Hop!
di - lunedì 06 novembre 2023 ore 08:00
Tra i grandi guerrieri non oserei mai annoverarmi, sebbene io possegga, come loro, lo stesso cuore impavido. L’ha detto una donna samurai. Comunque, ora come ora, al “cavaliere di spade” preferisco “l’eremita”, anche se detesto, carte e tarocchi. Solo “Il giardino dei Tarocchi” di Niki de Saint Phalle, a Capalbio, è una meraviglia. Per il resto non sarà un caso se si dice “taroccato”… Eppure il futuro sembra in mano a cartomanti e astrologi, comunicatori e social. Brutta roba! E poi, samurai, spade e cavalieri, è tutto armamentario di guerra o surrogati. Meglio pace e leggerezza. Anche se non sono un pacifista integrale, del tipo porgi l’altra guancia, anzi! E lo confesserò una volta per tutte, così sarò per sempre dannato dalla memoria e a divinis: non c’è niente di più pesante della lezione americana sulla leggerezza di Calvino -mi perdoni Maestro- per questo nuovo millennio. Che poi più che nuovo, sembra lavato con Perlana. E nemmeno troppo bene. Puzza ancora di lezzo. Forse sono mancati il risciacquo iniziale o la centrifuga finale. Chissà.
A volte penso che, se esiste, il Dio migliore sarà quello che riderà di sé stesso. E dirà pure parolacce, non per volgarità, ma come intercalare gergale per farsi capire meglio dagli uomini, intesi pure come donne, o farsi addirittura uomo, sempre comprendendo il femminile e altro. Minchia, che difficoltà questa storia dei generi! Ecco, dicendo frasi come queste. O tipo: non è che ho fatto una gran figata con questo genere umano… Libero arbitrio? Col cavolo quest’altra volta! Bel mi' paradiso terrestre! Bel mi' mori'. E giù un altro diluvio universale -visto che oltretutto questo clima ve lo siete meritato- e si riparte da capo: dalla Terra che, tra materia e vuoto dell’universo, m’era venuta anche benino, dalle piante e dalle bestie, che rispondono di più. E speriamo in un’evoluzione migliore, alla prossima tornata. Capace se, invece che dalle scimmie, si partisse direttamente dal serpente, con i rettili andrebbe meglio: almeno meno ipocrisia e forse meno danni. Anche se a giudicare da Alien non si direbbe. Ci penserò.
E comunque, dal peccato originale in poi, questa è la vita: una serie di circostanze felici e infauste che iniziano con la nascita e culminano con la morte. La morte è all’opposto della nascita, non della vita, che le comprende entrambe. Una terza via tra la vita e la morte non esiste. Esiste una terza via tra la nascita e la morte, che non è che vivere. Dice che sulla terra gelata ciò che vive, vive sottoterra e ciò che muore, muore senza lotta. E del raccolto, della finzione della vita, sarebbe inutile parlare. Forse in altre stagioni…
È che vivere è difficile per tutti. Non si sa mai come fare. Fare bene o male, a volte passa poca differenza e spesso non si riesce. Forse la vita va concepita come una staffetta: dopo che hai corso la tua frazione, in rettilineo o in curva che sia, devi dire “hop” e consegnare il testimone al compagno o alla compagna che corre dopo di te e tende il braccio indietro per riceverlo. Il cambio deve avvenire né prima, né dopo lo spazio consentito. Se pensi di continuare troppo la tua corsa, finisci per essere invadente e far squalificare tutta la squadra. Si resterà in squadra, ma starà ad altri, coloro che seguono. Hop!
Poco si salva dalla rovina. Poco resta. Un po’ di ricordi, quanto hai amato, gli affetti dei cari. Dice che non è nella natura umana amare solo ciò che restituisce amore. E disumano è il terrore. Resterà la tua progenie, se ne hai. E forse quello che hai fatto o no, mentre sei stato al mondo. Spesso anche di male. Dice che il mondo lo guardiamo una volta, da piccoli e il resto è memoria. E forse qualcosa di buono resta se pensi di aver tentato di renderlo migliore, il mondo, per l’insignificante parte che ha riguardato il tuo passaggio. Almeno hai provato. Per te, per noi, per chi siamo o volevamo essere o vorremo ancora. Le cose vanno avanti o peggiorano. Si va? C’è ancora un po’ di sole, presto farà buio.
Marco Celati
Pontedera, Novembre 2023
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NOSTOS
C’era un melo nel cortile – / saranno forse/ quarant’anni fa – dietro,/ solo prati. Ciuffi/ di croco nell’erba umida./ Stavo a quella finestra:/ fine aprile. Fiori di primavera/ nel cortile del vicino./ Quante volte, davvero, l’albero/ è fiorito nel giorno del mio compleanno,/ il giorno esatto, non/prima, non dopo? L’immutabile al posto/ di ciò che si muove, di ciò che evolve./ L’immagine al posto/ della terra inarrestabile. Che cosa/ so di questo luogo,/ il ruolo dell’albero per decenni/ preso da un bonsai, voci/ che vengono dai campi da tennis –/ Terreni. L’odore dell’erba alta, tagliata di fresco./ Quello che uno si aspetta da un poeta lirico./ Guardiamo il mondo una volta, da piccoli./ Il resto è memoria.
RACCOLTO
E poi viene il gelo; del raccolto è inutile parlare./ Comincia la neve; finisce la finzione della vita./ La terra adesso è bianca; i campi splendono al sorgere della luna./ Io siedo alla finestra accanto al letto, guardo la neve cadere./ La terra è come uno specchio:/ calma su calma, distacco su distacco./ Ciò che vive, vive sottoterra./ Ciò che muore, muore senza lotta.
MATTUTINO
Padre irraggiungibile, quando all’inizio fummo/ esiliati dal cielo, creasti/ una replica, un luogo in un certo senso/ diverso dal cielo, essendo/ pensato per dare una lezione: altrimenti/ uguale… la bellezza da entrambe le parti, bellezza/ senza alternativa… Solo che/ non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,/ ci esaurimmo a vicenda. Seguirono/ anni di oscurità; facemmo a turno/ a lavorare il giardino, le prime lacrime/ ci riempivano gli occhi quando la terra/ si appannò di petali, qui/ rosso scuro, là color carne…/ Non pensavamo mai a te/ che stavamo imparando a venerare./ Sapevamo solo che non era natura umana amare/ solo ciò che restituisce amore.
Louise Glück, premio Nobel per la Letteratura 2020, recentemente scomparsa