Brevemondo domenica 12 ottobre 2025 ore 06:30
Hamas-Israele e Trump, Xi Jinping e Lecornu

Come sta andando il piano di pace del presidente americano, le tensioni tra Cina e Stati Uniti e la caduta dell'ennesimo governo in Francia
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L’intesa tra Hamas e Israele: cosa c’è, cosa manca
L’accordo di pace proposto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump per mettere fine al conflitto tra Hamas e Israele è stato parzialmente accettato da entrambe le parti, che hanno siglato il primo passaggio in un incontro a Sharm el Sheik, in Egitto. In particolare, come annunciato dallo stesso Trump, Hamas ha accettato di liberare gli ostaggi, ovvero i venti che si presume siano ancora vivi; in ogni caso, anche i corpi dei ventisei deceduti dovranno essere restituiti. Sulle condizioni di altri due ostaggi, invece, non si hanno ancora certezze. In cambio, le forze armate israeliane hanno già cominciato a retrocedere dalle loro posizioni nella Striscia di Gaza, nonostante continuino a controllarne circa il 50%. E ancora, Israele dovrà liberare 250 prigionieri palestinesi, insieme ad altri 1.700 prelevati dalla città di Gaza.
Nel momento in cui viene scritta questa newsletter, gli ostaggi israeliani non sono ancora stati rilasciati. Il cessate-il-fuoco è cominciato venerdì e, secondo quanto concordato, Hamas ha 72 ore di tempo per liberare quelli ancora vivi e restituire i corpi dei deceduti. Nel frattempo, ci sono anche altre questioni aperte sull’accordo: per esempio, sul futuro del governo della Striscia di Gaza. Accettando il piano statunitense, Hamas aveva affermato di essere a favore dell’insediamento di un esecutivo “tecnocratico”, ma ha per esempio espresso ferma contrarietà all’ipotesi di disarmo. Per quanto riguarda gli aiuti umanitari, invece, fonti delle Nazioni Unite hanno confermato come, nelle ore successive al ritiro delle forze israeliane, siano ripresi i flussi di carburante, medicinali e beni essenziali.
Intanto, nella giornata di domani si terrà comunque un vertice internazionale che dovrà suggellare l’accordo raggiunto. Il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, infatti, presiederà proprio con Trump un incontro pensato per “raccogliere consenso internazionale” sul piano di pace statunitense, nonostante, come detto, alcuni dettagli non irrilevanti siano ancora in fase di discussione. All’iniziativa, oltre ovviamente alle delegazioni di Israele e Hamas - che, comunque, ha fatto sapere che non parteciperà - sono stati invitati anche Paesi come Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Turchia, Arabia Saudita, Pakistan e Qatar. Quest’ultimo, pare ormai evidente, ha giocato un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell’intesa: dopo i bombardamenti israeliani sul proprio territorio, i qatarioti hanno fatto grande pressione su Trump. Un grande errore, per Benjamin Netanyahu, colpire uno stretto alleato statunitense.
(Ri)torna la tensione tra Cina e Stati Uniti
Sembrava essere tornata quantomeno la quiete tra Cina e Stati Uniti, dopo le peripezie dei dazi imposti da Trump, gli incontri diplomatici e, alla fine, l’accordo commerciale. Pochi giorni fa, però, il presidente americano ha annunciato la possibile cancellazione dell’incontro in programma in Corea del Sud con il leader cinese Xi Jinping. L’ennesima diatriba è nata dalla decisione di quest’ultimo di imporre una nuova stretta sulle esportazioni delle cosiddette “terre rare”, materiali critici per una vasta gamma di produzioni ad alto contenuto tecnologico: dal settore aeronautico a quello della difesa, dalla transizione energetica ai superconduttori, passando anche per la diagnostica avanzata in campo medico. Pechino è il principale esportatore al mondo e la sua posizione di forza è ampiamente spendibile, soprattutto nei confronti dell’industria statunitense, che ha fortemente bisogno di questi materiali.
Del resto, l’intesa commerciale raggiunta nei mesi scorsi riguardava infatti anche le terre rare, con la promessa da parte cinese di non rendere complicata l’esportazione verso gli Stati Uniti con controlli alle dogane o tortuose procedure burocratiche. La reintroduzione di tali barriere, per Trump, è stata “shoccante”. Per questo, lo stesso newyorchese ha deciso di reintrodurre dazi al 100% sulle importazioni provenienti da Pechino a partire dal prossimo 1° novembre. Da parte sua, la Cina non ha risposto in maniera ufficiale: pare che una nuova guerra commerciale possa effettivamente esplodere e che Pechino voglia trarre giovamento dallo shutdown di Washington.
Del resto, niente è cambiato rispetto alla passata settimana: democratici e repubblicani non hanno ancora trovato un’intesa sulla legge di bilancio e, così, l’apparato federale degli Stati Uniti è di fatto bloccata. Negli ultimi giorni, secondo quanto emerso, l’amministrazione Trump avrebbe già deciso di licenziare oltre quattromila lavoratori, in particolare in forza tra il Dipartimento della Salute e dei Servizi sociali e il Dipartimento del Tesoro.
La tragicomica storia del Governo Lecornu
Dopo le elezioni legislative dell’estate del 2024, la Francia sta vivendo uno psicodramma politico. L’Assemblea nazionale scaturita dalle urne è fortemente polarizzata e, a oggi, nessuna maggioranza ha dato segno di poter davvero durare. Mai la figura del primo ministro francese era stata così famosa nel resto del mondo come lo è stata dal settembre 2024 a oggi: in poco più di un anno si sono alternati Gabriel Attal, Michel Barnier, François Bayrou e, alla fine, Sébastien Lecornu. Quest’ultimo, ex ministro della Difesa, è stato incaricato dal presidente della Repubblica Emmanuel Macron, salvo poi dimettersi dopo qualche ora dalla presentazione della lista dei ministri.
Bandiera bianca che sembrava aver davvero posto Macron di fronte a un bivio: di fronte a uno stallo apparentemente senza via d’uscita, il presidente avrebbe potuto sciogliere l’Assemblea nazionale e indire nuove elezioni, oppure dimettersi. Nessuna delle due ipotesi, però, pare aver convinto Macron. Tant’è che cinque giorni dopo le dimissioni quantomeno sorprendenti di Lecornu, il presidente francese ha scelto di incaricare, nuovamente, lo stesso Lecornu. Una mossa che, comprensibilmente, ha preso in contropiede le due frange opposte dell’Assemblea nazionale: il Rassemblement National, di estrema destra, e la France Insoumise, di estrema sinistra.
A oggi, Lecornu, che ha accettato il secondo incarico, sta cercando di trovare un’altra strada per ottenere una conferma che appare piuttosto complicata. Verosimilmente, farà concessioni maggiori alle forze politiche, soprattutto ai socialisti e ai repubblicani, che potremmo definire come centrosinistra e centrodestra. In particolare, il pomo della discordia resta la legge di bilancio, che dovrebbe prevedere una sostanziale riduzione del deficit. Tema su cui né Rassemblement National, né France Insoumise sono d’accordo. E, per dirla tutta, neppure i socialisti. Al momento, dunque, in Francia si continua a navigare a vista.
Il pezzo della settimana
L’esito positivo del piano di pace presentato da Trump è stato improvviso. Tra agosto e settembre, con l’offensiva israeliana all’apice, era davvero complicato immaginare un simile esito. Cosa ha fatto cambiare il corso degli eventi in maniera così repentina? Come detto, pare proprio che l’attacco israeliano su Doha, ufficialmente sferrato per colpire una delegazione di Hamas, abbia inciso molto. Da tempo, Trump ha forti legami con l’establishment qatariota, che deve essersi fatto sentire alla Casa Bianca. Su Politico, Dasha Burns e Diana Nerozzi hanno ricostruito questa versione. Si legge qui.
La canzone della settimana
In onore del Paese che ospiterà l’incontro per questa prima, piccola fase di tregua nella Striscia di Gaza.
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