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di - martedì 05 ottobre 2021 ore 07:30

Sono più le cose che dimentico di quelle che ricordo. Sopraffatto dal tempo, sento questo mondo ostile e mi diventa indifferente come vivo. Né so farlo, non so come affrontare ogni giorno che viene. E la notte, oh! la notte mi inseguono gli incubi ricorrenti di case non mie, dove per me non c’è posto e solo nel mio letto mi trovo a dormire.

E se sogno, mi immagino che siamo in viaggio da un mare all’altro mare, chi per fame o per sete, o incalzati da un Dio. Abbandonati dagli uomini, incontro al naufragio. E chi cercando parole da scrivere e l’incanto della natura. Parole che restino, che vivano e diano vita nella dimenticanza. Oltre noi, oltre tutto, oltre il niente che ci attende e a cui andiamo incontro. Oltre il mio amore ed il tuo, che è quello che conta. Ci sono redenzione e male, colpa e perdono, soavità e giorni atroci. La natura ci travolge e consola: ci incanta con l’albero di là dal fiume, dove la sera gli uccelli bianchi trovano riposo. Sarebbe indulgente con noi, a saper vivere.

Sono più le cose che dimentico di quelle che ricordo. E forse sarà nel buio della mente che troverò ospizio e il riposo inquieto dei viventi. Non so cosa mi spetti del futuro, è il passato che mi avvolge attirandomi a sé, nella presunta, ingannevole eternità del presente. O di ciò che ne resta. Posso solo chiedere scusa per i molti demeriti e le colpe. Ciò che è fatto è fatto e non vale il giudizio.

Dal terrazzo vedo un’auto che si ferma e ne scendono una giovane donna, un uomo, che sembra un ragazzo, e un bambino che lo abbraccia e poi va per mano alla donna. E l’uomo, che sembra un ragazzo, cammina al loro fianco, finché si perdono alla vista. Non voglio sapere altro: se siano una coppia felice, se cammineranno per la città ed il mondo o qualcuno andrà per la sua strada, seguendo una sorte diversa. Se la vita li attende o quale destino. A me basta quell’incontro, l’abbraccio del bambino e la mano della donna. Mi basta quel momento per ciò che ricordo e dimentico. Resto come estasiato da un’immaginata felicità. E non chiedo altro: un racconto, una storia che nemmeno saprei pensare e descrivere. Basta così. Ed è tutto.

Sono più le cose che dimentico di quelle che ricordo. Mio padre che torna a pranzo dal turno normale e appoggia la testa alle braccia sulla tavola, per il dolore a masticare. Mi sembrava già vecchio ed aveva i miei anni quando ancora vecchio non mi sentivo. Il fumo devasta la bocca. Attivo o passivo, divora i polmoni. Il babbo morente li vomita, la mamma se n’era andata anni prima, affilata dal male con tutti i denti sani e il suo bel sorriso. Ho preso dal padre per la bocca, non per il fumo. Si vede che il destino lavora diverso per ogni persona. Il destino e l’incuria con cui conduciamo noi stessi. E non so cosa è peggio. Ma forse è la razza e non puoi farci nulla, pieni come siamo di ticchi, di vizi e di orrori. Ho protesi buone per un sorriso, ma fanno male a mangiare e tolgono sapore alle cose. Il fratello più piccolo – a giudizio unanime il più bello di noi – fuma come un turco e ha già guasta e scarsa dentatura. Ma non so cosa dirgli o se debba dirgli qualcosa che non mi mandi affanculo. Non ho mai fatto il fratello maggiore. Non so farlo. Ero già via, troppo intento a seguire me stesso e ce n’erano colpe e ragioni, ma non pensavo di avere altre scelte. Ero orfano, in fuga da me e dal mondo che doveva cambiare e ora tocca difendere. Magari, si spera, cambiandolo davvero. Purché si faccia.

Battezzano la figlioletta del figlio dell’altro mio fratello. Non ricordo il grado di parentela. Sono venuti invitati ed amici e la sorella che ha fatto da madre. Famiglie, parenti lontani. La bimba ha un bel nome, breve e palindromo. Toccherà a loro ripartire e ricominciare di fondo e da capo per il mondo che resta; padri e figli ce lo siamo giocato. Non li invidio, ma prosegue la vita. “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Ogni generazione porta meriti e colpe, il nostro merito è stato credere. La nostra colpa pure; ora è questa resa. Ricordo poco, ma lo scritto, per quel che vale, rimane, anche quando ricorderò ancora meno e poi niente e più niente sarà. È scritto solo per questo, sto disimparando a parlare: spero che il fratello più piccolo, che è già uomo e padre, lo legga e sappia che fare. Prima che anche lui si dimentichi. O che anche per lui sia inutile ricordare.

Marco Celati

Pontedera, 3 Ottobre 2021

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“Da un mare all’altro mare”, è dalla Bibbia, la profezia di Amos. “Sono venuto perché abbiano la vita…” è il Vangelo, Giovanni 10,10. Not too bad per un non credente. Che “siamo pieni di ticchi, di vizi e di orrori, noi, gli uomini, i padri…” lo diceva Pavese e nel proseguo della poesia “Antenati” diceva pure di peggio.


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