Brevemondo domenica 16 febbraio 2025 ore 08:15
Trump-Putin, Europa, elezioni tedesche e Google

Ecco Brevemondo: Trump chiama Putin, cos'è accaduto alla conferenza di Monaco, la paura per l'Ue, un attentato in Germania e Messico contro Google
. — Trump chiama Putin
Non per dire lo avevamo detto, ma lo avevamo detto. Poco dopo il primo invio di Brevemondo, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha effettivamente chiamato il presidente della Russia Vladimir Putin per trovare una soluzione per la guerra in Ucraina, esattamente come promesso durante la campagna elettorale. Dunque, nessuna sorpresa eclatante o sconvolgente, come in molti hanno preferito presentarla.
Dopo la telefonata, Trump ha detto che per l’Ucraina sarà molto complicato ritornare in possesso dei territori attualmente occupati dall’esercito russo, ovvero la fascia orientale che unisce Donetsk e Luhansk alla Crimea; inoltre, ha affermato che Kiev verosimilmente non potrà entrare nella Nato, perché non sarebbe “funzionale”. A questo si aggiunge il fatto che lo stesso Trump ha annunciato che si vedrà con Putin in Arabia Saudita: così fosse, sarebbe il primo incontro incontro tra i due dopo la rielezione dello scorso novembre del newyorchese.
Cosa implica tutto ciò? Da un lato, che i timori di Zelensky su un accordo di pace per l’Ucraina senza il contributo dell’Ucraina potrebbero essere fondati. Nella precedente newsletter abbiamo spiegato come il presidente ucraino stia provando a mantenere aperto il dialogo con Trump offrendo un accordo sulle terre rare. Dopo la telefonata, ha fatto sapere che non possono esserci accordi stipulati alle spalle di Kiev. Dall’altro lato, invece, la mossa di Trump è forse la più esemplare del suo senso geopolitico: dividere il mondo in sfere d’influenza, riabilitando la Russia per contenere la Cina e tracciare i confini dei rispettivi campi da gioco. Qualcuno ha fatto riferimento a “una nuova Yalta”; con l’eccezione che, stavolta, non c’è neppure un Paese europeo al tavolo.
La conferenza di Monaco (no, non quella)
Alla conferenza di Monaco sulla sicurezza in Europa - che richiama quella del 1938, in un clima piuttosto diverso - c’è stato un incontro tra Zelensky e un membro di spicco dell’amministrazione statunitense. Ovvero, il vicepresidente J.D. Vance. Non una svolta clamorosa, ma comunque il primo confronto dopo la telefonata di Trump a Putin e le ipotesi sul summit tra i due in Arabia Saudita.
Nell’occasione, Zelensky ha chiesto agli Stati Uniti garanzie di sicurezza e ha affermato che accetterebbe di vedere di persona Putin solo ed esclusivamente dopo aver concordato con Trump un piano di pace. Una possibilità che, al momento, appare piuttosto remota.
Altrettanto remota sembra la possibilità che, nel processo, possa giocare un ruolo l’Unione Europea. Prima ci ha pensato lo stesso J.D. Vance a mettere le cose in chiaro: non la Russia e neppure la Cina, ciò che insidia la sicurezza dell’Europa è l’aver rinunciato a dei valori imprescindibili, che ne hanno fondato la storia. A mettere in pericolo l’Europa è il “nemico interno” - the enemy within - che, per esempio, avrebbe portato alla soppressione della libertà di espressione, o alla passività di fronte all’immigrazione di massa. Un vero e proprio attacco ideologico al modello europeo in sé.
Paura e delirio a Parigi, Europa
Poi, oltre al quello che è sembrato essere una vera e propria resa dei conti tra il nuovo corso trumpiano e l’Europa, c’è stata la più breve e concisa, ma non meno rilevante, affermazione dell’inviato speciale per l’Ucraina e la Russia della Casa bianca. Cioè Keith Kellogg. Che, alla domanda su un coinvolgimento dell’Unione Europea ai negoziati di pace in Ucraina, ha risposto sardonicamente che essa, magari, non sarà “fisicamente al tavolo”, ma gli interessi regionali “saranno presi in considerazione”. Tradotto: no, non parteciperà.
E se il discorso appuntito del vicepresidente Vance ha ricevuto risposte piccate da alcuni - come il cancelliere tedesco Olaf Scholz - la breve considerazione di Kellogg ha scatenato la paura. Così, il presidente francese Emmanuel Macron ha colto la palla al balzo: a Parigi, nella prossima settimana, si dovrebbe tenere un summit emergenziale tra i principali Paesi europei, con l’obiettivo di non farsi tagliare fuori da Stati Uniti e Russia sulla questione ucraina. Non è ancora chiaro, comunque, se all’incontro sarà invitato anche Zelensky.
Quel che è certo è che Macron potrebbe far leva sull’approccio di Trump alla guerra in Ucraina per rispolverare il progetto di un’Unione Europea militarmente autonoma da Washington. Con alla testa, naturalmente, Parigi. Del resto, già nel 2019, quando Trump era diventato presidente da un paio d’anni, il presidente francese aveva definito la Nato in stato di “morte cerebrale”, tanto da dover prenderne atto e agire di conseguenza. Ci riuscirà stavolta?
L’attentato e le elezioni: la Germania ribolle
Nelle ore scorse sono morte la bambina e la madre rimaste inizialmente ferite nell’attentato avvenuto a Monaco. Si è trattato di un attacco avvenuto per mano di un cittadino afgano durante una manifestazione sindacale: l’uomo, 24 anni, si è lanciato con la propria auto verso il corteo, causando oltre trenta feriti. La procuratrice dell’unità antiterrorismo tedesca, Gabriele Tilmann, ha dichiarato che si tratta di un attentato di matrice islamista.
Al di là della gravità del gesto e delle sue drammatiche conseguenze in termini di vite umane, l’episodio contribuisce senz’altro a rendere ancor più accesi gli ultimi giorni della campagna elettorale. Il 23 febbraio prossimo in Germania si voterà dopo le dimissioni del cancelliere Scholz, con il partito di ultradestra e di tendenze xenofobe Alternative für Deutschland (AfD) dato come secondo più votato, alle spalle della Cdu.
Particolarmente critico sull’immigrazione, la cittadinanza dell’uomo e la matrice dell’attentato potrebbero rinfocolare la retorica del partito. Che, alla conferenza di Monaco, è stato nuovamente rilanciato dall’amministrazione statunitense: dopo Elon Musk, che ha ripetutamente appoggiato AfD su X, definendo il partito la “miglior speranza” per la Germania, anche il vicepresidente Vance lo ha menzionato, seppur indirettamente. Non solo: poco dopo, ha incontrato personalmente Alice Weidel, leader di AfD.
E se il Messico fa causa a Google?
Tra le tante cose della settimana, spesso interconnesse, merita spazio anche l’arcinota questione del golfo del Messico. O golfo d’America, se lo si chiede a Trump e ai suoi. Sì perché il presidente degli Stati Uniti, come aveva annunciato nelle settimane tra l’elezione di novembre e l’insediamento di gennaio, ha promesso di cambiarne il nome, formalizzando tale scelta con un decreto.
Prima di questo atto, la presidente del Messico Claudia Sheinbaum aveva scherzato sul fatto che, se il golfo del Messico avesse cambiato nome, gli Stati Uniti meridionali avrebbero potuto chiamarsi America messicana. Nelle ultime ore, invece, la stessa Sheinbaum ha fatto capire come il suo governo stia valutando di intraprendere un’azione legale contro Google, che dopo l’ordine esecutivo firmato da Trump ha cambiato il nome su Maps.
“Google Maps non è uno standard internazionale, ma una compagnia privata”, ha spiegato Sheinbaum, “eppure, nonostante ciò, è comunque un riferimento internazionale”. Per il momento, il governo di Città del Messico non ha ancora ufficialmente avviato la causa, ma eventuali sviluppi potrebbero interessare il rapporto, sempre più stretto, tra l’amministrazione Trump e l’establishment tecnologico-finanziario degli Stati Uniti.
Il pezzo della settimana
Ragionamenti e idee sull’esercito europeo vanno avanti dagli anni Cinquanta, da quando la guerra in Corea, nel pieno della guerra fredda, aveva convinto i Paesi della Comunità economica del carbone e dell’acciaio di creare un’armata comune che permettesse un riarmo “controllato” della Germania ovest. Il progetto non è mai andato a buon fine. E fa sorridere come, oltre settant’anni dopo, il più serio e accorato appello a dar vita a un esercito europeo provenga dall’Ucraina. Che non è uno Stato membro dell’Unione Europea. Lo ha chiesto Zelensky. E si legge qui.
La canzone della settimana
Trump chiama Putin, Zelensky chiama Trump, Macron chiama gli europei.
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Pietro Mattonai
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