nell’ambito della politica estera.

Gli sfidanti sono undici, ma soltanto tre di questi sembrano poter competere per accedere al secondo turno. Si tratta di Rafał Trzaskowski, sindaco di Piattaforma Civica di Varsavia che ha posizioni molto vicine al presidente del Consiglio Donald Tusk; Karol Nawrocki, candidato con il partito Diritto e Giustizia che, per anni, è stato il primo partito polacco e che ha posizioni nazionaliste e populiste; e, infine, Sławomir Mentzen, che sta cercando il sorpasso a destra dello stesso Diritto e Giustizia con posizioni radicali su gran parte dei temi.

Rafał Trzaskowski durante la campagna elettorale [X Account]

Le elezioni, verosimilmente, porteranno al ballottaggio Trzaskowski e Nawrocki, proiettando così la lotta politica tra europeisti di Piattaforma Civica ed euroscettici di Diritto e Giustizia anche per la presidenza della Repubblica. Del resto, attualmente, il governo di Tusk convive con Andrej Duda, capo dello Stato dal 2015 ed esponente di punta di Diritto e Giustizia. Un allineamento tra Tusk primo ministro e Trzaskowski come presidente della Repubblica schiererebbe Varsavia stabilmente tra i Paesi europeisti, mentre l’eventuale elezione di Nawrocki, ipoteticamente facilitata dall’afflusso di voti di Mentzen, riproporrebbe l’attuale spaccatura.

Il pezzo della settimana

La politica estera di Trump, per quanto riguarda il Medio Oriente, è stata sviscerata in moltissimi modi, sin dal 2017, anno della sua prima inaugurazione. Il punto di partenza di ogni analisi resta quello legato agli Accordi di Abramo, ovvero quella tela diplomatica che vorrebbe mettere insieme Paesi arabi e Israele, presupposto indispensabile per disimpegnarsi dalla regione e lasciare gli oneri a chi ci vive. In un pezzo di Marc Lynch, si prova a fare chiarezza su ciò che Trump vuole davvero per il Medio Oriente. Si legge qui.

La canzone della settimana

Questa è stata la settimana degli accordi: commerciali nel Golfo e con la Cina per Washington, mezzi abbozzati per Ucraina e Russia. 


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