Brevemondo domenica 25 maggio 2025 ore 06:30
Trump-Putin, Netanyahu, Harvard e Corea del Nord

L'abusato "Se telefonando" tra Trump e Putin, Netanyahu nel ciclone, lo studio ovale è un ring, Harvard e un varo fallito in Corea del Nord
. — Benvenuti a Brevemondo. Cominciamo.
La telefonata tra Trump e Putin
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente della Russia Vladimir Putin si sono confrontati telefonicamente sulla guerra in Ucraina. Nonostante si tratti di una notizia rilevante, i due già a febbraio scorso avevano avuto un colloquio sul conflitto e sulle possibili soluzioni per arrivare a un cessate il fuoco e, di conseguenza, alle trattative per porre fine alla guerra (ne avevamo parlato nella rassegna del 16 febbraio).
La chiamata ha messo ancora una volta in evidenza come, nonostante Trump stia cercando di costringere Putin a collaborare, quest’ultimo non sia esattamente della stessa idea. Dopo il colloquio, infatti, il presidente statunitense ha definito lo scambio di vedute come “eccellente” e che i negoziati tra Mosca e Kiev sarebbero cominciati “immediatamente”. Allo stesso tempo, Putin ha sì definito la chiamata “sincera e franca”, ma la Russia pare ancora piuttosto lontana dall’addivenire a un negoziato. Come va ripetendo dal 2022, il presidente russo vuole infatti “eliminare le radici profonde del conflitto”, ovvero garantire a Mosca una certa influenza quantomeno sull’Ucraina orientale, dove l’esercito russo si è attestato, in modo da creare una zona cuscinetto.
In tutto questo, come spiegato anche da Trump su Truth, della telefonata sono stati avvisati i partner europei di Washington e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea. Di fatto esclusi dal processo negoziale, alcuni dei Paesi europei stanno ormai da tempo cercando di organizzare una propria risposta. Del resto, lo stesso cancelliere tedesco Friedrich Merz è rimasto scioccato dopo la telefonata avuta con Trump insieme a Giorgia Meloni, Emmanuel Macron, Donald Tusk e Keir Starmer. Per alcuni, la svolta impressa da Trump è ancora difficile da interpretare e accettare.
Il dramma di Gaza e il piano di Netanyahu
La situazione della Striscia di Gaza, se possibile, è ulteriormente peggiorata nell’ultimo mese e mezzo. Basti pensare che dal 2 marzo al 19 maggio, dunque agli inizi di questa settimana, nessun aiuto umanitario ha superato i confini della Striscia, a fronte di una popolazione ridotta alla fame. Soltanto in questi giorni è parzialmente ripresa la consegna, che arriva per esempio dalle Nazioni Unite, ma anche dagli Stati Uniti. Pare che Trump stia cominciando a spazientirsi nei confronti del primo ministro Benjamin Netanyahu, invitato caldamente ad aprire gli accessi verso Gaza per la distribuzione degli aiuti umanitari.
Nel bel mezzo del dramma di Gaza, infatti, c’è anche la posizione dello stesso Netanyahu, che potrebbe essere determinante per l’andamento del conflitto. Il primo ministro ha infatti affermato come l’obiettivo della guerra sia quello di occupare tutta la Striscia. Intenzioni confermate dai fatti, visto che di recente ha nominato David Zini a capo dello Shin Bet, l’agenzia governativa dei servizi segreti interni, che ha come punto di vista quello della “guerra eterna” contro Hamas. Il prolungarsi del conflitto e la situazione umanitaria di Gaza, però, stanno cominciando a minare la credibilità di Netanyahu.
A livello internazionale, infatti, sempre più leader stanno agendo per fare pressione su Israele in vista di una soluzione al conflitto. Dal Regno Unito, per esempio, il premier Starmer ha annunciato la sospensione di alcuni accordi commerciali e l’adozione di sanzioni nei confronti dei coloni israeliani che si trovano in Cisgiordania. Ipotesi di questo tipo sono arrivate anche dai governi di Francia e Canada.
Un’altra lite, di nuovo nello studio ovale
Dopo quella che ha avuto ben maggiore risonanza mediatica, si è accesa un’altra lite nello studio ovale della Casa Bianca, dove si trova la scrivania del presidente degli Stati Uniti. Stavolta non c’era il presidente ucraino Volodymyr Zelenksy, bensì il presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa. A dividere Trump dal suo omologo sudafricano non c’era fortunatamente un conflitto, bensì una questione politica interna al Paese africano che, da mesi, tiene banco anche negli Stati Uniti.
Da tempo, infatti, il presidente statunitense sta portando avanti la narrazione secondo cui in Sudafrica è in corso un genocidio della popolazione bianca, ovvero quelli che vengono definiti afrikaner, eredi delle generazioni di coloni olandesi e tedeschi che lì si stabilirono a partire dal Seicento. In breve, alcuni gruppi afferenti al suprematismo bianco sostengono come gli afrikaner vengano sistematicamente uccisi in una sorta di pulizia etnica. L’ipotesi, però, è stata respinta dai tribunali sudafricani e definita “chiaramente immaginaria”. Ciononostante, nelle scorse settimane gli Stati Uniti hanno approntato un percorso umanitario dedicato proprio agli afrikaner e già alcune decine di essi sono arrivati nel Paese come rifugiati politici.
Questo il background. Ciò che è accaduto nei giorni scorsi è, appunto, la visita di Ramaphosa negli Stati Uniti. E se inizialmente il colloquio sembrava dover scivolare via senza intoppi, nel momento in cui Trump ha posto sul tavolo il tema, il clima si è ovviamente surriscaldato. Prima sono state proiettate delle immagini che il presidente statunitense ha indicato essere relative proprio al presunto genocidio in corso, quindi ha mostrato alcune foto, accusando il governo di Ramaphosa di non fare niente per tutelare gli afrikaner. Un altro grande momento di tensione, che rende ancora evidente le modalità di azione di Trump, che intenzionalmente usa la risonanza mediatica dei luoghi per promuovere l’agenda con cui è stato eletto.
Harvard fa causa a Trump
Alla fine di uno scontro che, fino a pochi giorni fa, si era mantenuto più o meno sotto il livello di guardia, arriva l’escalation. L’università di Harvard, a Boston, ha infatti fatto causa all’amministrazione guidata da Trump dopo che quest’ultima ha imposto all’istituto il divieto di iscrivere studenti e studentesse che non siano cittadini statunitensi. Negli ultimi vent’anni, il numero di alunni stranieri ad Harvard è aumentato sostanzialmente, passando dal 19,6% dell’anno accademico 2006/2007 a oltre il 27% di quello attualmente in corso.
Alla radice dello scontro che oppone Trump ad Harvard, così come ad altre istituzioni universitarie, c’è l’atteggiamento che queste ultime avrebbero tenuto nei confronti delle proteste studentesche sulla guerra israelo-palestinese e, in particolare, sulla situazione della Striscia di Gaza. Secondo Trump, ciò avrebbe alimentato l’antisemitismo all’interno delle università e, per questo, ha disposto anche il taglio dei fondi federali che annualmente vengono disposti a favore di queste istituzioni.
L’ultimo divieto imposto da Trump sul blocco degli studenti stranieri ha riportato lo scontro in aula di tribunale. Harvard infatti aveva già fatto causa all’amministrazione Trump per il blocco dei fondi statali, ma stavolta alla causa è seguita immediatamente anche una decisione di un tribunale federale, che ha sospeso temporaneamente la decisione del presidente.
Un varo fallimentare costato caro
Doveva essere uno dei momenti di propaganda del regime di Kim Jong Un, ma si è rivelato un grande fiasco e, di conseguenza, i responsabili non se la vedranno bella. È successo in Corea del Nord, dove durante la cerimonia per il varo di una nuova nave da guerra si è verificato un incidente che ha di fatto danneggiato la stessa nave, resa inutilizzabile. Così, come riportato anche dai media nordcoreani, tre funzionari del cantiere navale sono stati arrestati.
L’incidente è avvenuto nell’ambito di una serie di investimenti che Pyongyang ha messo in campo per rafforzare la propria marina militare. Del resto, dopo aver ufficializzato un fatto ormai noto da tempo, ovvero che soldati nordcoreani fossero stati schierati al fianco della Russia, il regime di Kim Jong Un ha puntato sul riarmo.
E lo ha fatto in particolar modo per schierare il Paese al fianco del Cremlino. Secondo l’intelligence statunitense, infatti, Pyongyang starebbe stringendo accordi militari con la Russia e approfondendo gli ambiti della cooperazione per controbilanciare la Cina. Pechino è il principale partner commerciale della Corea del Nord ed è l’unico Paese ad aver stipulato con essa un trattato di mutua difesa. Ciononostante, Kim Jong Un pare intenzionato a ridurre tale dipendenza.
Il pezzo della settimana
Dalla chiusura della guerra in 24 ore al realistico pessimismo: la telefonata tra Trump e Putin, e ciò che è successo nei giorni successivi, ovvero il prosieguo del conflitto come se niente fosse, pare aver cambiato l’atteggiamento del presidente statunitense. Che da pacificatore, adesso, sembra aver assunto una posizione attendista, se non disinteressata. Si legge qui.
La canzone della settimana
Il fallito varo della nave in Corea del Nord spalanca le porte a canzone su naufragi e simili. Ne scegliamo una.
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