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Cronaca mercoledì 08 febbraio 2017 ore 10:09

Fatture false per 60 milioni nel settore hi-tech

Frode milionaria, triangolazioni fittizie tra Francia, Germania e Italia. Tra gli indagati 4 livornesi e un commercialista di Pontedera



LIVORNO — Acquistavano apparecchi hi-tech all'estero e grazie a società di comodo evadevano l'iva e ora sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una complessa frode fiscale. Nell’ambito dell’operazione Rambo, militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Livorno, con il coordinamento del Comando Regionale Toscana, e funzionari dell’Agenzia delle Dogane labronica, il 7 febbraio hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di quattro persone, dando corso a 15 perquisizioni tra abitazioni, sedi societarie ed uno studio commercialistico, dislocate tra Toscana, Trentino Alto Adige, Campania ed Emilia Romagna.

Agli arresti domiciliari sono finiti due imprenditori livornesi, mentre per altri due è scattato l'obbligo di firma. L'accusa è quella di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una complessa frode fiscale.

L’Autorità Giudiziaria ha disposto, inoltre, su richiesta della locale Procura della Repubblica, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente per oltre 4 milioni di euro su conti correnti, denaro, autovetture e immobili nella disponibilità di 6 imprese (2 ditte individuali e 4 società) e di 7 degli 8 indagati, a vario titolo coinvolti nel sodalizio criminale e denunciati, a vario titolo, per reati tributari.

Gli illeciti ipotizzati a carico delle 8 persone fisiche denunciate vanno dall’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, all’infedele ed omessa presentazione delle dichiarazioni, fino all’occultamento di documentazione contabile.

Le indagini sono iniziate dopo un controllo fiscale eseguito nei confronti di una ditta di Livorno attiva nel settore della vendita di prodotti informatici. I controlli hanno fatto emergere l’esistenza di un’organizzazione finalizzata ad evadere l’erario, riconducibile al dominus livornese, M.B., destinatario, insieme al suo braccio destro E.M., di custodia cautelare domiciliare. Obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria, invece, a carico dei due formali rappresentanti legali delle società di comodo (di fatto amministrate da M.B.), F.B. e M.F, rei di aver sistematicamente emesso fatture per operazioni inesistenti a 3 imprese delle province di Bolzano ed Avellino.

Le attività hanno consentito di individuare 9 persone giuridiche (2 ditte individuali e 7 società), con un giro di fatture false, tra emesse ed utilizzate, pari a circa 60 milioni di euro e permesso di ascrivere l’ipotesi fraudolenta al sistema del carosello fiscale, attuato tramite triangolazioni fra le società coinvolte al semplice scopo di evadere l’Iva, nel settore del commercio dei prodotti elettronici destinati alla grande distribuzione e al commercio al dettaglio via web.

Le imprese dei soggetti coinvolti acquistavano ingenti quantità di prodotti hi-tech direttamente dai fornitori comunitari (francesi e tedeschi). In realtà però la merce non veniva consegnata alle ditte che avevano effettuato l’ordine, ma direttamente agli effettivi destinatari, beneficiari della frode, N.K. e P.C. di Bolzano e E.M., imprenditrice avellinese. Le cartiere quindi, venivano interposte, facendo da filtro, nelle transazioni commerciali tra i fornitori europei e le società operative campana ed altoatesina.

Nel corso delle indagini è anche emerso il ruolo rilevante del commercialista dell'imprenditore livornese, titolare di uno studio a Pontedera. Contributo fondamentale, il suo, per ostacolare le attività di controllo: tenutario delle scritture contabili di tutte le imprese coinvolte e incaricato della registrazione delle fatture, il commercialista aveva fatto in modo di fissare nel proprio studio la sede legale delle società e aveva presentato, per le stesse, dichiarazioni fiscali con importo pari a zero. In questo modo, le imprese non risultavano formalmente evasori totali, sebbene non dichiarassero né redditi né volume d'affari.

Le operazioni erano contabilizzate nel seguente modo: le ditte di comodo ricevevano le fatture dai fornitori comunitari, senza applicazione dell’Iva (in virtù del meccanismo del cd. Reverse charge, applicato per le cessioni all’interno di Stati dell’Unione Europa), procedevano poi ad emettere fattura, rivendendo il bene - questa volta con applicazione dell’imposta sul valore aggiunto - a favore dei predetti acquirenti effettivi, ad un prezzo imponibile inferiore a quello praticato dai fornitori comunitari (dunque, sottocosto) contravvenendo a qualsivoglia logica di guadagno. Con l’applicazione dell’Iva al 22 per cento il prezzo complessivo della merce era di poco superiore a quello originario: quindi, i beneficiari ricevevano i prodotti ad un prezzo unitario indebitamente (ed estremamente) concorrenziale, che consentiva loro di collocarsi in una posizione privilegiata sul mercato.

L’attività ha consentito di quantificare, per il momento, in oltre 4 milioni di euro il profitto illecito percepito dai membri dell’associazione a delinquere: a conclusione della prima fase delle indagini, il Tribunale di Livorno ha emesso un provvedimento di sequestro preventivoal fine di scongiurare il rischio che questi si spogliassero delle disponibilità finanziarie e delle proprietà mobiliari ed immobiliari. Sequestrati due immobili a Livorno del valore di circa 300mila euro, due auto (una Mercedes e una Volkswagen Tiguan) e disponibilità liquide


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