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lunedì 09 dicembre 2024

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Poeta

di - lunedì 05 febbraio 2024 ore 09:00

Io lo conoscevo bene. O credevo di… Di buona famiglia, di madre ebrea. Che poi era vero? Chissà. Fu una rivolta del sangue e della vita, quella del contrasto con la madre: ne portò la colpa, ne scrisse, ci vinse anche un premio letterario cittadino, dedicato ad un maestro socialista e partigiano. Era strambo e geniale. Non so se più incompreso o incomprensibile: in che percentuale, voglio dire. Era un disadattato, un poeta. Poeti ce n’erano, al tempo: mi tornano a mente nel dormiveglia dove affiorano e si inseguono i sogni ed i ricordi. Della mia generazione Luciano -il serio- e lui -il folle- erano i migliori, ma Anna e Francesco non erano da meno. Avanti a noi e a tutti, Dino era il nume. Aldo, prima di dare di matto, aveva studiato un po’, lavorato pure, ma poi basta. Era colto, sapeva le cose o le dava ad intendere, come tanti. Come tutti.

Scriveva per “Abiti Lavoro”, quaderni di letteratura operaia di un’epoca passata, per l’«Area di Broca», semestrale di lettere e conoscenza, e su “Salvo imprevisti”, quadrimestrale di poesia e altro materiale di lotta. Fosse servito a qualcosa, fu ben recensito. Scrisse “de mente, unico corpo contundente”, nell’ossessione di “una scala a chiocciola, di un rubinetto che gocciola”. Viveva come viveva, come veniva. Poveramente. Vestiva peggio. Amava una poetessa, lucana mi pare, ma della memoria non c’è da essere sicuri. Non corrisposto, se non per versi o lettere, nella distanza del tu e del noi. Pubblicò su “Ghibli”, la rivista letteraria dell’Arci che poi Luciano diresse.

Giocava ai cavalli, più d’azzardo che da intenditore. Aveva un quadernetto sgualcito di quelli di scuola dove appuntava i risultati e i record degli sport, atletica e altro. Mai saputo perché. Sono fisse, ognuno ha le sue. Chiedeva soldi, spiccioli, a volte importunava. Per strada, nei bar. Quando i bar erano bar e c’era gente a passarci il tempo. Beveva un po’, non so se prendesse farmaci, in forma non era. A volte più lucido, altre meno. A volte non aveva un buon odore. C’erano i suoi familiari nel paese vicino, ma era uno difficile da stare insieme.

Pubblicò “Spaese” nel 1978 per tutti gli spaesati di questo mondo. Dal suo “Innocuo dialogo con l’amore quotidiano” del 1989 furono tratte due pièces teatrali: “Amosfera” e “Il bagaglio rosa”. Presentammo il suo lavoro nella saletta della banca di Bientina. Straparlava, farfugliava, ma era bello da stare a sentire. “Fuggimi, ma altrove il luogo liberami”. Era l’altrove dove viveva.

Oltre che ai cavalli, perdeva regolarmente la corriera per farsi accompagnare in macchina al paese, dove il Comune gli aveva trovato un alloggio. La sanità, il sociale. Spesso ce lo portavo, la sera. Gli davo qualcosa. Poco, ma spesso, se ne avevo e, a richiesta, anche se non ne avevo. Era una tassa e allora litigavamo e lo mandavo affanculo. Poi ripassava e vabbè. A un poeta non si resiste. Come si può? Aveva quel modo di imbrogliare le parole, come la vita e le carte, in versi liberi e qualche rima interna che si rincorreva. Martellava le tempie. La parola innamorata!

Alla fine le persone si perdono di vista. Così è la vita, come la viviamo da questa parte, dove ci troviamo e ci lasciamo. Un giorno seppi che era morto. Di qualcosa, non so cosa. Se n’era andato così, né giovane né vecchio, non sappiamo dove. Forse in un altro luogo, forse in nessun luogo. Fuggimi! Unico, irripetibile, a credito della vita. Cercava quello che tutti cercano: comunione, felicità, amore. Che altro?

Marco Celati

Pontedera, Febbraio 2024

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In memoria di Aldo Remorini, Bientina, 1949-2013. E di Anna Vanni Lupi e Francesco Paciscopi, tanto tempo fa. Il nume tutelare era Dino Carlesi. La rivista “Ghibli” fu diretta da Riccardo Ferrucci e poi da Luciano Fusi, poeta e intellettuale scomparso da poco. Il premio letterario di cui si parla era intestato a Gino Luperini.