Riflessioni
di - domenica 07 novembre 2021 ore 07:30
I giorni passano in fretta. Come il tempo quando ci si diverte. Siamo già a fine settimana. È tornato l’autunno, di nuovo di foglie che il vento solleva si copre la strada. Scroscia la pioggia. Il mondo è preda della nostra follia. Mi chiedo spesso il senso di tutto questo: se esiste un significato, un ordine sconvolto e quale. Se c’è un segno del destino o è stato tutto ciò che abbiamo voluto e basta. In fondo anche la vita passa in fretta, è una delle cose più lunghe tra quelle che passano in fretta. Lasciamo dietro di noi segni incerti e dimenticati, come di chi credevamo che fossimo o pensavamo di diventare.
C’è un uomo in un ospedale di Roma che solo a tratti ricorda di sé: che era laureato in fisica, che era venuto nella capitale per lavoro da un paese delle nostre parti, dove era nato o aveva abitato. Niente altro. Poco si sa, molto s’immagina. E nessuno ne ha memoria, solo il parroco spulcia gli archivi in canonica e viene fuori il nome di una donna che dello smemorato risultava moglie. Rintracciata, dice eravamo separati da tempo, non c’era speranza tra noi, da moltissimi anni di lui non ho più notizie. C’è una sorella e un figlio, chiedete a loro. E non si capisce se il figlio è anche suo figlio. In fondo si spera di no. La sorella, avvertita dalla polizia che indaga –la vita, come la morte, può essere un delitto– a domanda risponde: da vent’anni non sento mio fratello, sono a disposizione. Dal figlio, se esiste, silenzio. E, se esiste, forse meglio così. Le persone, anche legate da affetti o parentele, si perdono, non si cercano e non si trovano. Si confonde tutto nella testa: una sequenza di numeri, di date, di nomi. Un vortice di immagini, impressioni, sentimenti. Di passioni. È così che molti di noi ricordano le cose. È così che le dimenticano. Chissà che non sia meglio essere soli e smemorati. Se val la pena esser solo e vivere oltre la propria memoria. Vent’anni bastano a dimenticarci. Mentre la vita si allunga e prosegue, la memoria si abbrevia.
L’uomo è assurdo e la natura ostile, così appare il mondo. Così la vita. Un fiume sorge esile, si fa strada per discese impervie e percorsi tortuosi, trasporta piene, subisce siccità, segue il suo corso tra paesi affollati e valli solitarie. Fino alla foce, dove le sue acque finiscono e si mescolano al mare. Così fosse di noi e quello che è stato fosse ancora e ancora e sempre! E la vita, l’energia, il tempo dato fluissero oltre noi, oltre le strette di affetti e disamori e le gore immemori, oltre i pantani delle acque morte, nel riposo dell’azzurro e della luce. Onde, bagliori, la quiete e l’ira della Terra.
Non sono le cose a turbare gli uomini, ma il loro giudizio sulle cose. A Rostov sul Don, nel sud della Russia europea, due giovani, in fila presso un chiosco di alcolici, discutono di Kant, filosofo amato da entrambi. Alcol e filosofia. Sulla “dialettica trascendentale” la dialettica trascende: divergenze intellettuali. Litigano, uno dei due estrae una pistola e spara all’altro. Lo ferisce alla testa –la fonte del pensiero– in modo, per fortuna, non grave. “Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me”. La pistola nella fondina. Del resto la frase citata è un epitaffio, dalla “Critica della ragion pura”, sulla tomba di Immanuel Kant. Un idealista.
Marco Celati
Pontedera, Novembre 2021
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Ho attinto da recenti fatti di cronaca. Ho riportato suggestioni dal docufilm “Tesla”. La frase sul turbamento degli uomini e delle cose è di Epitteto, filosofo greco stoico di epoca romana, I e II secolo d.C. C’è perfino, confuso nel testo, un dubbio che fu di Pavese. Il ritratto è di Immanuel Kant.