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Brevemondo domenica 02 novembre 2025 ore 06:30

Trump-Xi Jinping, Gaza ed elezioni africane

I due presidenti s'incontrano di nuovo dopo sei anni, Netanyahu vuol disarmare Hamas e l'Africa paradiso per i leader molto anziani



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Ci eravamo tanto odiati

Soltanto una settimana fa il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva fatto la finta, dicendo che l’incontro con il suo omologo cinese, Xi Jinping, forse non ci sarebbe neppure stato, soprattutto a causa delle continue diatribe sul commercio. Alla fine, però, Trump e Xi Jinping si sono confrontati per un paio d’ore ai margini del vertice dell’Apec, che si è svolto in Corea del Sud. Tema centrale, appunto, il commercio tra Washington e Pechino: una questione spinosa che si è rinfocolata - non certo nata con - l’avvio della campagna di dazi statunitensi contro ogni singolo Paese sul globo terracqueo. Era la prima volta negli ultimi sei anni che Trump e Xi Jiping s’incontravano e, pare, tra i due è stato raggiunto un accordo che prevede quantomeno una tregua commerciale tra le due più grandi economie del pianeta. Più grand bazaar che grand bargain, hanno scritto sull’Economist. Ma pur sempre qualcosa.

Nel dettaglio - anche se il dettaglio, con Trump, è sempre poco dettagliato - gli Stati Uniti hanno acconsentito al taglio dei dazi nei confronti della Cina, compresi quelli sui materiali chimici cinesi utilizzati per produrre il fentanyl; Pechino, a sua volta, si è impegnata a facilitare l’esportazione di terre rare verso Washington e di acquistarne la soia, che aveva smesso di comprare. Sì, proprio quelli: oltre tredici milioni di tonnellate pattuite da adesso fino a gennaio, poi in dose raddoppiata per i prossimi tre anni. Del resto, per gli agricoltori del Midwest, un forte bacino elettorale trumpiano, la drammatica riduzione delle esportazioni verso la Repubblica popolare coincide con un enorme introito mancato. Alla fine dell’incontro, mentre si trovava sull’Air Force One di ritorno dalla Corea del Sud, Trump ha detto che si è trattato di “un incontro fantastico”, che su una scala “tra uno e dieci” è andato “da dodici”.

Trump e Xi Jinping dopo l’incontro in Corea del Sud [X]

Il “grande disgelo”, è stato scritto. E in parte, sicuramente, è così. Del resto, nella situazione di forte attrito delle ultime settimane, anche semplici intese commerciali possono dare grandi speranze. Ciò che non va dimenticato è il vero motivo per cui Trump - e, per un inconsueto allineamento dei pianeti, anche gli apparati federali, Pentagono in primis - ha deciso di far pace con la Cina. Non lo ha nascosto neppure lui: “abbiamo costruito l’esercito cinese con i soldi che abbiamo perso in tanti anni”, ha detto prima dell’incontro. Ed ecco il vero obiettivo dei dazi e delle intese per Washington: ridurre il surplus commerciale che Pechino può investire negli apparati militari, che poi usa per mettere pressione sugli Stati Uniti. Stranamente, anche stavolta, non sarà il commercio a cambiare il mondo. 

Chi disarmerà Hamas?

Il piano di stabilizzazione di Gaza, sottoscritto a Sharm el Sheik, scricchiola. A metà settimana, infatti, l’esercito israeliano, su ordine del premier Benjamin Netanyahu, ha attaccato la Striscia con una serie di bombardamenti che hanno colpito la città di Gaza, il campo profughi di Bureij e Khan Younis. Le operazioni militari sono state intraprese dal governo dello Stato di Israele perché Hamas avrebbe violato il cessate-il-fuoco ufficializzato lo scorso 13 ottobre in Egitto. Secondo gli israeliani, infatti, il gruppo paramilitare palestinese avrebbe attaccato per primo e, comunque, starebbe rallentando e rendendo complicato il ritorno dei corpi degli ostaggi ormai defunti. Hamas, in ogni caso, ha negato di aver attaccato le forze armate israeliane.

La tensione non si è allentata neppure dopo la restituzione di parte dei resti di tre cadaveri da parte di Hamas: questi, secondo un’analisi svolta dagli israeliani, non sarebbero riconducibili agli ostaggi. Nel frattempo, a oggi restano nella Striscia di Gaza ancora i corpi di undici ostaggi, che secondo gli accordi di Sharm el Sheik dovranno essere riconsegnati in modo da far scattare anche la liberazione dei prigionieri palestinesi, oltre alla restituzione, anche in questo caso, degli eventuali cadaveri.

Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan [X]

E mentre resta ingarbugliato il versante dello scambio tra ostaggi e prigionieri, Netanyahu ha acceso nuovamente i riflettori su uno dei punti più discussi del piano di pace statunitense, sul quale sin da subito si era registrata ampia divergenza. Ovvero, il disarmo di Hamas. “Alla fine, Hamas sarà disarmato e Gaza sarà demilitarizzata”, ha detto il primo ministro israeliano. E, soprattutto, “se non lo faranno le truppe straniere”, non c’è problema: “lo faremo noi”. Il riferimento alle “truppe straniere” è diretto ai Paesi arabi e musulmani che domani si incontreranno a Istanbul con l’obiettivo di confrontarsi sui prossimi passi da compiere affinché il cessate-il-fuoco regga. Lo sguardo di Netanyahu, in realtà, è rivolto quasi esclusivamente proprio alla Turchia: il Paese vuol avere un ruolo centrale nella stabilizzazione del Medio Oriente, a cominciare dall’adesione alla supposta forza internazionale che dovrebbe garantire la pace nella Striscia. Un’ipotesi che Israele ha immediatamente rigettato.

Largo ai giovani

In questa settimana, in un continente come quello africano, dove l’età mediana è inferiore ai vent’anni - basti pensare che in Italia l’età mediana è di oltre quarantotto anni - in due Paesi di grande rilievo come Camerun e Costa d’Avorio sono stati riconfermati per l’ennesima volta come presidenti Paul Biya, 92 anni, e Alassane Ouattara, 83 anni. Ciò non ha fatto altro che riaccendere una questione che non è certo nuova per il continente: ovvero, il gap generazionale che esiste tra la popolazione comune e l’élite politica.

Biya, che ha vinto le elezioni dello scorso 13 ottobre, è stato proclamato ufficialmente come capo dello Stato dal Consiglio costituzionale camerunense soltanto pochi giorni fa. Per il “nuovo” presidente si tratta dell’ottavo mandato consecutivi a partire dal 1982. Il suo sfidante, Issa Tchiroma Bakary, altro giovane di belle speranze di 76 anni, ha denunciato brogli e accusato lo stesso Consiglio costituzionale di essere soltanto “un timbro di gomma” della tirannia. Su questa scia, dopo la proclamazione ci sono state proteste e manifestazioni. Per quanto riguarda Ouattara, le percentuali del suo successo elettorale sono già un programma: 89,77% delle preferenze, con il principale contendente che è arrivato addirittura al 3%. Del resto, gli oppositori più credibili come Laurent Gbagbo e Tidjane Thiam sono stati estromessi dalla competizione ancor prima di arrivare alle urne. Tant’è che l’affluenza si è attestata attorno al 50%.

Delle proteste in Camerun [X]

Tanto in Camerun quanto in Costa d’Avorio i giovani hanno cercato di far sentire la propria voce, denunciando il baratro che esiste tra loro e la classe dirigente, oltre alla mancanza di trasparenza nei due processi elettorali. Come avvenuto in Nepal prima e in Madagascar poi, con le rivolte guidate dalla Generazione Z, anche in questi due Paesi africani i giovani hanno protestato, senza però arrivare a far cadere il governo - come in Nepal - né addirittura a innescare, seppur involontariamente, un golpe militare, come in Madagascar. Nonostante la bassa età mediana, infatti, in Africa leader come Biya e Ouattara continuano a mantenere una forte presa sugli apparati militari, legislativi ed elettorali

Il pezzo della settimana

Alle nostre latitudini l’attivismo di Erdoğan sulla questione palestinese è un po’ trascurato. Non si capisce bene perché il presidente turco, che aveva avuto buoni rapporti con Israele prima del 7 ottobre 2023, stia cercando di scalare posizioni in Medio Oriente e di farsi trovare pronto a guidare il fronte dei Paesi arabi per patrocinare il rispetto degli accordi egiziani. Alcune mosse, come quella del suo recente tour nei Paesi del Golfo, possono aiutarci a capire meglio. Si legge qui.

La canzone della settimana

Da dedicare a tutti i giovani che chiedono conto a vecchi politicanti delle proprie responsabilità: I hope I die before I get old.


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